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Danilo Petrucci, NESSUNO come lui!
Il 2022 è stato un anno incredibile per il pilota ternano in cui ha corso, senza mai fermarsi, dalla Dakar in cui ha vinto una tappa, al MotoAmerica sfiorando il titolo, alla MotoGP, per concludere con la 100KM dei Campioni. Ora, in attesa di ripartire per la prossima sfida, il Mondiale SBK con la Ducati del team Barni, si è fermato per raccontarsi
“Ho iniziato a correre il primo gennaio e ho smesso la settimana scorsa: è stato un anno molto intenso!” A parlare è Danilo Petrucci, il pilota capace di correre nello stesso anno la Dakar, il MotoAmerica, una gara in MotoGP, la 100KM dei Campioni e che ora si sta preparando per la sua prossima sfida: il Mondiale SBK in cui debutterà la prossima stagione con la Ducati Panigale V4R del team Barni.
“Dopo aver corso la seconda parte del 2021 in MotoGP con tante difficoltà, all’inizio l’idea di correre alla Dakar vista da fuori poteva sembrare l’elefante che va a morire lontano dal branco. E invece è stata la mia fortuna! Quella sfida mi ha ridato slancio e mi ha permesso di fare tutto quello che ho fatto quest’anno”.
Ti saresti mai aspettato di vivere un anno così?
“No, assolutamente. A fine novembre dello scorso anno sapevo avrei corso la Dakar, ma non avevo bene idea di cosa fosse. E non mi sarei aspettato di trovarmi qui avendo corso anche nel MotoAmerica e una gara in MotoGP. È stato un anno bello, ma talmente lungo che mi sembra di aver corso la Dakar tre anni fa!”.
Un anno indimenticabile
Cosa ti lascia il 2022?
“Tante soddisfazioni inattese. Certo mi dispiace moltissimo non aver vinto il titolo in America, ma riconosco che Jake Gagne se l’è meritato. A parte la prima gara in cui ha avuto problemi tecnici, con lui non c’è mai stata storia tranne quando ha piovuto. Ho sì perso il campionato all’ultima gara, ma non sono mai stato veloce come lui, anche se per essere un debuttante sono stato bravo. Per quanto riguarda la Dakar, è una cosa di cui ancora oggi non ho preso ben coscienza di ciò che ho fatto: vincere una tappa senza mai aver corso un rally è stato incredibile, e la Dakar mi ha lasciato dentro un tesoro di emozioni. Poi mi ha riempito di soddisfazione essere chiamato da Livio Suppo per correre una gara con la Suzuki in MotoGP in sostituzione di Joan Mir è stato un grande regalo, e ringrazio Ducati per avermi dato il via libera e la Dorna per avermi accolto con calore. Correre con una moto campione del mondo – e completamente diversa da quelle che avevo guidato in carriera – è stata una soddisfazione incredibile per me, e mi spiace molto, in particolare ora che ci ho corso, sapere che la GSX-RR sarà distrutta fra pochi giorni”.
Come stai affrontando questo inverno?
“È un altro inverno particolare. Per dieci anni ho corso in MotoGP, quindi il periodo dopo le gare era abbastanza identico anno dopo anno. Mentre già l’anno scorso, dopo il finale di stagione a Valencia, ho iniziato a prepararmi in vista della Dakar. Da lì non mi sono mai fermato e questo alla fine questo ha pesato molto sull’energia durante l’anno”.
Spiegaci meglio.
“Venivo da una stagione in MotoGP difficile e ho iniziato subito a preparami per la Dakar. Conclusa quella meravigliosa ma massacrante esperienza, ero davvero esausto; ma di nuovo non mi sono fermato e sono partito per correre nel MotoAmerica. Quest’inverno è ancora diverso, perché non sarà una preparazione molto lunga visto che i primi test della SBK li faremo a fine gennaio. Quindi ora mi sto godendo un po’ di giorni di vacanza, senza per il momento fare preparazione specifica che inizierò ad affrontare a gennaio. Intendiamoci, non è che abbia smesso di allenarmi, ma mi concedo un po’ i piaceri della tavola”.
Come ti stai allenando quindi?
