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Attualità
Il guardrail salvavita c'è ma non è omologato
di Riccardo Matesic
il 14/11/2007 in Attualità
Il motivo è solo burocratico perché manca una norma legislativa. Peccato, perché abbiamo visto all'opera un attenuatore d'urto e funziona davvero
Il guardrail salvavita c'è ma non è omologato
Milano - La slitta corre rasoterra e si blocca a un metro dal guardrail, lasciando scivolare il manichino, che sbatte a 60 Km/h con la testa contro la difesa in plastica gialla. L'angolo d'impatto è di 30 gradi, e l'urto è potente. La visiera del casco si stacca da un lato, mentre il finto corpo scivola e si arresta poco dopo. Corriamo a vedere: il nostro motociclista apparentemente non ha danni.
Facciamo un passo indietro. La Snoline, azienda che produce l'attenuatore d'urto per motociclisti DR46, ha organizzato questa giornata appositamente per presentare il suo prodotto, lo stesso già montato un anno fa sulla via Apecchiese, in provincia di Perugia.
La sede scelta è il laboratorio per le prove d'impatto del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Milano. L'obiettivo è dimostrare l'efficacia del DR46, ma anche sollevare il problema della mancanza di normative d'omologazione.
Perché al momento l'attenuatore d'urto è inomologabile, come le altre protezioni dello stesso tipo. Manca una norma, sia a livello nazionale che europeo. Gli unici paesi che hanno un protocollo per le prove di questo tipo sono Spagna e Francia, ma non si tratta di vere norme d'omologazione, e in Italia non hanno valore.
"Della questione si sta occupando la commissione europea CEN/TC 226 di cui faccio parte – dice il Prof. Marco Anghileri, del Politecnico -. L'interesse per questa tematica si è sviluppato proprio grazie alle pressioni delle associazioni dei motociclisti". Non a caso in sala c'è Marco Guidarini, il presidente dell'AMI, l'Associazione Motociclisti Incolumi.
"Della questione si sta occupando la commissione europea CEN/TC 226 di cui faccio parte – dice il Prof. Marco Anghileri, del Politecnico -. L'interesse per questa tematica si è sviluppato proprio grazie alle pressioni delle associazioni dei motociclisti". Non a caso in sala c'è Marco Guidarini, il presidente dell'AMI, l'Associazione Motociclisti Incolumi.
L’attenuatore d’urto per motociclisti prodotto dalla Snoline è un realizzato in polietilene e deve essere collocato sotto l’abituale guardrail. Per metterne a punto il materiale di produzione, la Snoline ha dovuto miscelare un materiale plastico che mantenesse inalterate le sue caratteristiche meccaniche, indipendentemente dalla temperatura e senza la possibilità che i raggi ultravioletti le alterassero rapidamente.
La forma a doppia onda è stata studiata in modo da guidare e contenere il corpo del motociclista evitando possibili contatti con la lama del guardrail.
Particolare anche la costruzione cava piena d’aria, che dovrebbe permettere al DR46 di assorbire l’energia del corpo del motociclista.
“Il nostro attenuatore d’urto – dice l’ing. Luca Petrozzi della Snoline - non altera il comportamento delle barriere preesistenti, cosa proibita dalla normativa, non riduce la sicurezza della strada per gli altri veicoli, ha tempi di montaggio ridotti e si adatta a tutti i tipi di guardrail. Può inoltre essere prodotto in qualunque colore, anche se riteniamo che la visibilità del colore giallo crei immediatamente nel motociclista un livello di allarme che porta a una guida più prudente”. E’ vero: sulle curve della via Apecchiese, dove il DR46 è stato installato un anno fa, non ci sono più stati incidenti. La sola vista della protezione gialla sembra aver convinto i motociclisti della pericolosità di quelle pieghe.
Già, ma quanto costa? Dopo un’iniziale reticenza alla fine ecco la cifra: fra i 40 e i 50 euro al metro, montato. Cifra notevole, secondo noi, visti i bilanci magri delle amministrazioni. Ci sarebbe da considerare la riduzione delle spese sanitarie, ma quelle sono a carico del servizio sanitario nazionale, mentre i costi per la manutenzione stradale sono locali.
