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La crisi di Honda in MotoGP e il ruolo di Aleix Espargarò

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La crisi di Honda in MotoGP e il ruolo di Aleix Espargarò

L'arrivo di Aleix Espargarò nel team HRC non è un dettaglio, ma un elemento fondamentale per il ritorno di Honda al vertice. Per capire il motivo, facciamo un parallelo con l'ultimo grande momento di difficoltà sportiva dell'Ala Dorata: la NR500

Nessuno che non abbia i capelli completamente bianchi è abituato a vedere Honda nelle retrovie. Negli ultimi quarant’anni, in 500 e MotoGP ha vinto con i piloti più grandi e più iconici: Spencer, Lawson, Doohan, Rossi, Stoner, Marquez. Quando non ha vinto è arrivata seconda. Raramente terza. Nelle ultime stagioni, però, la Casa dell’ala si è avvitata in una crisi tecnica resa appena meno bruciante dal fatto che Yamaha versa nelle stesse condizioni (un po’ meglio a dire il vero) e Suzuki si è ritirata. Ma la débacle dell’Ala Dorata è qualcosa di cui non si ha memoria dai tempi della fantascientifica NR500, la 4 cilindri 4T con 8 bielle, 8 candele e 32 valvole nata per contrastare le 500 2T.

NR500: quando Honda tentò l'impossibile

Per chi non la ricordasse, fu commissionata alla fine degli Anni 70 da Soichiro Honda, da sempre avverso al 2T, al suo braccio destro in HRC Soichiro Irimajiri, che aveva già sviluppato le 4T da 50 cc (2 cilindri), 125 (5 cilindri) e 250 (6 cilindri), tutti mostri da quasi 20.000 giri. Salire col regime è indispensabile se vuoi correre con un 4T contro i 2T, sfida quasi impossibile a parità di cilindrata. Irimajiri e il capo motorista Toshimitsu Yoshimura avrebbero voluto un 8 cilindri, perché più cilindri hai meglio è per girare alto; ma dato che il regolamento fissava il limite massimo di 4 cilindri, tirarono fuori un V8 di 100° con le camere di combustione unite a due a due, in modo da restare nei limiti del V4. Non solo: lo raffreddarono con dei radiatori laterali e lo ficcarono in un telaio semi-monoscocca in alluminio abbinato a una forcella Showa a steli rovesciati e molle esterne. Tante innovazioni radicali tutte insieme, cosa che come si sa non è mai un buon viatico al successo. E infatti. Sulla carta, il motore della NR avrebbe dovuto girare a 23.000 giri al minuto ed erogare 130 cavalli. In realtà probabilmente non superava i 100 CV a 16.000 giri, aveva enormi problemi di raffreddamento e di affidabilità, oltre ad avviarsi con grande difficoltà: la sigla NR (New Racing) fu ben presto ribattezzata Never Run, “non va mai”. In gara fu un fiasco totale: al debutto nel 1979 a Silverstone, i piloti Mick Grant e Takazumi Katayama si qualificarono solo grazie al ritiro (pare “sponsorizzato”) degli ultimi due della griglia, ritirandosi poi dopo pochi passaggi. Al secondo tentativo, a Le Mans, nessuna delle due NR riuscì a qualificarsi a causa dei tempi troppo alti fatti registrare.

