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Honda: cosa succederà ora?

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 31/01/2025 in Attualità
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Honda: cosa succederà ora?

Il terremoto del settore auto raggiunge anche il mondo moto, con l'annunciata fusione tra Honda e Nissan. Capiamo meglio cosa sta succedendo guardando alla storia del colosso di Tokyo

Poco prima che si chiudesse il 2024, Honda e Nissan hanno annunciato una clamorosa fusione. Clamorosa perché parliamo (senza contare le moto) del quinto e sesto costruttore globale di auto, che insieme diventerebbero il terzo dopo Toyota e Volkswagen. Soprattutto, parliamo di una fusione che riguarda Honda, una Casa che ha una tradizione di orgogliosa indipendenza e non ha mai, nel corso della sua storia, accettato accordi alla pari. Cosa succederà ora?

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SOICHIRO: GENIO E SREGOLATEZZA

Honda è stata fondata da Soichiro Honda, un giovanotto irrequieto che arriva da un paesino sulle pendici del monte Fuji. Nato nel 1906 in una famiglia povera (5 dei suoi 8 fratelli e sorelle muoiono ancora bambini), Soichiro inizia fin da piccolo ad aiutare il padre nella sua officina di riparazione di biciclette, e a 15 anni ha già sviluppato tutte le sue passioni: le auto e le moto veloci, la bella meccanica, il sakè e le ragazze.

Sogna di diventare campione del mondo con un’auto che si è costruito da solo, e a soli 16 anni va a Tokyo in cerca di fortuna – o meglio: di indipendenza e di un lavoro nel mondo dell’auto. Lo trova, appunto, in un garage di riparazione e preparazione di automobili, dove all’inizio gli fanno fare il baby-sitter. Ma ben presto Soichiro si fa apprezzare: il ragazzo ha talento, impara rapidamente e nel 1925, a soli 19 anni, riceve dal titolare la proposta di costruire un’auto da corsa con un vecchio telaio Mitchell e il motore V8 da 8 litri di un aereo Curtiss-Wright.

Soichiro si scatena. Costruisce da solo, scolpisce a mano i raggi delle ruote in legno, prova radiatori di tutti i tipi, sposta il motore avanti e indietro nel telaio. Questo di giorno. Di notte, invece, consolida la sua fama di teppistello e playboy, collezionando intemperanze e visite al comando di polizia.

Honda: cosa succederà ora?

Siamo abituati a un’immagine di Soichiro Honda tra il patinato e il militare: un uomo piccolo con gli occhiali spessi e l’espressione decisa, ritratto di solito vicino a una delle sue moto o vetture da corsa. Ma il Soichiro giovane somiglia più a un Lupin III, un tipo ambizioso e imprevedibile ma anche indolente, pieno di inventiva ma con molte passioni costose e molte debolezze. Tutte riassunte dal celebre incidente del 1926 quando, ubriaco, sfonda la sponda di un piccolo ponte e finisce in una risaia con le quattro geishe che aveva caricato sulla sua decappottabile.

Il minimo che si possa dire di lui è che ha una personalità fortissima, un’anomalia in un Paese dove l’individuo viene sempre dopo la collettività. Corre in moto e in auto, fa incidenti (nel 1936 rischia la vita venendo sbalzato dall’abitacolo dopo lo scontro con un’altra auto), si fa notare ballando nudo al matrimonio di un amico e si vede rifiutare un importante finanziamento dopo essersi presentato alla riunione coi banchieri ubriaco e in costume tradizionale.

Ma nemmeno tutte queste vicende bastano a offuscarne l’enorme talento tecnico e imprenditoriale. Soichiro è eccezionalmente in gamba, e sa sfruttare le sue idee: infatti già a poco più di 20 anni è in grado di finanziarsi da solo il tenore di vita che mantiene.

Honda: cosa succederà ora?