Altra nota dolente: in caso di urto il DR46 si rompe e va sostituito, anche solo nel segmento danneggiato. Il produttore assicura però che questo succede solo per urti di intensità particolarmente elevata, altrimenti la protezione tende a recuperare la forma originaria. E di questo abbiamo avuto dimostrazione nel crash test cui abbiamo assistito.
La forma a doppia onda è stata studiata in modo da guidare e contenere il corpo del motociclista evitando possibili contatti con la lama del guardrail.
Particolare anche la costruzione cava piena d’aria, che dovrebbe permettere al DR46 di assorbire l’energia del corpo del motociclista.
“Il nostro attenuatore d’urto – dice l’ing. Luca Petrozzi della Snoline - non altera il comportamento delle barriere preesistenti, cosa proibita dalla normativa, non riduce la sicurezza della strada per gli altri veicoli, ha tempi di montaggio ridotti e si adatta a tutti i tipi di guardrail. Può inoltre essere prodotto in qualunque colore, anche se riteniamo che la visibilità del colore giallo crei immediatamente nel motociclista un livello di allarme che porta a una guida più prudente”. E’ vero: sulle curve della via Apecchiese, dove il DR46 è stato installato un anno fa, non ci sono più stati incidenti. La sola vista della protezione gialla sembra aver convinto i motociclisti della pericolosità di quelle pieghe.
Già, ma quanto costa? Dopo un’iniziale reticenza alla fine ecco la cifra: fra i 40 e i 50 euro al metro, montato. Cifra notevole, secondo noi, visti i bilanci magri delle amministrazioni. Ci sarebbe da considerare la riduzione delle spese sanitarie, ma quelle sono a carico del servizio sanitario nazionale, mentre i costi per la manutenzione stradale sono locali.
Altra nota dolente: in caso di urto il DR46 si rompe e va sostituito, anche solo nel segmento danneggiato. Il produttore assicura però che questo succede solo per urti di intensità particolarmente elevata, altrimenti la protezione tende a recuperare la forma originaria. E di questo abbiamo avuto dimostrazione nel crash test cui abbiamo assistito.
Il laboratorio per le prove d’impatto del Politecnico di Milano è una struttura affascinante. Al suo interno si fanno test d’impatto per aerei ed elicotteri, ma anche per auto e guardrail. Il sistema di trazione è basato su un enorme pistone sotterraneo ad aria compressa che trascina un cavo d’acciaio, al quale può essere agganciata qualunque cosa.
Nel nostro caso, si usano circa 30 metri di corsa della slitta trainata, per imprimere al manichino la velocità di 60 Km/h senza che si muova sulla pedana di legno rivestita di teflon, per ridurre al massimo l’attrito di scivolamento.
Sopra la zona dell’impatto sono montate una batteria enorme di riflettori e due telecamere ad altissima velocità (2000 fotogrammi al secondo) riprendono il test, producendo altrettanti filmati di pochi secondi, ciascuno del peso di 2 Gb!
Subito dopo l’impatto, cui noi abbiamo assistito da un locale laterale, al riparo da possibili rottami volanti, il manichino appariva un po’ segnato nella zona del braccio destro. E segnato era anche il casco, cui – come detto in apertura - si era staccata la visiera.
“In questi test - ci dice il prof. Anghileri - l’impatto della testa non è mai troppo forte; raggiungiamo un HIC (Head Injury Criterion, indice dei danni alla testa) pari a 200, mentre per i test d’omologazione del casco il valore limite è 2000. A noi però in questo caso interessa soprattutto la dinamica del corpo, la deviazione che la barriera inferiore è in grado di imprimere senza apportare danni, come succederebbe invece con un guard rail normale”.
Che tipo di strumentazione ha questo manichino?
“Tre accelerometri nella testa e un trasduttore di forza a 6 campi alla base del collo”.