“Faccio sempre molto cross, visto che quest’anno in America l’ho fatto pochissimo, e poi vado in palestra dove faccio molti esercizi a corpo libero per aumentare l’agilità. Io ho sempre il problema di non poter mettere su tanta massa visto che ne ho già abbastanza e devo stare attento a fare allenamenti mirati per non crescere troppo…”
Vincitore in MotoGP e alla Dakar, un primato unico
Vincere in MotoGP e alla Dakar: hai fatto qualcosa di unico. Come ti fa sentire questo?
“Orgoglioso. Mi piacerebbe che qualcun altro pilota della velocità seguisse i miei passi e si mettesse alla prova alla Dakar. Prima di questa gara io ero stato nel deserto al massimo cinque giorni, per dirti la mia prima duna l’ho vista a inizio dicembre. All’inizio non avevo idea di quanto lunga e difficile potesse essere una gara di quel tipo, ma una volta arrivato lì mi è venuto tutto con naturalezza. Guidare per tutte quelle ore a quelle velocità in quegli scenari mi ha esaltato, facendomi assaporare ancora di più la bellezza di andare in moto. È stato molto bello vincere una tappa, ma vincere la Dakar, lo so, è un’altra cosa”.
Come sei cambiato in quest’anno?
“Il mio sogno, come quello di molti bambini, era correre nella MotoGP e diventare campione del mondo. Io sono arrivato alla MotoGP, sono stato pilota ufficiale Ducati e ho vinto due gare, ma non il titolo. Per questo conclusa l’esperienza in MotoGP impegnarmi subito nella Dakar mi ha aiutato a trovare un nuovo equilibrio, mi ha tranquillizzato per certi versi. Il regalo più grande che potessi farmi è stato correre proprio quella gara, da lì in avanti ho cambiato il mio approccio alle corse: prendevo, per quanto possibile, le cose con un po’ più di calma e ragionamento. E spero di mantenere questo equilibrio anche il prossimo anno in SBK. Per me la Dakar è stato bello anche raccontarla dal vivo, far vedere come è fatta quella gara e come sono fatto io; e un’altra cosa che mi ha sorpreso è stato vedere quante persone si siano appassionate nel seguire la mia impresa”.
Quali sono stati i tre momenti indimenticabili del 2022?
“Di sicuro al primo posto metto la Dakar, anche se la tappa che ho vinto all’inizio non me la sono goduta. Appena tagliato il traguardo ci dissero che c’era pericolo di attentati, non si sapeva cos’era successo. Siamo arrivati e ci tenevano lì fermi. Volevo darmi alla gioia di aver compiuto un’impresa storica, non sapevo quello che stava succedendo e così nel lungo trasferimento verso Riad ragionai per due ore… In quei momenti pensavo a quando da piccolo tornato da scuola guardavo le videocassette della Dakar che mia mamma mi comprava e sognavo… mi girava nella testa di tutto. Poi finalmente, arrivato al bivacco, quando realizzai di essere stato l’unico al mondo ad aver vinto in MotoGP e alla Dakar è stato bellissimo. Come secondo momento, scelgo aver vinto ad Austin la prima gara della stagione del MotoAmerica. Al terzo, aver corso quella che potrebbe essere la mia ultima gara in MotoGP con la Suzuki”.
Qual è la cosa per cui torneresti alla Dakar?
“L’orgoglio di fare la gara più difficile del mondo e misurarsi con sé stessi. Perché in MotoGP non riesci a trasmettere tanto questa cosa: in MotoGP vai oltre al tuo limite per un tempo limitato. Alla Dakar questo impegno ce l’hai costante per due settimane, giorni in cui ti svegli fra le 3 e le 4 del mattino e vai a dormire alle 8 di sera. Dopo un po’ sei talmente provato che pensi solo a portare a termine la giornata: lì sei tu e la moto, pensi solo all’essenziale. Se però hai una moto spaziale come la KTM 450 correre ha un altro sapore, tanto che alla fine me la sono comprata!”.
La stagione nel MotoAmerica
Passando al MotoAmerica, cosa ti ha colpito di questa esperienza? Che aria si respira nel paddock?
“Il MotoAmerica è un mix fra il mondiale SBK, il CIV e il trofeo amatori. Un paddock in cui passione e professionalità si mescolano, in cui convivono top team e squadre di appassionati che arrivano con le moto sul carrello e magari hanno percorso 4.000 km in furgone per venire a correre. È un ambiente bellissimo, una sorta di ritorno alle origini delle corse per l’atmosfera che si respira”.
