CBR una sigla leggendaria
La sigla
CBR è da quasi trent’anni (almeno dalla
CBR900RR del 1992) un nome nobile nel pantheon della sportività, anche se Honda negli ultimi anni ne ha un po’ diluito il pedigree con modelli meno aggressivi per prestazioni, linea e finiture, fatti per piacere un po’ in tutti i Paesi ma a volte un po’ sottotono per le aspettative degli esigenti appassionati europei.
È quindi con piacere che ci avviciniamo all’ultima incarnazione della media a
quattro cilindri di Tokyo, cui il nuovo family feeling “Fireblade” ha restituito tutto il fascino che merita. Anche lei si rinnova quest’anno come la sorella naked CB650R, sostituendo la “F” nel nome con una “R”, e il rinnovamento non si limita alla cosmesi, perché le due moto condividono le tante modifiche a telaio, motore ed equipaggiamento. Abbiamo quindi anche qui la forcella rovesciata
Showa SFF da 41 mm, le nuove piastre in alluminio, il telaio rivisto nella parte anteriore, il telaietto più corto e alto, i freni Nissin con pinza anteriore radiale, il nuovo cruscotto LCD e finiture molto più curate. Il motore riceve la cura rinvigorente basata sui nuovi condotti e assi a camme, il cambio e la frizione antisaltellamento rivisti e il nuovo scarico. Oltre alla attillata carena che lascia vedere un’ampia porzione del motore, la
CBR aggiunge alla ricetta due semimanubri ora montati sotto la piastra superiore, più bassi e avanzati di 30 mm per una posizione di guida più raccolta e sportiva, e il doppio condotto di aspirazione che realizza l’effetto “ram” aumentando la pressione nell’air-box al crescere della velocità.
Per quanto limitate, queste piccole differenze sono responsabili di un feeling generale piuttosto diverso tra le due moto. Anche la
CBR650R è accogliente e intuitiva
come la sorella, ma comunica subito una maggior grinta, legata alla posizione di guida e a un motore che appare più vivo. Va detto che
l’unica vera differenza tecnica è nei condotti di aspirazione, per cui tanto fanno le sensazioni generali, guidate dai manubri bassi che avvicinano alla cassa filtro, facendone udire più distintamente il rumore, e filtrano in misura minore le vibrazioni.
La CBR è insomma più “
diretta” della CB nel comunicare le sue reazioni, senza per questo risultare inospitale; la posizione di guida resta adatta anche ai più alti e permette di godersi lunghe sgroppate senza risultare costrittiva; sono piuttosto le vibrazioni, che i semimanubri smorzano meno rispetto al manubrio biconico della CB e sono avvertibili
attorno ai 130 km/h, che possono raccomandare una sosta in più nel caso di lunghi viaggi. Ma parliamo comunque di un quadro molto buono in termini di equilibrio generale.
Quest’ultimo è in assoluto il tratto che più caratterizza la CBR650R. Le "supersport" 600 di Yamaha, Kawasaki o anche MV e Triumph sono moto tanto goduriose in pista quanto antipatiche in strada, dove non fanno nulla per mascherare la loro voglia di andar forte. La Honda segue invece un’altra strada, privilegiando il gusto di guida. I suoi 95 CV non sono pochi, ma il quattro cilindri è un motore che non alza la voce e non risponde mai in modo brusco. Perfetto per andare a spasso fino ai 7.000 giri/min – coadiuvato da un quickshift di dolcezza esemplare – cambia passo sopra questo regime, allungando fino ai 12.000 indicati con un vigore che non arriva mai a farsi chiamare cattiveria.