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Valore o prezzo? Italia VS Cina, due estremi opposti nel mondo della moto

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 06/04/2025 in Attualità
Valore o prezzo? Italia VS Cina, due estremi opposti nel mondo della moto
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Valore o prezzo? Italia VS Cina, due estremi opposti nel mondo della moto

La Cina opera con una modalità diametralmente opposta all'Italia: razionalizza e uniforma all'estremo per abbattere i costi. Questo approccio sta diventando evidente anche nel mondo della moto: con quali conseguenze?

L’altro giorno ero al supermercato a comprare delle patate. C'erano patate dei colli bolognesi, patate della Sila, patate bio, patate con selenio e via dicendo. Ora la patata è l’esempio che si fa su tutti i libri di economia di una "commodity", cioè un bene sul quale non è possibile fare differenziazione: le patate dovrebbero essere tutte uguali e costare tutte uguale. Come il sale, se non fosse che anche sullo scaffale del sale trovi ormai quello di Volterra, quello della Sicilia, quello rosa, quello nero e quello aromatico.

Questo succede perché siamo in Italia, il Paese dell'individualismo e del campanile. Un Paese di gente che non tollera di mangiare le stesse patate del vicino di casa e di salare con sale "normale": e di conseguenza un Paese dalla naturale vocazione a "de-commoditizzare", ovvero a trasformare beni teoricamente tutti uguali in beni tutti diversi, con valore diverso. Solo gli italiani hanno saputo trasformare i jeans in capi di alta sartoria, i piatti della tradizione popolare in piatti "stellati" e le piccole 50 e 125 2T, nate come mezzi utilitari, in moto che non avevano nulla da invidiare alle "mille" giapponesi.

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Made in Italy = de-commoditizzazione

Questa attitudine alla de-commoditizzazione è stata, a partire dagli Anni 60 del secolo scorso, uno dei nostri punti di forza sui mercati di tutto il mondo. Quando dici "Made in Italy", dici largamente "de-commoditizzazione", perché dove l’italiano si è messo d’impegno, ha di solito tirato fuori qualcosa di unico. E per avere prodotti più curati, diversi, quando non addirittura unici, gli acquirenti italiani e stranieri sono sempre stati disposti a pagare di più: il che spiega la concentrazione di marchi esclusivi al punto da sconfinare nell’ambito del lusso come Ferrari, Lamborghini, Maserati ma anche, per restare tra le moto, Ducati, MV Agusta, Bimota. Al di là dei loro risultati commerciali e finanziari, se guardiamo al solo prestigio nessun altro Paese al mondo ha così tanti marchi premium.

Chi ci ha sfidati su questo terreno, finora, lo ha fatto con un sistema simile al nostro: una battaglia ad armi più o meno pari. I giapponesi nella seconda metà del secolo scorso hanno puntato su una tecnologia sopraffina e un'affidabilità irraggiungibile. Poi gli europei hanno reagito puntando su prestazioni ancora maggiori e una personalità più spiccata. Moto sempre più diversificate e costose, sempre più pensate come mezzo di espressione di sé, e quindi sempre meno "commodity". Una lotta colpo su colpo, una corsa agli armamenti in cui – come abbiamo già spiegato – la spirale di tecnologia, prestazioni e prezzi ha fatto perdere di vista una parte importante del mercato: le moto semplici, economiche, accessibili.

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Arriva la Cina: la commoditizzazione

Negli ultimi 10 anni questo modello della de-commoditizzazione è stato messo alla prova dalla concorrenza di una nazione che opera scientificamente nella direzione opposta: la commoditizzazione. Questa nazione è la Cina, che trasforma in prodotti low cost tutto quello che tocca: dall’abbigliamento alla birra, dai telefoni cellulari agli scooter elettrici. Dove gli italiani differenziano, riducono i volumi, aumentano la sofisticazione e i prezzi, i cinesi standardizzano, aumentano i volumi, limitano la sofisticazione al minimo indispensabile e abbattono i prezzi per vendere il più possibile.

Vendere il più possibile è la grande missione della Cina, più o meno da quando la Cina esiste – e sono migliaia di anni. Ci sta oggi riuscendo con le sue moto, con la ricetta che ormai conosciamo: piattaforme razionali e declinate in più versioni possibile, volumi enormi, taglio delle rifiniture sia costruttive che di messa a punto, compressione di spese considerate "superflue" come il marketing e l'assistenza post-vendita, perché il modello è che quel che è vecchio o rotto si butta. Altra differenza con l’Occidente: Italia e Giappone, che hanno sempre pagato salatissimi l'acciaio, il petrolio e l’elettricità, hanno sviluppato prodotti pensati per durare nel tempo. I cinesi, con materie prime accessibili e volumi enormi, hanno fin qui ragionato in termini di "usa e getta", un po’ come i palazzi americani che vengono demoliti e ricostruiti, anziché restaurati.

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La forza della Cina: visione, materie prime, mercato interno

Questa disponibilità di materie prime e di energia a basso costo, orchestrata a livello nazionale, è il vero punto forte della Cina, insieme con politiche di sostegno all’industria chiare e a lungo termine. Se la Cina dice che punterà sull’auto elettrica, le aziende cinesi sanno che per un orizzonte di almeno un decennio il governo lo farà, con sussidi e politiche che faranno crescere il mercato, tenendole al riparo da scossoni come quelli che stanno azzoppando l’industria europea. La manodopera sottopagata, invece, è un mito che non ha probabilmente più alcun fondamento, perlomeno nelle grandi aziende.

