
Anteprime
Meguro S1, l’Impero del Sol Levante

Kawasaki entra nel segmento delle modern classic monocilindriche con la S1, che punta su leggerezza, cura costruttiva e un nome mitico, che risale ad anni in cui il Giappone era ancora un impero...
Ma perché Meguro, se è una Kawasaki? Perché ad Akashi è un periodo di grande vitalità, non solo tecnica (l’arrivo delle H2, delle Hybrid, delle elettriche) ma anche simbolica, e dopo il recupero del “River Mark” è ora il turno del secolare marchio Meguro, che verrà usato per caratterizzare gli allestimenti più ricchi delle moto classic di Kawasaki.
In Giappone il nome Meguro è noto e riverito: si tratta di una delle prime, dunque più antiche, Case motociclistiche del Sol Levante. Fondata nel 1937 come sezione di Murata Iron Works, azienda esistente fin dal 1924 (da qui, stiracchiando un pochino la storia, i 100 anni di vita), Meguro prendeva il nome da un quartiere alla moda di Tokyo. Nei primi Anni 30, con l’America in ginocchio dopo il crack finanziario del 1929, Murata riuscì ad acquisire tecnologia da Harley-Davidson: disegni e informazioni sui trattamenti termici necessari per realizzare cambi più affidabili: informazioni che si rivelarono decisive per la nascente industria motociclistica giapponese.

Da Meguro a Kawasaki
Murata si specializza in cambi, ma già nel 1935 lancia la prima Meguro, la Z97, un modello piuttosto avanzato per l’epoca. Dopo la pausa bellica, Meguro torna sul mercato con nuove monocilindriche di 125, 250 e 350 cc, partecipando e vincendo numerose competizioni. Negli Anni 50 il nome Meguro era prestigioso quanto quello di Honda: l’azienda eccelleva nelle grosse cilindrate, come un twin parallelo di 650 cc ispirato all’inglese BSA (ma con una qualità già allora molto migliore) e collaborava da tempo con Kawasaki, specializzata in costruzioni navali e aeronautiche e che aveva iniziato da poco a produrre una linea di piccole 125 cc.
Kawasaki prima sostenne finanziariamente Meguro, rinominandola Kawasaki Meguro, e nel 1964 la assorbì del tutto, dopo il fallimento commerciale di una serie di motoleggere Meguro tra i 50 e i 250 cc che si rivelarono troppo costose. Le motociclette che già dal 1962 erano marchiate Kawasaki-Meguro divennero a quel punto semplicemente Kawasaki: ma quando si è trattato di rispondere alle recenti classic asiatiche come le Royal Enfield, le BSA o anche le Benelli, la prima scelta di Akashi è stata quella di recuperare la propria tradizione.
Ecco allora che nel 2020 Kawasaki ha deciso di rilanciare il brand Meguro, usandolo sulle versioni più curate della sua linea “modern classic”: la K3, venduta solo in Giappone e basata sulla W800 e ora la S1, basata sulla W230, piattaforma tutta nuova anche se il propulsore mantiene molti elementi in comune con quello della enduro KLX 230 venduta in USA e Brasile.

Il rapporto col passato (e col presente)
Questa piccola Meguro è dunque la meno "modern" delle "classic" di Akashi, la più vicina nello spirito alle sue antenate del secondo Dopoguerra: semplici ma curate monocilindriche monoalbero a due valvole con raffreddamento ad aria, esattamente come questa S1. Che ha un motore di 233 cc dalle misure quadre (67 x 66 mm), l’alimentazione a iniezione e l’avviamento elettrico: e le concessioni alla modernità finiscono più o meno qui, se escludiamo il tassello LCD che riporta contachilometri e orologio posizionato con discrezione nel contagiri, analogico come pure il tachimetro.
Certo, i due freni sono a disco e sorvegliati da ABS, ma la moto è in sostanza tutta "analogica" e costruita in modo classico: telaio monoculla sdoppiato, motore non portante, forcella telescopica, doppio ammortizzatore posteriore e ruote a raggi da 18"- e 17" con coperture non ribassate di sezione decisamente stretta: 90/90-18 e 110/90-17.