In America qual è stata la tua pista preferita?
“Road America. È una pista con tre rettilinei da fare in sesta e due curvoni da sesta. Purtroppo quando ci ho corso erano 25 anni che non rifacevano l’asfalto; so che lo faranno quest’anno e mi spiacerà non correrci”.
E come è stato vivere negli States?
“Negli anni della MotoGP ero stato solo in Texas e in California e pensavo che tutta l’America fosse simile: le grandi città sono bellissime è vero, ma ho scoperto l’altra America, percorso le sue lunghe distanze e attraversato posti fuori dalle grandi città che non ti immagini. Poi non sono uno che si lamenta del cibo, ma dopo un mese che vivi là e non riesci a capire se hai mangiato un pomodoro o una carota perché il sapore è lo stesso ti dà un po’ noia…”.
Avevi la possibilità di tornare a correre in America, ma alla fine hai scelto di lanciarti nel Mondiale SBK, qual è stata la molla?
“Ci ho messo un bel po’ a decidere. Da una parte volevo provare a vincere ancora nel MotoAmerica, poi ho pensato: ho già 33 anni e magari l’anno prossimo non avrò l’occasione di correre nel mondiale SBK. Parlando e riparlando della cosa con tanti alla fine avevo le idee un po’ confuse. Così nelle ultime settimane mi sono chiuso, ho preso il mio tempo, mi sono allenato molto con la moto da cross e in quei momenti ho pensato: a me piace guidare la moto al massimo del suo potenziale. E quest’anno mi è piaciuto correre e guidare la Panigale in America, ma lì usavo le gomme Dunlop mentre la Panigale V4 è ‘cresciuta’ con le Pirelli. Per essere competitivi negli States con le Dunlop avremmo avuto bisogno di ancora un po’ di tempo e così fra le due proposte ho scelto quella a mio avviso subito più competitiva: il team Barni per il Mondiale SBK”.
Il ritorno nel team Barni
E come ti sei sentito a tornare nella squadra di Barni?
“Quando sono arrivato da lui a Calvenzano mi ha fatto molto piacere che appese nel suo reparto corse ci fossero ancora tutte le mie foto di quando abbiamo corso insieme. Mi è sembrato di aver corso lì l’anno scorso! In questi anni sono sempre rimasto molto affezionato a Marco Barnabò e al suo team, ho dei ricordi bellissimi della nostra avventura insieme. I risultati ottenuti nel 2011 mi aprirono le porte della MotoGP l’anno successivo. Quello che da sempre mi ha stupito di lui era la sua passione per le corse, la capacità di riuscire sempre a mettermi a disposizione la moto più veloce e la sua scrupolosità”.
C’è un ricordo in particolare hai del periodo che avete trascorso insieme?
“Quando ho firmato il contratto abbiamo ricordato un momento decisivo della stagione 2011: quando per perdemmo la coppa del mondo STK1000. Eravamo al Nurburgring e la domenica il warm-up fu bagnato. Finito il turno la frizione faceva un po’ di fumo, poteva essere del vapore ma per sicurezza per la gara decidemmo di cambiarla. Era la corsa in cui ci giocavamo il campionato e che invece non finimmo perché, guarda caso, si ruppe proprio la frizione mentre io ero in testa alla gara. Un guasto che mi costò il titolo che andò a Davide Giugliano con la Ducati del team Althea. Ma la nostra squadra era così unita che nemmeno ci arrabbiammo, del resto non potevamo fare altro... Con il Team Barni sono stato bene, per questo sono felice di essere tornato, insieme abbiamo vinto la nostra prima gara in un campionato del mondo, abbiamo vinto il Campionato italiano STK1000 e siamo stati secondi nella Coppa del Mondo STK1000: ricorderò sempre con gioia il nostro 2011”.
Vedendo la stagione trionfale di Bautista, capace di vincere 16 gare in questa stagione, cosa ti aspetti dalla Panigale V4R in SBK?
“Alvaro ha fatto una grande differenza riuscendo a sfruttare tutto il potenziale della Panigale V4R, ed è lui l’uomo da battere. Non ho mai corso una gara in SBK non so a che livello sarò, è chiaro che il mio obiettivo è stare davanti e puntare a vincere ma non è che dobbiamo farlo alla prima gara o dobbiamo vincere il Mondiale…”.