Dalla Tokai Seichi alla Tipo A

Nel 1937, a 31 anni, tornato ad Hamamatsu per aprire una sua attività, fonda la Tokai Seiki per produrre fasce elastiche per pistoni. Durante la Guerra, l’azienda viene messa sotto controllo del Ministero degli Armamenti, acquisita per il 40% da Toyota e passa a progettare e costruire motori per l’Aviazione e la Marina Imperiale. Alla fine della guerra la Tokai Seiki è pesantemente danneggiata dai bombardamenti e da un terremoto: Honda vende tutte le sue azioni a Toyota e con i soldi realizza, indovinate un po’, una distilleria per uso personale. Pur avendo tre figli piccoli in casa, smette di lavorare e chiede alla moglie di darsi da fare per mantenerlo mentre, diciamo, “raccoglie le idee”.

Honda si prende un anno sabbatico in cui, stando ai racconti, la sua occupazione principale è stare seduto in giardino a riflettere. Ma la passione per i motori non resta sopita a lungo: per permettere alla moglie Sachi di spostarsi più velocemente, Soichiro recupera il motore dal gruppo elettrogeno di una radio abbandonata dall’esercito americano e lo installa su una bicicletta: anche se l’azienda non esiste ancora, questa è la prima moto Honda. Soichiro vuole capire se questo veicolo è facile da usare per una donna: il Giappone in ginocchio ha bisogno di muoversi in maniera rapida ed economica, e c’è grande richiesta di mobilità anche da parte del pubblico femminile. L’esperimento funziona, e quando un vecchio amico dell’officina gli dice che di quei generatori ce ne sono a centinaia, Honda capisce che la sua moto può essere prodotta in serie: nasce la “Type A”.

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Da una bici a una fabbrica

Siamo nel 1946 e nello stesso anno in Europa debutta il Velosolex. E giusto per dare un’idea delle differenze di visione il Velosolex rimarrà placidamente uguale a sé stesso per decenni, mentre Soichiro corre veloce: nel 1947 realizza una linea produttiva, nel 1948 fonda l’azienda che porta il suo nome, e di cui assume la direzione tecnica mentre quella amministrativa va al socio Takeo Fujisawa, meno famoso ma un genio nel marketing quanto Soichiro lo è nella tecnica. In meno di 3 anni ha una trentina di dipendenti e un nuovo modello, la D-Type (da “dream”) del 1948. Nel 1955 Honda è già la più grande Casa motociclistica giapponese. Lo rimarrà fino ai giorni nostri.

Nel 1956 viene enunciato il principio-guida che vale tuttora, e spiega molto delle scelte di Honda: “Mantenendo un punto di vista globale, ci impegniamo a fornire prodotti della massima qualità, ma a un prezzo ragionevole per la soddisfazione dei clienti in tutto il mondo". Punto di vista globale, massima qualità, prezzo ragionevole: ecco i tre cardini dello sviluppo della Casa dell’Ala Dorata. Ricordiamoci che siamo nel 1956, e un punto di vista globale ce l’hanno forse solo gli americani: ma non gli americani che fanno le moto, e che si vedono arrivare il nemico in casa: nel 1959, a 10 anni dalla fondazione, viene aperta a Los Angeles la filiale American Honda Motor Co. Inc..

La visione globale di Soichiro è atipica anche per il Giappone, un Paese rimasto al feudalesimo fino alla fine del 1800 e ancora richiuso su sé stesso e sulle proprie tradizioni in fatto di cultura, cucina, lingua e sport. Quando ancora per le altre Case nipponiche il mercato che conta e le gare che contano sono quelli nazionali, Honda dichiara “Non mi interessa diventare un vincente in Giappone, voglio diventare campione nel mondo. Se diventerò numero uno nel mondo, sarò anche il numero uno in Giappone.”

Honda: cosa succederà ora?

E così nel 1960 fonda una divisione dedicata alla ricerca e sviluppo, nel 1962 apre il primo impianto fuori dal Giappone ad Aalst, in Belgio, nel 1963 inizia la produzione di auto e veicoli commerciali. E intanto Soichiro, in linea col suo carattere, lancia la sfida sportiva: già nel 1954, quando ancora vendeva soltanto biciclette a motore, Honda è sbarcata al Tourist Trophy, prima Casa giapponese. Va malissimo, ma la filosofia di Honda è che 99 fallimenti servono a preparare la vittoria che conta. E la vittoria arriva nel 1961, con due titoli mondiali nelle classi 125 e 250.