Le dimensioni sono compatte ma non mini: interasse 1.415 mm, sella a 740 mm da terra e peso di 143 kg in ordine di marcia, con 12 litri di benzina nel serbatoio. L’avancorsa è di soli 99 mm. Le prestazioni sono tranquille, con 18 CV a 7.000 giri e 18,6 Nm di coppia a 5.800 giri, da spalmare lungo i 6 rapporti della trasmissione. La Royal Enfield Classic 350, per citare un riferimento di categoria, eroga 20 CV a 6.100 giri e 27 Nm di coppia a 4.000 giri, ma pesa 195 kg in ordine di marcia: la Meguro, da brava giapponesina, è più leggera e gira più in alto, ma ha anche molta meno coppia (in questo il motore sottoquadro della Royal Enfield aiuta parecchio). La recente Honda GB350S ha un motore decisamente più grande e sottoquadro con i suoi 348 cc ottenuti con misure 70 x 90,5 mm (contro i 72 x 85,8 mm dell’indiana), che eroga 21 CV a 5.500 giri e 29 Nm a soli 3.000 giri pesando 178 kg col pieno di benzina. Prestazioni simili per la Benelli Imperiale 400 (374 cc effettivi), che pesa però 205 kg col pieno.
Abbiamo insomma in questa categoria delle “ultra-classic” prestazioni poco lontane, ma scelte piuttosto diverse soprattutto in termini di cubatura e dimensioni. Kawasaki propone la moto più piccola (l’unica con ruote da 18”-17”) e di gran lunga più leggera, il che promette di sopperire alla manciata di CV e Nm in meno rispetto alle rivali. La Meguro è anche la più fedele al suo passato: verniciature curatissime fin nei filetti sul serbatoio, logo riportato in caratteri "katakana" sul cruscotto e sui fianchetti, e in rilievo sul serbatoio, nessuna concessione all’estetica moderna. Persino le piastre forcella hanno un aspetto vintage, con i bordi arrotondati e una verniciatura (apparentemente) porosa.
Questo grande rispetto per le antenate, tipico della cultura giapponese, si è tradotto in un’operazione che ha qualche pro e qualche contro. Tra i pro quelli di offrire in questa gamma di cilindrate e in questa categoria la tipica qualità giapponese, che emerge non solo dalle finiture ma anche dal funzionamento e dall’amalgama di ogni parte della meccanica. Tra i contro quelli di presentare un modello molto “giapponese di una volta” anche nel look e nelle dimensioni, con un’ergonomia più adatta a chi non supera i 175 cm e nessuna debolezza trendy a partire dai colori, con un’unica sobria variante in nero e argento come tutte le Meguro del passato (la gemella Kawasaki W230 è invece blu).

Meguro S1: piccola e leggera
In un momento di grande ritorno delle piccole cilindrate e delle moto rétro, un po’ in tutto il mondo, Kawasaki risponde quindi a modo suo, recuperando un nome di prestigio e applicando con scrupolo la ricetta giapponese: poco peso e dimensioni compatte. La cilindrata di 233 cc è la più piccola della categoria e il motore S1 è il più "tirato", ovviamente con grosse virgolette: in un contesto di motori sottoquadri è l’unico quadro (il che lo rende… superquadro rispetto agli altri), quello con meno coppia, e che per recuperare potenza gira più alto. Non a caso, l’unico abbinato a un cambio a 6 marce, per sfruttare al meglio la minor spinta rispetto alle concorrenti. La Meguro è anche di gran lunga la più leggera e quella con le ruote più piccole (18”-17”, le altre hanno 19”-18” o 19”-17”) e strette nella sezione. Questo promette una maneggevolezza da riferimento, come infatti è.
La S1 (come la gemella W230) è una moto semplice ma non povera, secondo la formula che ha fatto la fortuna di Royal Enfield in tempi recenti e che Kawasaki recupera con l'obiettivo di ampliare la sua gamma verso il basso. La costruzione è come abbiamo detto impeccabile – compattezza e leggerezza si avvertono subito e con piacere – ma la S1 resta classica anche nell'ergonomia, come detto molto compatta: la presa al manubrio è comoda, ma le gambe restano molto angolate alla guida e anche stendersi sul serbatoio nei lunghi trasferimenti non è affatto comodo.