L’esperienza avuta da Redding ti ha fatto pensare?
“Parlando con Dall’Igna, quando gli esprimevo i miei dubbi mi ha detto che la Panigale è capace di vincere con piloti piccoli di statura, ma che anche Redding è stato capace di vincerci, quindi... Adesso vorrei farmi la mia idea, salirci sopra e capire quanto sarà competitiva la nostra moto. Non manca molto”.
La nuova sfida: il Mondiale SBK con la Ducati
Da fuori che idea ti sei fatto della SBK che ti aspetta?
“È bella, le rivalità piacciono alla gente. Bautista è il campione del mondo e resta il riferimento, ma sono curioso anche di confrontarmi con Toprak Razgatlioglu e Jonathan Rea. Loro tre sono i piloti che hanno fatto vedere di aver qualcosa in più, ma non dimentico Rinaldi, Bassani, Locatelli e anche Lowes che in alcune occasioni è stato molto veloce. Poi non sottovaluterei le Honda di Lecuona e Vierge, la BMW con Redding. Insomma, gli avversari non mi mancheranno e spero che con il mio arrivo sempre più persone decidano di seguire le gare in TV e in pista”.
Sei stato pilota ufficiale, e hai vinto con la Ducati in MotoGP, per Ducati questo è stato un anno incredibile: ha vinto tutto nella velocità, cosa significa per te essere un pilota Ducati?
“Nel 2011 ero collaudatore della Ducati STK e nel 2019 sono arrivato a essere un pilota ufficiale Ducati in MotoGP: è un onore e un orgoglio incredibile esserci riuscito. E vincere, come è successo a me, con la Ducati al Mugello è il massimo che un pilota possa sognare. Da appassionato mi ha sempre colpito come tutti in Ducati abbiano molta passione: ogni volta che sono stato a Borgo Panigale ho respirato quel clima e per questo correre e vincere per loro è stata ed è una soddisfazione incredibile”.
La prima volta con la Suzuki in MotoGP
Tornando alla MotoGP: com’è stato tornare nel paddock per un weekend?
“Quando ho corso e vinto la prima gara del MotoAmerica ad Austin, che era in concomitanza con la MotoGP, sotto al podio vennero ad applaudirmi tantissimi piloti e uomini del paddock della MotoGP, anche squadre con cui non avevo corso, e mi sono reso conto di quante persone conosciute negli anni del Motomondiale mi volessero bene. Arrivato in Thailandia per correre con la Suzuki è stato bello rivivere l’atmosfera della MotoGP, senza però aver la pressione di quando ci correvo visto che non avevo nulla da perdere né da dimostrare, ma dovevo solo pensare a guidare la moto al mio meglio. Alla fine, è stato bellissimo”.
Come hai vissuto il ritorno in gara in MotoGP?
“Quel fine settimana le condizioni sono state critiche e la domenica se ci fosse stato il warm-up bagnato penso che sarei riuscito ad arrivare a punti. Solo che con l’arrivo della pioggia al momento della gara non sapevamo che molle montare nella forcella, non avevamo mai girato sul bagnato… non sapevano di cosa avessi bisogno, ma forti della nostra esperienza, insieme abbiamo fatto una scommessa. Peccato che poi in gara mi si sia scaldata la gomma anteriore e non sia riuscito ad andare dietro agli altri, ma almeno non ho chiuso ultimo. In gara poi ho trovato condizioni difficilissime in particolare nei primi dieci giri. Quelli in cui mi sono messo a pensare. Ho avuto paura come era tanto che non ne avevo. Ma in realtà una situazione così non l’avevo mai vissuta perché nelle gare sul bagnato quando correvo in MotoGP ero sempre davanti e invece questa volta mi sono trovato nelle retrovie ed è stata una condizione bruttissima, per spiegarti è come andare nella nebbia fitta in autostrada solo che davanti non vedi e non puoi chiudere il gas. È stata davvero una cosa paurosa…”
E rispetto a KTM e Ducati in cosa ti ha colpito della Suzuki?
