Anteprime
Tutta un'altra MONSTER
La più longeva e venduta delle Ducati arriva alla quarta generazione e cambia radicalmente: linea tutta nuova, 20 kg in meno e tanta elettronica. La Monster si lascia alle spalle il passato e per riconquistare i giovani
I nomi, dicevano i latini, sono la conseguenza delle cose. E così quando sentiamo il nome ‘Monster’, ci aspettiamo una moto nuda con un motore a L in bella vista, un telaio a traliccio e un serbatoio appoggiato sopra.
Quella Monster, però, non c’è più. Sopravvive nella 1200, che vista oggi sembra un pezzo di archeologia industriale. Perché finora le tre serie della Monster erano rimaste fedeli all’originale nelle proporzioni e nell’impostazione: e quindi un po’ ‘rétro’. Un po’ indietro, significa. Un po’ troppo lunghe, grosse, pesanti, allungate nella posizione di guida per tenere il passo delle naked di oggi. Ducati una cosa del genere non la poteva accettare: e così presenta ora una moto che è Monster nello spirito, ma non nell’aspetto. Un salto radicale, ma ritenuto ormai indispensabile.
Il taglio col passato
Già al termine della lunghissima vita (15 anni) della Monster originale, per sostituirla ci furono non pochi mal di testa. Alla fine lo si fece con la 696 del 2008, una moto tutta nuova ma sempre caratterizzata dalla fortissima linea ascendente disegnata dal telaio a traliccio, dal motore ad aria e dal serbatoio: in plastica, ma con la stessa forma. Persino la terza serie (2014), pur introducendo il telaio ‘front frame’ e il nuovo giro scarichi, faceva addirittura mezzo passo indietro con il serbatoio in acciaio e i colori classici.
Finora, insomma, la Monster è rimasta nel solco – estetico prima ancora che tecnico – tracciato dalla prima serie. Ma quello che nel 1993 era moderno, oggi è passato: al punto che la moto più giovanile di Borgo Panigale non parlava più ai giovani. Che della Monster che fu sanno poco o nulla, e che non consideravano più la 821 una vera opzione nel segmento.
Per la prima volta, la Monster taglia drasticamente con il passato: il telaio diventa in alluminio e quasi scompare, come anche il motore, per effetto del colore nero; il serbatoio si sgonfia nella parte superiore e non traccia più una linea ascendente nella parte inferiore
Back to the basics
Ci scuserete il lungo preambolo, ma la Monster non è una moto qualunque. È la moto che ha cambiato il mercato, minando il terreno delle sportive carenate e lanciando le naked. A lei, in un modo o nell’altro, si sono rifatti un po’ tutti; ed è stata soprattutto lei a portare Ducati da marchio di nicchia per impallinati di sportive all’italiana a fenomeno di costume. Per cui prima di parlare di come è cambiata e come è fatta la quarta serie, bisogna capire perché è arrivata ad essere così: con look molto diverso ma anche un feeling molto diverso, da “Ducati 2.0”. Figlio della stessa filosofia che ha prodotto la Streetfighter V4 e poi la Multistrada V4.
Per catturare l’essenza della prima M900, si è ripartiti dal concetto originale: prendere il telaio più sportivo di casa (là il traliccio in acciaio della 851, qui il front frame in alluminio), unirlo al motore più accessibile (allora il 900 due valvole, oggi il Testastretta 11°) e costruirci attorno la moto più essenziale e divertente possibile. Parliamo di 166 kg a secco e 111 CV assistiti da un’elettronica allo stato dell’arte, per capirci: siamo dalle parti della KTM Duke 890 R, della Triumph Street Triple RS, della MV Agusta Brutale 800 RR e ora anche della Aprilia Tuono 660.
Superato lo sconcerto iniziale, la nuova Monster mostra il suo lato più sensuale, con forme snelle e tridimensionali e la grande cura costruttiva a cui Ducati ci ha abituato negli ultimi anni
Parola d'ordine: essenzialità
Proprio la sua essenzialità fa sì che sulla Monster, da sempre, gli aspetti tecnici diventino aspetti estetici. Ed è qui che si fa la grande differenza rispetto al passato: anche se il front frame e il mono molto inclinato avrebbero consentito di mantenere la caratteristica linea ascendente di tutte le Monster, ci si è volutamente rinunciato perché ormai considerata rétro. Il risultato è una vista laterale che mantiene la sagoma a dorso di bisonte e il faro ultracompatto; ma le spalle del serbatoio puntano verso il basso, cambiando radicalmente i connotati della moto.
Dato che sia il telaio che l’inconfondibile motore a L sono verniciati in nero e quasi scompaiono, è proprio al serbatoio che è affidato il look della moto. Dotato di cover intercambiabili in stile 696, questo mantiene i caratteristici svasi ai lati ma è molto più stretto nella parte superiore, consentendo di guadagnare 7° di sterzata per lato. La sella a 820 mm (si può scendere a 800 o anche 775 mm) è inserita in un codino sfuggente che rimanda alla M900 come anche lo scarico basso, pur se i due terminali sono qui sovrapposti. Le sospensioni sono KYB con forcella rovesciata da 43 mm e mono cantilever; freni Brembo con pinze M4.32 all’avantreno.