Le aziende cinesi sono aggressive e ambiziose: non si accontenteranno di vendere paccottiglia, vogliono coprire tutti i segmenti, anche quelli prestigiosi. Finora abbiamo guardato le loro moto dall’alto in basso, come proposte prive di gusto e di qualità; ma la fortissima pressione della globalizzazione culturale e il sistematico impegno dei cinesi nel migliorare il loro design e la loro tecnologia ha ormai reso i loro prodotti appetibili anche dal pubblico occidentale. Se guardiamo alle auto, il confronto è in certi casi addirittura imbarazzante: ci sono auto elettriche cinesi performanti e rifinite quanto una Porsche Taycan vendute a un quarto del prezzo.

La Porsche è sempre la Porsche? Certo, ma quanto a lungo se il suo vantaggio in termini di prestazioni e di stile si riduce a quasi zero? E lo stesso vale per le moto, che per qualche motivo stanno arrivando con qualche anno di ritardo. Ma basta vedere l'ultima generazione di motori cinesi, dai moderni 3 cilindri di CFMOTO e Zontes al V4 da SBK di CFMOTO, per capire che la Cina sta arrivando con modelli molto simili ai nostri, se vogliamo anche copiati, ma "commoditizzati", cioè standardizzati e prodotti in numeri enormi – anche cento volte quelli a cui siamo abituati – per avere prezzi nettamente inferiori, spesso anche la metà.

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C'è cinese e cinese

Il tema centrale è quindi questo: dopo lo sconcerto dei primi anni, ci siamo resi conto che i giapponesi giocavano la loro partita con le nostre stesse regole – anche perché erano come noi privi di materie prime, e il costo della vita e della manodopera in Giappone si è rapidamente allineato al nostro. Questo ha consentito alle Case occidentali e a quelle giapponesi una (quasi) pacifica convivenza durata decenni.

I cinesi invece sovvertono le regole del gioco: è la disruption di cui abbiamo già parlato. Almeno a giudicare da quanto sembra, non vedono le moto come le vediamo noi occidentali. Non provano per loro particolare empatia, trasporto o affetto: sono un prodotto da vendere come un altro. Una commodity. Se l’Europa vuole le 500 crossover, loro fanno le 500 crossover. Se l’Europa vuole le 1.000 sportive, loro fanno le 1.000 sportive. Le fanno meglio che possono, e poi si dedicano ad altro. Intendiamoci, non che in Europa e in Giappone non sia questo il normale processo di sviluppo; ma la Cina pare aver fatto più di un passo avanti nella direzione della "spersonalizzazione" dei prodotti.

Poi è chiaro, come sempre bisogna fare dei distinguo. Delle Case più presenti sul nostro mercato, si va da un estremo all’altro: QJ sembra la più interessata ai soli numeri di mercato, CFMOTO la più "occidentale" per cura dei prodotti, dell’immagine e ambizioni sportive e Voge/Loncin sta un po' nel mezzo. Quindi se la traiettoria di CFMOTO sembra un po' meglio decifrabile, quella di QJ in particolare è la più preoccupante: addirittura non c’è sinergia tra il brand QJ e i suoi controllati come Benelli o Keeway: il mandato da Casa madre è che ognuno vada per la propria strada e vinca il (commercialmente) migliore.

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Il criterio del prezzo più basso

Questo ci porta allo snodo fondamentale del discorso: nella partita della commoditizzazione, chi è che vince? Gli economisti la loro risposta la hanno data da anni, ed è molto semplice: meno i prodotti sono distinguibili fra loro, più l'unico criterio di scelta razionale diventa il prezzo. Se le patate e il sale sono tutti uguali, al supermercato compro quelli che costano meno (prodotti). Se le moto cinesi di una certa categoria sono tutte equivalenti per dotazioni, prestazioni e look, compro quella che costa meno. E se le BMW o le Ducati non riescono a comunicare di avere un "valore" diverso dalle concorrenti cinesi che costano di solito la metà, compro le concorrenti cinesi.

Si parla tanto di concorrenza sleale da parte dei cinesi, che godono di un mercato interno molto "guidato" e generalmente di un solido sostegno da parte dello Stato. Ma la competitività della Cina non si spiega certo con i famigerati operai sovrasfruttati e sottopagati, che chi ha viaggiato in Cina negli ultimi anni non ha mai visto, bensì con le condizioni favorevoli realizzate dal governo cinese per la sua industria: materie prime a basso costo, energia a basso costo, burocrazia semplificata. Condizioni che bisognerebbe cercare di replicare in Occidente se vogliamo competere – e che è quello che Donald Trump, senz'altro in modo molto rozzo, sta cercando di fare negli Stati Uniti.

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I rischi della commoditizzazione diffusa

La commoditizzazione è pericolosa perché, come si dice, "distrugge la struttura di profitto" del settore in cui avviene. Ci abbiamo messo anni a creare un mercato per le patate della Sila e quelle col selenio, facendo capire ai consumatori le differenze, e soprattutto il valore di queste differenze; ma basta un attimo per spazzare via tutto. Finora le moto occidentali restano più curate, sofisticate e performanti delle cinesi; ma la Cina sta facendo passi da gigante, e quando le prestazioni e il design non faranno più tanta differenza, saranno sufficienti il blasone e l’attenzione ai dettagli a giustificare la differenza di prezzo?

Dipenderà da quanto tempo ci vorrà e a cosa succederà alla Cina nel frattempo. Diventerà come il Giappone, allineandosi all'Occidente per costo della vita e dei prodotti e iniziando a giocare con le nostre regole? O continuerà a giocare la partita della commoditizzazione, causando uno shock irreversibile al mercato? Per il momento non è ancora possibile dirlo. Ma i giapponesi come abbiamo visto si stanno preparando al peggio, e se fossi un costruttore europeo di moto, non dormirei sonni tranquilli.

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