Comparativa dakariane ieri e oggi - Capitolo 2: Cagiva Elefant e Ducati DesertX

La rossa da deserto

E poi c’è lei, che con la Cagiva non condivide nome né marchio, ma geni ed ispirazione sahariana sì. La Ducati DesertX, attesissima dopo il successo del concept – su base Scrambler con motore ad aria – a EICMA 2019 e che punta a sparigliare le carte nel segmento. La linea aggressiva, moderna, nostalgica, è rimasta la stessa come pure la livrea, essenziale nel suo bianco perla ma con un accostamento di colori inconfondibile. 

Se nell’estetica, anche se traslata avanti di trent’anni, è ancora lei, il contenuto tecnico è quanto di più avanzato il mercato possa offrire. Il motore è il V2 ad acqua della Multistrada 950, con 110 cavalli nelle mappe a potenza libera. Sospensioni con forcella KYB da 46 mm e 230 di escursione. Elettronica raffinata e a punto: sei riding mode di cui due dedicati al fuoristrada, uno dei quali taglia la potenza a 75 cavalli. I trent’anni di sviluppo Ducati si vedono tutti: la meccanica è più compatta e l’ergonomia da seduti eccellente: manubrio lontano e sella compatta. Paga qualcosa tra le gambe quando ci si alza in piedi, per via del cilindro posteriore che impedisce di fare fianchi molto snelli. I meno alti potrebbero avere qualche difficoltà nei trasferimenti di carico da una pedana all’altra. 

Tosta era, e tosta è rimasta. Ma...

Come la sua progenitrice, la DesertX è tosta: non c’è aggettivo migliore per rendere l’idea del tipo di moto. Assetto sostenuto, rigido se vogliamo, dedicato alla guida sportiva. Su asfalto vince a mani basse, è la più potente e a livello ciclistico è un petardo. Nessun beccheggio, precisione in inserimento e percorrenza da riferimento: tra una curva e l’altra è un fulmine. Il motore non dà la botta sotto come un tempo, ma sale regolare ed esplode agli alti, oltre i 6.000 giri. Cambio eccellente, col quickshifter che in scalata fa la doppietta automatica: libidine. In ottica autostrada è decisamente migliorabile la protezione aerodinamica. Il parabrezza è molto rastremato, ma soprattutto lontano, e il flusso d’aria si richiude prima della testa del pilota: ad alta velocità si percepisce parecchia turbolenza. Poi metti le ruote fuoristrada e ti chiedi come possa essere la stessa moto che poco fa su asfalto pareva una mezza superbike, anche se il mono non digerisce tutto alla perfezione.

Rimane impegnativa, ben diversa come concezione da Honda, la concorrente diretta. Se l’Africa Twin è morbida e confortevole, Ducati è dura e ignorante. Ma non è un giudizio definitivo né negativo, semplicemente la DesertX apprezza e si fa apprezzare da chi riesce a condurla con decisione. Più si alza il ritmo più lei ti asseconda. Le sospensioni copiano bene nella prima parte di corsa e poi sono più sostenute: alle alte velocità è un treno. Dove la situazione si fa tortuosa invece paga qualcosa in termini di facilità d’uso. Insomma, è diametralmente opposta all’Africa Twin: quella è una moto da turismo, questa è una moto da corsa.

Il radar di Dueruote

Ci siamo divertiti ad accostare la moto moderna (i voti sono quelli relativi alla prova completa della DesertX) alla sua progenitrice, valutata con i parametri di oggi. Il confronto è naturalmente quasi accademico: zero elettronica, prestazioni imparagonabili e doti di guida lontanissime.

La Cagiva Elefant era già grande, quindi molto abitabile e adatta a viaggiare; in un mondo in cui le dimensioni sono cresciute a dismisura la DesertX sembra quasi più compatta, e decisamente più facile sugli sterrati, oltre che decisamente più veloce sull'asfalto dove mostra un DNA al 100% Ducati.

Mr. Cagiva: Federico Garbin

Genovese, classe 1984, Federico è un altro appassionato di dakariane non “di ritorno”: quando la sua Elefant 750 lasciò la concessionaria, lui aveva soltanto 10 anni. Ma la passione per la moto scorre in famiglia e Federico frequenta da sempre, motociclisticamente parlando, gli Anni 80 e 90. Così quando vede, all’imbarco di un traghetto per la Corsica, quella Elefant 750 che sembra una Marathon, inizia a corteggiarla. 

La moto appartiene a un dipendente Ducati, che ha aggiunto le parti autocostruite in stile Dakar, dal roadbook ai serbatoi supplementari; quando dopo qualche tempo decide di venderla, Federico la porta a casa per sostituire un’altra 750 blu e gialla. La moto non finisce in salotto ma diventa, nonostante l’affidabilità un po’ problematica degli esemplari di quegli anni, la sua compagna di viaggio: molto a posto di sospensioni, stabilissima e con tanta coppia, un vero piacere da guidare con l’unico handicap del disco anteriore singolo. E la DesertX? Per lui è un colpo al cuore: look di allora, meccanica moderna. E che meccanica...