Lateral Thinking VS Forward Thinking

Alla fine Tokyo gettò la spugna, abbracciò il 2T e tirò fuori la NS500 a 3 cilindri e poi la NSR500 a 4 cilindri, che con un terzo dell’investimento diedero alla storia un’altra piega, rendendo Honda il costruttore più vincente nella storia della classe regina. Quando non ha vinto è arrivata seconda. Raramente terza. Quest’anno, però la RC213V è regolarmente fuori dalla top 10. Spesso penultima. A volte ultima. Eppure la RC213V non è la NR500. Non è un azzardo tecnico, è una moto che fino a poche stagioni fa era la migliore e resta, soprattutto, una moto “normale”. Ha un V4 con angolo tra le bancate di 90° come usano Ducati, KTM, Aprilia e Suzuki (quando c’era). Ha la distribuzione a valvole pneumatiche, il ride-by-wire, la frizione in carbonio, il cambio seamless, il telaio perimetrale in alluminio, le sospensioni Öhlins, i freni Brembo, la centralina unica Marelli, le gomme Michelin, appendici aerodinamiche. Non è un esempio di pensiero laterale ("lateral thinking"), ma un esempio di pensiero lineare ("forward thinking"). A parte il Desmo, è fatta come le Ducati che stanno davanti. La RC212V con il V5 a 75,5° usata da Valentino era diversa da tutte, e vinceva; questa è uguale alle altre e perde. Come mai? Le MotoGP delle prime stagioni – per non parlare delle 500 2T delle ultime stagioni – erano moto inevitabilmente meno affinate di quelle attuali. Tra il 2002 e il 2006 si videro motori a 3, 4, 5 e 6 cilindri, e Ducati era tentata di arrivare con un V2. Nella MotoGP attuale le ricette sono tutte molto simili in termini di motore, ciclistica, elettronica e aerodinamica, e la battaglia si gioca sui dettagli: l’ottimizzazione spintissima di ogni componente, la modellazione sempre più sofisticata delle gomme, lo sfruttamento più raffinato dell’aerodinamica. E naturalmente il manico del pilota, che deve spremere gli ultimi 2 o 3 decimi dal pacchetto.

Marquez e le 500 2T

Possiamo discutere del valore di Mir, Marini e Nakagami, ma senz’altro le difficoltà di Marquez nel 2023 erano il segnale che il pacchetto Honda paga qualche decimo ai migliori, diciamo Ducati e Aprilia. Limitandoci a quel che si vede, già solo l’aerodinamica della RC213V sembra meno evoluta di quella della Aprilia RS-GP o della Ducati Desmosedici GP24. Quindi sì, le moto di oggi si somigliano molto (ma che die delle 500 2T degli Anni 90), ma le leve su cui agire si sono moltiplicate con l'arrivo di elettronica e aerodinamica. Sarebbe stato più competitivo Marquez con una 500 2T? Probabilmente sì perché le vecchie 500 analogiche erano moto più "imprecise" e il pilota aveva più margine per metterci del suo: poteva tirar fuori anche più di un secondo. Le moto erano anche più disuguali nelle prestazioni, con molti prototipi avventurosi come le Elf, le MZ o le Paton; ma tolte le 2 Honda e le 2 Yamaha ufficiali, a volte una Suzuki e una Cagiva “buone”, gli altri prendevano distacchi abissali, venendo regolarmente doppiati. Ecco: il fenomeno dei doppiati è praticamente scomparso, tanto per dare un’idea della competitività della MotoGP di oggi. C’è stato un livellamento verso l’alto.

L'importanza di Espargarò

Il diavolo sta insomma nei dettagli, nella messa a punto del pacchetto. Certo, il regolamento 2027 rimescolerà le carte, ma lasciando spazio all’estro dei progettisti solo per qualche stagione. Poi, in un contesto stabile, tornerà a dominare l’ottimizzazione, terreno più dei bravi collaudatori che dei bravi piloti. E non è un caso che un bravo collaudatore venga oggi considerato e pagato quasi quanto un bravo pilota: Honda ha sottovalutato l’impatto di perdere Dani Pedrosa (che KTM si tiene ben stretto), e visto che Andrea Dovizioso non aveva intenzione di fare sviluppo, ha dovuto aspettare che si liberasse Aleix Espargarò, tassello fondamentale del programma per tornare ad alti livelli (con un top rider, quando sarà il momento). L’alternanza dei destini è una parte naturale e necessaria della MotoGP: se vincesse sempre lo stesso sarebbe una noia. Quindi godiamoci il momento d’oro di Ducati e Aprilia, ma prepariamoci a un ritorno di Honda e Yamaha, che prima o poi arriverà. I giapponesi lavorano sui tempi lunghi, e stanno mettendo sul tavolo tutti gli ingredienti.
La crisi di Honda in MotoGP e il ruolo di Aleix Espargarò
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