“È una moto fatta con una filosofia, diversa a partire dal motore quattro cilindri in linea; e visto che io ho sempre guidato MotoGP V4 non mi scorderò mai la prima frenata: io guardavo da una parte e la moto andava dall’altra. Proprio perché abituato a frenare in un certo modo e mettermi in una posizione diversa, con la Suzuki ho dovuto fare reset. Ho dovuto cambiare stile di guida e tutto questo nel tempo di un weekend. La Suzuki predilige la velocità a centro curva, mentre con una V4 devi frenare forte e tirare su la moto prima possibile, per accelerare con la Suzuki questo stile non funziona, se in frenata arrivi forte tende un po’ a chiudersi. Avrei avuto bisogno più tempo per conoscerla, ma sono rimasto soddisfatto perché con le gomme usate sono stato molto veloce e ho preso meno di un secondo da Alex Rins. All’inizio il mio primo obiettivo era qualificarmi, poi quando ho visto che non ero nemmeno ultimo me la sono goduta. Un’altra cosa bella è stata lavorare con il team Suzuki, che oltre ad essere fra i più professionali del paddock è composto dalle persone più buone, uomini che già conoscevo con cui è stato un vero piacere lavorare”.
Cosa ti è mancato della MotoGP e cosa invece non ti è mancato affatto?
“Da una parte mi è mancata l’adrenalina di essere nel campionato più importante del mondo, quello in cui vai a cercare il decimo in una pista su cui giri in due minuti e arrabbi perché nelle FP3 sei rimasto fuori per 10 millesimi dalle Q2. Dall’altra sono stato contento di non essere più nel campionato più difficile del mondo (ride). La MotoGP richiede un impegno inimmaginabile: devi pensare solo alla moto e non aver altri pensieri, devi essere in totale armonia con te stesso e aver chiaro l’obiettivo a cui puntare. Per questo ho capito la scelta di Dovizioso quest’anno di fermarsi prima della fine del campionato. Perché anche io lo scorso anno sul finale di stagione con la KTM mi sono trovato in condizioni simili...”
Come lo vedi il 2023 della MotoGP?
“Prevedo un’altra bella stagione, come questa. Il campione del mondo Bagnaia e Bastianini sono molto forti, Quartararo e la Yamaha vorranno tornare a vincere, come vorrà farlo la Honda. Marquez anche quest’anno ha avuto problemi fisici, però si è visto che non è cambiato molto rispetto al passato e se può stare davanti fa di tutto per rimanerci. Lo vedo sempre molto veloce, non molla mai, anche in quelle volte in cui sembra che non ci sia bisogno di rischiare così tanto lui lo fa stesso perché è nella sua indole”.
Chi è Danilo Petrucci?
Chi è Danilo Petrucci quando si toglie il casco?
“Un ragazzo molto legato alla sua famiglia. Mi piace dire che sono uno di campagna che è rimasto a vivere in campagna e a cui piace stare con gli amici. Amici che, fortunatamente o sfortunatamente dipende dai punti di vista… sono tutti appassionati di moto e con cui mi piace trascorrere insieme giornate a fare cross o enduro”.
Cosa ti fa sentire bene?
“Avere gli amici di sempre e la famiglia vicini è quello che mi ha sempre portato a non trasferirmi lontano se non per brevi periodi. Casa per me più che un luogo è un sentimento. È bello fare il giro del mondo ma è altrettanto bello tornare a casa. Oggi mi piace ogni tanto passeggiare per le vie di Terni, fare la vita di un ragazzo normale cosa che per via delle corse da piccolo non ho fatto… anche se a Terni è difficile che io esca per strada e nessuno mi fermi”.
Per cosa vorresti essere ricordato?
“Per essere l’unico che ha vinto una gara della MotoGP, una tappa della Dakar e una manche della SBK… ecco, magari per quanto riguarda la SBK anche più di una!”
Qual è il tuo sogno?
“Sono già felice e fiero di quello che ho fatto, ma non sono ancora appagato, il mio sogno è arrivare a un punto della vita in cui ne avrò fatte talmente tante che potrei fermarmi e stare comodo sul divano… ma mentre lo dico mi viene in mente che, per come sono fatto, quel giorno forse non arriverà mai perché avrò sempre voglia di correre e di mettermi alla prova in nuove sfide. Quindi mi dovrete sopportare ancora un po’!”.
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