Meguro S1: il piacere della lentezza
Avviamo il piccolo monocilindrico, che si rivela sorprendentemente rumoroso da freddo (ci siamo dimenticati di quanto i motori ad aria tendano ad esserlo) e ha il minimo altino, attorno ai 2.000 giri. Ai bassi si caratterizza per un ticchettio d’altri tempi, ma è molto lineare e ha un buon arco di erogazione: il suo regime ideale è tra i 4 e i 5.000 giri, ma se bisogna disimpegnarsi con brio accetta senza problemi di stare tra i 6 e i 7.000 con una bella spinta, poche vibrazioni grazie al contralbero e anche poco rumore proveniente dallo scarico a bottiglia, notevole per la forma pulitissima nonostante la presenza del catalizzatore e di una camera secondaria con valvola lamellare e doppia sonda lambda per abbattere le emissioni. È stato fatto anche un po' di "sound engineering" per riprodurre il timbro della Kawasaki Meguro 250 SG, la prima moto nata dopo l’acquisizione del 1964.
La Meguro raggiunge, con una certa pazienza, i 110 km/h indicati, qualcuno più qualcuno meno: la stessa velocità della Royal Enfield Classic 350. Ci si arriva anche spremendo la quinta marcia, o con più calma in sesta, che è overdrive e anziché a 8.000 giri come le altre si ferma a 6.500, consentendo di mantenere a lungo questa velocità.
Le prestazioni sono quelle da guida disimpegnata, per godersi il viaggio senza fretta. Se una moto da patente A2 è più rapida di un’auto in gran parte delle situazioni, se i cavalli sono una ventina come in questo caso la situazione si rovescia, per cui si rinuncia a gran parte dei sorpassi e si sta bene così. Che tipo di viaggio? Queste moto venivano in origine usate come mezzo di trasporto principale, quindi diremmo un po' dappertutto, sempre però con i tempi più calmi di una volta.

Meguro S1: il Giappone di una volta
Così corta, leggera e svelta di quote, nelle contorsioni da traffico cittadino la S1 è un piacere dal punto di vista della manovrabilità e anche le sospensioni si rivelano efficaci su dossi e tombini. Però il monoalbero ad aria di coppia ne ha pochina, per cui non ci si può aspettare che riprenda senza strappi da una marcia alta: bisogna ricorrere frequentemente all’uso del cambio, che per quanto preciso e assistito da una frizione morbida, in città resta meno pratico del variatore di uno scooter. Ma la Meguro non gioca sicuramente la sua partita sul piano della mera praticità.
Il suo meglio lo dà infatti in extraurbano, dove la S1 trova la sua dimensione ideale. Non c’è protezione dall’aria, ma non ci sono nemmeno le vibrazioni, il calore e il peso; in generale, non c’è nulla di cui preoccuparsi, e viaggiare è un piacere con una moto ben armonizzata in ogni comparto: frenata più che discreta nonostante il mini disco anteriore da 265 mm, ABS puntuale, sospensioni con poca escursione ma ben capaci di copiare le asperità e quote ciclistiche indovinate.
Una bella moto da scampagnata, come in fondo queste classic ambiscono ad essere: moto per chi non fa molta strada e non ha nemmeno molta fretta, ma vuole godersi il viaggio su una moto diversa da tutte andando magari allegro, ma senza pieghe assassine che le strette coperture /90 non gradiscono. Di questi tempi, non dispiacerà sapere che è praticamente impossibile scendere sotto i 30 km/l di consumo.
La scelta delle classic è ormai ampia, e la Meguro S1 gioca le carte di un heritage e una legittimità storica che nessun'altra moto giapponese può vantare. Come abbiamo detto è la più austera, la più leggera e anche la più compatta delle rivali; è anche la più costosa, seppure restiamo in una fascia di prezzo più che accessibile: 5.699 euro, contro i 4.990 della sorella Kawasaki W230, per portarsi a casa un pezzo del Giappone di una volta.





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