Da lì in poi, Honda è inarrestabile non solo tra le moto, ma anche tra le auto: nel 1965 vince il GP del Messico di Formula Uno con il primo motore V12 mai visto nel campionato e un telaio interamente progettati e fabbricati in Giappone: un risultato pazzesco. Il "pericolo giallo" inizia a preoccupare l’Occidente, e Honda è la punta di lancia del Giappone.

Non sono solo rose e fiori. I funzionari del Ministero dell’Industria giapponese all’inizio si mettono di traverso, perché vogliono evitare la proliferazione di costruttori. Il piano è quello di avere due soli campioni nazionali nell'auto, Toyota e Nissan. Il Ministero fa passare una legge che impedisce a nuovi costruttori di iniziare a produrre auto, che di fatto obbligherebbe Honda ad accontentarsi di continuare a fare moto. Ma Soichiro non è il tipo da prendere ordini: fa di testa sua e va allo scontro frontale: litiga furiosamente con il Ministero, accelera il programma di sviluppo auto per arrivare sul mercato prima che la legge entri in vigore e ci riesce, con una sportivetta piena di soluzioni motociclistiche (il team di sviluppo non aveva alcuna esperienza in campo auto) dal motore (un 4 cilindri di soli 360 cc con 33 CV a 8.500 giri) alla trasmissione a catena, e per di più verniciata in un appariscente rosso, colore fin lì riservato in Giappone ai mezzi di soccorso.

Honda: cosa succederà ora?

Da outsider a caso di scuola

Con la sua tenacia, Honda riesce ad ottenere una deroga per la sua S360 rossa e si lancia a tutto gas nel settore delle quattro ruote, dove nel giro di pochi anni realizza uno dei suoi capolavori: dopo aver lanciato la Civic nel 1972, negli Anni 70 va a produrre le sue auto direttamente sul suolo americano, all’epoca il più grande, ricco e importante mercato del mondo. Con la Civic e la Accord Honda riesce a sottrarre alle Big Three di Detroit, che in patria si sentivano invincibili, milioni di clienti sedotti dall’efficienza e dall’affidabilità delle sue auto: prima utilitarie, poi da famiglia e infine di lusso. Toyota e Nissan, inizialmente scettiche, dovranno accodarsi alla sua strategia.

Nel 1973 Soichiro va in pensione, restando come consulente ma non ossessivamente presente in azienda. Dichiara: “Un'azienda può continuare a prosperare solamente se il suo ex-Capo non effettua che qualche rara visita di saluto”; la leggenda dice comunque che fino agli 80 anni suonati, Honda frequentasse il suo R&D chiedendo ai giovani ingegneri spiegazioni delle scelte che non lo convincevano.

L’R&D è del resto il suo mondo dei balocchi e il cuore dell’azienda: è da lì che si irradia la passione che deve permeare ogni prodotto Honda. Ormai divenuto il simbolo della riscossa giapponese nel Dopoguerra, l’ottuagenario Soichiro rifiuta l’idea diffusa che i suoi compatrioti rinunciano ai desideri individuali in nome dell’adesione al gruppo. Dice: “Ogni individuo dovrebbe lavorare innanzitutto per sé stesso. Le persone non sono disposte a sacrificare sé stesse per la loro azienda: devono amare il loro lavoro.”

Honda: cosa succederà ora?

Dietro il successo di Honda c’è una combinazione di circostanze che come sempre sono in parte fortuite, ma il fattore principale è senz’altro la determinazione di Soichiro e la sua abilità a motivare i suoi uomini. A differenza di Toyota, che si fa largo con l’arma della “qualità totale”, Honda segue piuttosto una strategia “prova, sbaglia e migliorati” che è comunque di grande efficacia: l’ingresso di Honda nel mercato motociclistico americano negli Anni 60 rimane un caso di scuola – nel senso che è ancora usato come esempio nelle scuole di business di tutto il mondo.

Sempre Soichiro ha avviato la diversificazione delle linee di prodotto, aprendo la divisione dei generatori e macchine da lavoro fin dal 1953. Honda è attiva negli ATV dal 1970, nella robotica dal 1986 e nei jet commerciali dal 1997.