La Monster abbandona l'aspetto della prima serie per recuperarne lo spirito: quello di una leggera ed efficace sportiva all'italiana
Elettronica da GP
La leggerezza non è solo estetica, perché la Monster ha perso ben 18 kg. Il front frame in lega di alluminio pesa 3 kg contro i 7,5 kg del traliccio 821, ed è accoppiato a un telaietto autoportante in composito (-1,9 kg) e al bellissimo forcellone scaricato (-1,6 kg). Altri 1,7 kg se ne vanno dai cerchi e 2,4 kg dal motore. Il Testastretta 11° nella sua ultima evoluzione cuba 937 cc e diventa Euro5. Mantiene la distribuzione desmodromica ed eroga una potenza massima di 111 CV a 9.250 giri/min, con una coppia di 95 Nm a 6.500 (ma è disponibile anche in versione da 35 kW). È abbinato a un nuovo cambio e al quickshifter DQS di serie. Resta un motore piuttosto lungo, che condiziona le scelte ciclistiche; l’interasse è comunque sceso da 1.480 a 1 .474 mm.
L’elettronica conta su una piattaforma inerziale a sei assi e su alcuni degli algoritmi più evoluti sviluppati in MotoGP, finora riservati alle V4. Organizzati negli immancabili Riding Mode, ci sono i Power Mode per la gestione dell’erogazione, l’ABS, il traction control e l’anti-wheelie cornering e addirittura il launch control; il tutto sotto controllo grazie all’intuitivo TFT da 4,3” comandato da due selettori sul bracciale sinistro.
Il cruscotto TFT si comanda con due selettori sul bracciale sinistro. La grafica è chiara e intuitiva, le numerose funzionalità sono ben organizzate
La ballerina con le mani da fabbro
Abbiamo potuto guidare brevemente un prototipo in fase avanzata di sviluppo, ma non definitivo nei dettagli e nella calibrazione, sulle colline nei pressi della fabbrica; e se è bello andare in giro per i colli bolognesi con una Vespa Special... a maggior ragione lo è con una Monster!
La prima sensazione alzandola dal cavalletto arriva dagli evidenti effetti della dieta. Che si traduce anche in maggior compattezza rispetto alla 821: la posizione è più moderna, meno allungata sul serbatoio che a sua volta è più smilzo tra le gambe. La triangolazione ha le pedane più basse e arretrate e il manubrio più vicino.
Non è insomma solo l’aspetto ad essere cambiato. La prima Monster aveva reso Ducati ‘mainstream’ senza però farle perdere quelle caratteristiche che hanno sempre diviso tra appassionati e detrattori: la posizione in sella, l’assetto rigido, il motore muscoloso ma tendente a strappare ai bassi. A Bologna stanno ora cercando di smussare gli spigoli mantenendo il meglio, e anche questa prima twin della nuova generazione conferma i progressi. A basse velocità si muove agile, con una frizione piuttosto morbida e un cambio preciso, ben assistito dal quickshifter. La sella è comoda, l’ergonomia perfetta e in Ducati ci hanno assicurato (la presa di contatto è avvenuta in una giornata fredda) che anche la trasmissione di calore dal motore al pilota è stata ridotta. Insomma: la Monster dà l’idea di essere diventata più trattabile anche nel traffico.
Su strada sorprende per quanto è intuitiva, neutra. La 821 ti faceva sentire molto la sua presenza, la guidavi abbracciato e un po' lottando con le sue inerzie. Questa invece sembra scomparire tanto è immediata a rispondere ai comandi
Scolliniamo e ci si apre davanti una strada tutta curve, larga e con un bell’asfalto. Eccoci finalmente al dunque: perché una Ducati deve farsi notare in passerella, ma soprattutto quando si fa sul serio. E ruotando con più decisione la manopola del gas, il pronipote di quello che una volta chiamavamo ‘pompone’ sfodera un timbro così profondo da farti accapponare la pelle, accompagnato a una spinta davvero esaltante. L’impressione è che, tra leggerezza generale e curva di coppia, ai medi non ce ne sia per nessuno: dai 4.000 ai 7.000 giri almeno, quelli più usati per strada, la Monster ti fionda da una curva all’altra con sincera veemenza e senza mai risultare scorbutica.
La 821 era una moto che ti faceva sentire tanto la sua presenza, mentre la nuova Monster sembra quasi scomparire lasciando spazio al divertimento. Non devi più sporgerti tanto per inserirla in curva, basta un minimo impulso a manubrio e pedane e lei scende in piega, tenendo bene la linea e potendo contare sulla solita frenata Ducati, dall’efficacia quasi disturbante.
Spalancando il gas la voce del motore si fa cupa e avvolgente, mentre una spinta ai medi davvero poderosa fionda la Monster da una curva all'altra, senza che si mostri mai nervosa nelle reazioni
La scommessa sul futuro
Non abbiamo potuto guidarla sul veloce e del resto si trattava di un esemplare di pre-serie, ma indubbiamente abbiamo trovato una Monster molto diversa: moderna, veloce, efficace e a quanto sembra (finalmente) anche più versatile, pur restando inconfondibilmente Ducati.
Ci vorrà più tempo per digerire il radicale cambio di immagine. Vista l’entità del cambiamento, si sarebbe forse potuto chiamarla in un altro modo, senza scontentare né i nostalgici né i giovani, ai quali la storia importa poco. A noi sarebbe piaciuto M937, un omaggio discreto alla prima M900. Se però Monster deve essere, allora questa moto dovrà aprire un nuovo capitolo. Una sfida impegnativa, ma che ha tutte le qualità per affrontare.
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