Attualità
Le moto sportive sono ormai morte e sepolte?
Magari no, ma sono dei malati gravi difficili da rianimare. I motivi? Una diversa percezione della moto rispetto a 20 anni fa, limiti di velocità più stringenti (e sempre più velox...), poca facilità di utilizzo. Ma resteranno sempre un mercato di nicchia che le Case non vogliono perdere
Fa quasi tenerezza guardare i dati di vendita delle moto di 20 anni fa: ogni tanto un occhio retrospettivo serve a capire come sono cambiati i gusti dei motociclisti.
Colpisce in particolare – e forse non se ne parla mai abbastanza, così come invece avviene per il tracollo dei cinquantini – la profonda crisi del mercato delle supersportive. Per dare un’idea, ecco un grafico che riassume le vendite degli ultimi 20 anni.
Nel 2003 le sportive rappresentavano (dopo le moto da turismo) la fetta principale del mercato moto: se ne immatricolavano 44.576 all’anno. Poi il crollo del quinquennio che conduce al 2008, che ha portato il mercato a contrarsi della metà (23.333) e una continua discesa agli inferi, culminata coi 5.612 pezzi del 2012. Che da allora si sono ulteriormente ridotti, con l’annus horribilis 2016 (quando le immatricolazioni furono appena 3.947).
Ma se negli ultimi 10 anni i numeri complessivi del mercato immatricolato sono cresciuti (dalle 153.863 moto del 2013 alle 318.948 dello scorso anno), a beneficiarne non sono stati in modo uguale tutti i segmenti. Quello delle sportive, infatti, continua a oggi a rappresentare la nicchia più piccola: nel 2023 ne sono state immatricolate 5.778 unità. Poche davvero, considerando anche che il segmento custom, altro malato grave del mercato moto, performa meglio (7.180).
UNA CRESCITA DIFFICILE
Chi vede il bicchiere mezzo pieno sosterrà che comunque si registra una crescita, seppure minima, del mercato rispetto ai minimi storici. Ma è anche vero che, in questi due anni di boom delle immatricolazioni moto, le sportive sono comunque cresciute meno di tutti gli altri segmenti. Il confronto con i segmenti enduro-crossover e naked è a dir poco impietoso: le prime sono cresciute dalle 22.031 unità del 2013 alle 62.199 del 2023, mentre le seconde sono più che triplicate (da 15.442 a 54.246). Nello stesso decennio (2013-23), parlando di segmenti meno significativi, le moto da turismo sono grosso modo quadruplicate (da 4.958 a 16.002), e anche le custom sono cresciute di circa il 40%. Le sportive, invece, sono sempre lì al palo.
Come si evince dal grafico qui sopra, il grosso del mercato delle sportive in Italia è in mano a tre soggetti: Aprilia e Yamaha (con la prima molto forte sulle medie cilindrate) appaiate in cima al podio, e Ducati (che chiaramente domina la fascia premium con modelli oltre i 1000 cc). Ma nonostante quello delle sportive sia un segmento di nicchia, le Case continuano a investire e proporre alternative alla concorrenza, soprattutto nel segmento delle medie cubature (pensiamo a Kawasaki con la Ninja 500, o Honda che riporterà in vita la CBR 600). Come insegnano gli esperti di marketing, anche se la nicchia è piccola, conviene comunque presidiarla. Ed è quello che le Case stanno facendo, soprattutto per non lasciare spazio ai nuovi player orientali, la cui offerta è aggressiva a 360 gradi.
LE SPORTIVE TORNERANNO MAI DI MODA?
Azzardando una previsione (con la speranza che venga disattesa), la risposta è negativa. I gusti del pubblico sono cambiati in modo quasi irreversibile, le omologazioni antinquinamento hanno strozzato i motori e penalizzato le prestazioni delle sportive (soprattutto per quello che riguarda le piccole cilindrate, che una volta rappresentavano la porta di accesso al motociclismo per generazioni di ragazzi). E non possiamo sottovalutare l’effetto dei controlli su strada: autovelox e limiti rappresentano un oggettivo disincentivo all’acquisto di una moto coi semimanubri. Che ormai, complice la situazione non ottimale delle nostre strade, è sempre meno un oggetto utilizzabile e desiderabile.
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