Lato moto, sotto la gestione di Soichiro sono nate icone come il Super Cub del 1958, il Monkey del 1967 e la CB750 del 1968, con motore 4 in linea e freno a disco, che inaugura l’era delle “maxi giapponesi”. Ma la Honda che quelli della nostra generazione ricordano è fondamentalmente la Honda del dopo-Soichiro, dagli Anni 80 in poi.

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Il dopo Soichiro

Dopo la sua uscita, comunque, l’azienda cresce ulteriormente e si “spersonalizza”, diventando una grande corporation gestita con logiche manageriali più tradizionali. Quello che non cambia sono però i tre pilastri indicati dal fondatore: sguardo globale, massima qualità, prezzo ragionevole e la testarda determinazione a seguire strade tecnologiche diverse dagli altri. Basta vedere la Goldwing 4 cilindri boxer del 1974, la CBX 6 cilindri in linea e con il primo leveraggio Pro-Link del 1979 o la CX500 Turbo del 1981, la prima con turbo e iniezione elettronica.

Sono gli anni della grande espansione internazionale. Honda, che ha iniziato a costruire le sue moto in America nel 1969, apre stabilimenti in mezzo mondo compresa l’Italia, dove nel 1980 inizia la produzione della CB125X ad Atessa, provincia di Chieti. Se questo modello non fa sfracelli, Honda aggiusta rapidamente il tiro con la XL125, specie in versione Paris-Dakar, e la lunga serie delle 125 2T: la NS125F, la MTX125, la NSR125F. Intanto nel 1984 è nato l’SH50, scooter a ruote alte che verrà prodotto ad Atessa dal 1996.

Il 1° settembre 1982 nasce come azienda separata il reparto corse di Honda, la Honda Racing Corporation o HRC. Viene formata dalla fusione tra la sezione sportiva RSC istituita (nel 1973) presso il circuito di Suzuka che Honda aveva fatto costruire per poter sviluppare le sue moto in patria, e la divisione sperimentale che aveva sviluppato il progetto NR a pistoni ovali e le prime 2T. Nella sua prima stagione di attività, il 1983, la HRC vince la Parigi-Dakar con Cyril Neveu, il mondiale 500 con Freddy Spencer e il Tourist Trophy con Joey Dunlop: diremmo che basta per far entrare HRC direttamente nel mito, insieme con l’iconica livrea bianco-rosso-blu “tricolor”, ripresa qualche anno prima sulle moto che gareggiavano alla 200 miglia di Daytona dai colori della bandiera americana.

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Gli Anni 80 e 90 sono forse il periodo più glorioso per Honda, che domina nel Motomondiale con Spencer, Lawson e Doohan, vince in Formula1 con Senna e Prost e inanella una serie di modelli memorabili, dalla Transalp alla Africa Twin e dalla NS400R alla CBR900RR Fireblade, passando per la VFR750F con motore V4 a distribuzione a ingranaggi, la CBR600F con la carena sigillata, lo scooterone CN250, la NX650 Dominator, la Hornet 600 e la incredibile NR750 a pistoni ovali.

In un momento storico nel quale la meccanica è fonte di prestigio, e Honda è quasi sempre avanti a tutti. Affidabilità, prestazioni, soluzioni inedite: l’eredità di indipendenza tecnica di Soichiro è degnamente portata avanti, e nessuno più si sogna di dire che i giapponesi copiano gli occidentali.

Non c’è verso che Honda segua una strada battuta: progetta in casa tutti i suoi propulsori, dal primo all’ultimo: tra le auto restano famosi i V-Tec con la fasatura variabile e capaci di regimi “da moto”, tra le moto i pistoni ovali della NR; ma ogni progetto Honda fa scuola, anche quando nel 2003 è costretta dalle richieste del mercato europeo a progettare il suo primo Diesel – tecnologia non amata né in Giappone né in USA – introduce soluzioni uniche come la struttura interamente in alluminio fuso allo stato semisolido, i cilindri disassati (manovellismo ordinario decentrato), la valvola attiva nel condotto di aspirazione, l’EGR con raffreddamento a liquido. Il tutto per ottenere un motore compatto, fluido e silenzioso come un benzina.