Tradotto dal linguaggio tecnico, si misurano le accelerazioni subite dalla testa del motociclista e le forze esercitate sul collo, che in molti casi di urti con guardrail non protetti possono portare alla rottura delle vertebre cervicali.
“Abbiamo condotto prove con il manichino in varie posizioni –continua il docente- e abbiamo messo accelerometri anche nell’addome, nel torace e alla base della colonna vertebrale. Però per questi valori mancano degli indici di lesione, dei protocolli cui fare riferimento”.
Ancora una volta il nodo è una normativa lacunosa. Ma questi crash test servono in ogni caso?
“No, perché a volte sono antieconomici. Se dovessimo in laboratorio tutti i guardrail esistenti, la spesa sarebbe enorme. Per questo a livello comunitario vengono accettate anche delle simulazioni al computer. In questo noi siamo parecchio avanti, avendo sviluppato già un modello numerico del motociclista”. In pratica al Politecnico hanno “scritto” in formule matematiche leggibili dal computer i dati del corpo umano tipo. Ne hanno calcolato masse, leve e dinamica in caso di caduta. In questo modo il computer, dotato degli opportuni programmi, può elaborare delle simulazioni grafiche di impatto del corpo contro barriere di tipo diverso, con differenti angoli, posizioni e velocità.
Nel nostro caso, si usano circa 30 metri di corsa della slitta trainata, per imprimere al manichino la velocità di 60 Km/h senza che si muova sulla pedana di legno rivestita di teflon, per ridurre al massimo l’attrito di scivolamento.
Sopra la zona dell’impatto sono montate una batteria enorme di riflettori e due telecamere ad altissima velocità (2000 fotogrammi al secondo) riprendono il test, producendo altrettanti filmati di pochi secondi, ciascuno del peso di 2 Gb!
Subito dopo l’impatto, cui noi abbiamo assistito da un locale laterale, al riparo da possibili rottami volanti, il manichino appariva un po’ segnato nella zona del braccio destro. E segnato era anche il casco, cui – come detto in apertura - si era staccata la visiera.
“In questi test - ci dice il prof. Anghileri - l’impatto della testa non è mai troppo forte; raggiungiamo un HIC (Head Injury Criterion, indice dei danni alla testa) pari a 200, mentre per i test d’omologazione del casco il valore limite è 2000. A noi però in questo caso interessa soprattutto la dinamica del corpo, la deviazione che la barriera inferiore è in grado di imprimere senza apportare danni, come succederebbe invece con un guard rail normale”.
Che tipo di strumentazione ha questo manichino?
“Tre accelerometri nella testa e un trasduttore di forza a 6 campi alla base del collo”.
Tradotto dal linguaggio tecnico, si misurano le accelerazioni subite dalla testa del motociclista e le forze esercitate sul collo, che in molti casi di urti con guardrail non protetti possono portare alla rottura delle vertebre cervicali.
“Abbiamo condotto prove con il manichino in varie posizioni –continua il docente- e abbiamo messo accelerometri anche nell’addome, nel torace e alla base della colonna vertebrale. Però per questi valori mancano degli indici di lesione, dei protocolli cui fare riferimento”.
Ancora una volta il nodo è una normativa lacunosa. Ma questi crash test servono in ogni caso?
“No, perché a volte sono antieconomici. Se dovessimo in laboratorio tutti i guardrail esistenti, la spesa sarebbe enorme. Per questo a livello comunitario vengono accettate anche delle simulazioni al computer. In questo noi siamo parecchio avanti, avendo sviluppato già un modello numerico del motociclista”. In pratica al Politecnico hanno “scritto” in formule matematiche leggibili dal computer i dati del corpo umano tipo. Ne hanno calcolato masse, leve e dinamica in caso di caduta. In questo modo il computer, dotato degli opportuni programmi, può elaborare delle simulazioni grafiche di impatto del corpo contro barriere di tipo diverso, con differenti angoli, posizioni e velocità.
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