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Negli Anni 90 Honda sperimenta tantissimo sul 2T, portando una versione ad iniezione elettronica ed auto-accensione alla Dakar (la EXP-1) e vincendo in 500 con motori a fasatura variabile ottenuta iniettando acqua nel condotto di scarico. E quando nel 2004 la Casa dell’Ala si cimenta con una mountain bike, la dota di un telaio ispirato alle sue trial, di un forcellone arcuato e di una trasmissione con cambio centrale.

Forte del suo prestigio e delle sue dimensioni, Honda non manca di esercitare una grossa influenza a livello mondiale. Quando nonostante i tanti sviluppi fatti, dichiara nel 2001 che abbandonerà completamente la produzione dei motori 2T, tecnologia che Soichiro non amava reputandola troppo “sporca” e inaffidabile, questa decisione porta la FIM a bandire progressivamente i motori a miscela dalle corse di alto livello, sia su strada che fuoristrada, e dalla produzione. Honda viene ascoltata dalla Federazione Internazionale e seguita dalle altre Case giapponesi.

Honda: cosa succederà ora?

Honda oggi

Come abbiamo già detto, fin dalla nascita Honda è sempre stata la più grande Casa del Giappone per dimensioni, arrivando in patria a una produzione record di 3 milioni di moto nel 1982, per poi scendere alle circa 300.000 attuali dopo aver spostato sempre più modelli all’estero.

Parliamo di Honda oggi: a fine 2024, prima della operazione Nissan, è il più grande costruttore di moto al mondo e il quinto nelle auto, con una dimensione paragonabile a Stellantis con la sua dozzina di marchi.

Delle moto sappiamo quasi tutto: in Italia negli ultimi 20 anni Honda è sempre stata, tranne che in un paio di stagioni, leader di vendite con modelli come l’SH, la Hornet, l’Integra, l’X-ADV, l’Africa Twin. SH a parte, Honda non ha veri modelli bestseller ma piuttosto frequenta la parte media e alta delle classifiche, con moto di taglio se vogliamo “nazional-popolare” come la CB500X o la NC750X, ma anche le attuali Hornet 750 e Transalp 750. Ricordiamoci la direttiva di Soichiro del 1956: “ci impegniamo a fornire prodotti della massima qualità, ma a un prezzo ragionevole per la soddisfazione dei clienti in tutto il mondo”. Questi prodotti restano al centro della filosofia Honda: non sono modelli “estremi” nelle prestazioni o nel prezzo, e anche se da Tokyo continua ad arrivare qualche dream bike come la futura V3 sovralimentata, al cuore dell’offerta ci sono modelli come la GB350 o la CB500X, vere e proprie “world bike” adatte ai clienti di tutto il mondo, dall’Italia al Portogallo e dall’Indonesia al Brasile.

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Lo stesso si può dire delle auto: da noi Honda non ha mai azzeccato la “hit”, anche se i suoi modelli sportivi come la Civic Type R o la S 2000 sono entrati nell’immaginario. Questo perché se nelle moto Honda ha più di un piede in Italia, con la fabbrica di Atessa e il centro stile di Roma, nelle auto questo legame non c’è, per cui l’attuale gamma di Tokyo è meno sensibile ai gusti europei e piena zeppa di potenziali “world car” buone a tutte le latitudini: dalla HR-V alla sempiterna Civic. E infatti, pur essendo poco rappresentata in Italia, globalmente Honda vende quanto Hyundai.

Di che numeri parliamo? Eccoli. Honda vende poco meno di 19 milioni di moto l’anno e circa 4,5 milioni di auto l’anno, cui si sommano quasi 4 milioni di “power products”, la terza divisione voluta da Soichiro.

La torta si divide in maniera impietosa per l’occidente e in generale per gli storici mercati “importanti”: Giappone, Stati Uniti ed Europa. L’Italia è una frazione minuscola del totale, mentre i primi mercati sono India, Vietnam, Tailandia, Indonesia e Brasile. Per le auto la faccenda è un po’ meno sbilanciata, ma in comune c’è l’irrilevanza dell’Europa.

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Con 19 milioni contro 4 e rotti, le moto dell'Ala vendono oltre il quadruplo delle auto. Ma visto che il prezzo medio delle moto è molto più basso, specie considerando che il primo mercato è di gran lunga l’Asia, l’auto fattura molto di più: circa 85 miliardi di euro, contro i circa 20 miliardi della moto. Per darvi un’idea, Honda fattura più con i servizi finanziari che con la vendita di moto.

La buona notizia, al di là dell’affezione storica del Marchio per le due ruote, è che le moto portano profitto: pur fatturando meno di un quarto, il margine operativo – ovvero quanto guadagna Honda vendendo le sue moto – è praticamente lo stesso delle auto: 3,5 miliardi di euro.

Per dare un’idea delle dimensioni di Honda, il Gruppo Piaggio vende poco più di mezzo milione di veicoli e fattura circa 2 miliardi di euro, un decimo della sola divisione moto di Honda, con un margine operativo di meno di 200 milioni. Ducati vende meno di 60.000 moto e fattura 1 miliardo, con 110 milioni di margine operativo. Le aziende italiane del settore hanno quindi un margine operativo attorno al 10%, Honda del 17,3%.

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Prendiamo un altro colosso, l’indiana Hero Motors che vende quasi 7 milioni di moto l’anno. Hero fattura 5 miliardi di euro, con un margine operativo attorno al 10%. Per il momento è quindi una via di mezzo tra la dimensione di Honda e la redditività delle aziende europee, pur se tutte le previsioni sono di forte crescita.

In questo quadro in radicale mutamento anche l’attenzione di Honda per il Motorsport, che è sempre stata una faccenda soprattutto occidentale e giapponese, non è forse quella di un tempo. Certo Tokyo ha speso molto per tornare ai vertici del Motocross in Europa e USA, della Dakar e probabilmente continuerà a farlo in MotoGP e Formula1. Ma il confronto più rovente si è ormai spostato su altri fronti: la moto elettrica e la Cina, intesa sia come mercato che come concorrente.

In Cina Honda non è forte tra le moto (non è nei suoi primi mercati) né tra le auto, dove le sue vendite sono calate nel 2024 del 30%. E pur se per il 2025 Honda si attende un aumento delle vendite globali di auto e di moto, sa che all’orizzonte ci sono nubi legate all’incertezza degli sviluppi nell’elettrico e alla concorrenza delle aziende cinesi.

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Honda domani

Honda cerca come al solito di guardare molto avanti, accelerando sul fronte dell’elettrificazione dopo aver già fatto molto per la riduzione della CO2 emessa, anche a livello produttivo. Parliamo di un processo costosissimo, per finanziare il quale la Casa dell’Ala ha già dovuto vendere alcuni “gioielli di famiglia”: Showa, Nissin e Keihin che sono finite, insieme a Hitachi Automotive, in un nuovo gigante tecnologico, Astemo. Finita la possibilità di fare cassa, non restano che le alleanze, che però andrebbero contro a uno dei principi di Soichiro: non ci si allea con nessuno.

Fin quando si parla di alleanze con aziende extra-settore, come quella con Sony per produrre un’auto elettrica di alta gamma – la Afeela 1, che è stata appena presentata – passi. Allearsi con Nissan, però, è quella che si dice una rivoluzione epocale. Ecco perché la notizia arrivata il 23 dicembre 2024 è stata una vera bomba. Attenzione però: a quanto si legge, anche se Nissan è nata prima ed è stata a lungo più grande, non c’è da farsi tante illusioni: all’interno dell’alleanza, in sostanza comanderà Honda.

Quanto alle moto, è verosimile che non verranno veramente toccate da questo processo. Forse saranno ulteriormente separate a livello societario, di certo continueranno ad andare per la propria strada tecnica, pur se anche lì i piani di aumento dell’offerta elettrica sono stati annunciati con chiarezza. Ma è evidente, per chi adotti il “punto di vista globale” voluto da Soichiro, che per quanto possiamo pensare di far finta di niente per un po’, le cose siano destinate a cambiare radicalmente anche nel nostro settore.

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