Attualità
Ora basta: sulle moto cinesi avete rotto le scatole

In giro per i social troviamo troppo astio e pregiudizi nei confronti delle moto di produzione orientale. Contro cui si sta scatenando una tifoseria rumorosa e sguaiata. Proviamo a mettere in fila alcuni ragionamenti e a spiegare (con pacatezza) perché dovremo ringraziare Benelli, Moto Morini, Morbidelli e compagnia bella
Andiamo dritti al sodo: il tema è quello - non più nuovo, ma sempre generatore di sentimenti contrastanti - delle moto cinesi. Analizzando infatti i tanti commenti (alcuni decisamente sguaiati e pieni di volgarità, cifra sempre più comune dei social network di oggi) giunti a proposito del test della Morbidelli T 1002 VX, viene da chiederci che cosa sta succedendo all'intelletto di molti.
Ormai in Italia la discussione ponderata ha ceduto il passo alla polarizzazione, al tifo da ultras per qualunque cosa, al "con me o contro di me". E chi è contro di me è un cretino, ca va sans dire. Ovviamente, se noi di Dueruote proviamo una moto cinese e questa moto ci piace, quindi decidiamo di parlarne bene, siamo i "soliti venduti" ai cinesi.
Senza considerare coloro che apprezzano questo genere di moto, e che vengono bollati frettolosamente come "motociclisti non veri", persone scarsamente competenti in materia, gente che non sa guidare davvero. Come se per ricevere la patente di "vero motociclista" sia semplicemente necessario possedere un veicolo blasonato e che costa più di 20mila euro.
Per una volta, però proviamo a ragionare.
1. LA PROVENIENZA DELLA MOTO NON NE FA LA QUALITA'
A volte - e su questo facciamo (dovremmo fare tutti) "mea culpa" - per semplificare ci riferiamo a "moto cinese" solo per ridurre all'essenziale un concetto. Ma dietro a tale aggettivo non c'è una volontà di sminuire il livello qualitativo e la durabilità di un prodotto. Ormai - e questo lo sanno anche i sassi - dalla Cina potevano arrivare prodotti scadenti negli Anni 80. Ma a livello meccanico ed elettronico il livello dei prodotti motoristici che vengono commercializzati in Europa è equivalente a quello dei brand più blasonati. Il prezzo invece non è lo stesso: grazie alle economie di scala di cui i cinesi sono capaci, riescono a vendere tali prodotti a cifre con cui i costruttori europei non possono competere.
In un mondo globale, inoltre, riferirsi alla "cinesaggine" di un veicolo come modo per sminuirlo è poco rilevante. Definireste mai "thailandese" una Ducati Scrambler, la cui qualità è oggettivamente senza macchia? O "vietnamita" uno scooter premium prodotto da Piaggio? E siamo così sicuri che una BMW fatta a Berlino o una KTM fatta in Austria siano esenti da pecche strutturali solo perché costruite nella vecchia Europa?
2. BISOGNA SUPERARE I PREGIUDIZI
Siamo tutti un po'razzisti e provinciali: questo è un corollario del primo assunto. Siamo abbagliati dalla provenienza degli oggetti e soprattutto dal marchio che portano. Quello che è fatto in Casa nostra è meglio di ciò che proviene da fuori. Il sovranismo produttivo ci ha mandato in tilt il cervello e non sappiamo più valutare con la necessaria lucidità il reale valore dei beni. Moto e scooter, in questo, non fanno eccezione. Certo, specialmente sul basso di gamma è ancora probabile imbattersi in prodotti di valore medio o mediocre, ma crescendo di cilindrata il gap qualitativo coi costruttori europei e giapponesi tende ad annullarsi. Difficile dimostrare che le cose non stiano così.
3. LA MOTO (GRAZIE AI CINESI) E'PER TUTTI
La moto, almeno in Europa, è un veicolo "leisure", ovvero che risponde a una necessità voluttuaria, non legata tanto alla mobilità e al commuting (per cui esiste lo scooter), quanto al viaggio e al divertimento, all'appagamento di bisogni aspirazionali. Pertanto, chi può farlo, non bada a spese per regalarsi questo "vizio".
Chi invece non ha un'elevata capacità di spesa, per comprarsi la moto prima d'ora aveva solo la possibilità di rivolgersi al mercato dell'usato. Ma l'esplosione dei costi dei veicoli di seconda mano, unita all'arrivo di nuovi operatori sui nostri mercati (in principio fu Benelli) hanno permesso a molti aspiranti motociclisti di tornare in sella con prodotti entry level, dai prezzi abbordabili e dalla ottima qualità costruttiva.
Se c'è una cosa di cui bisogna rendere merito ai costruttori cinesi, è stata quella di aver democratizzato la moto in Italia, allargando la platea degli utenti. E tutto grazie a una politica di prezzo piuttosto intuitiva: il costo è di 1.000 euro ogni 100 cc, per cui la 1.000 costa 10mila euro, la 800 8mila e via discorrendo. Un'aggressione al mercato che ha costretto o sta costringendo i produttori tradizionali ad adeguarsi.
4. I CINESI POSSONO SPERIMENTARE
Un tempo era possibile vedere soluzioni tecniche e tecnologiche sperimentali su moto europee o giapponesi. Honda ha provato di tutto prima di arrivare ad uno standard di produzione, e persino in Italia succedeva spesso. Basti vedere Bimota Tesi (lei ci ha insegnato che non esiste solo la forcella come metodo di sospensione anteriore), oppure la Benelli (quando era italiana) Tornado Tre 900 con il suo radiatore posteriore, una follia per oggi.
Questi tempi sono finiti da un pezzo e adesso Giappone e Europa si concentrano sulla realizzazione di moto che principalmente funzionino bene, in maniera piuttosto classica, e soprattutto che abbiano un senso. Basti vedere come quasi tutti si siano calmierati sulla questione cilindrata portando alla scomparsa delle supersportive.
La Cina invece non la pensa così. E' arrivata con modelli piuttosto bizzarri, un esempio sono le particolari scelte di Benda, e non sempre punta al piacere di guida. La Cina sembra che stia lavorando come nel mondo auto in cui prevale ciò che viene offerto dal pacchetto complessivo più delle prestazioni, e spesso questa si è rivelata una soluzione azzeccata. Ed è anche l'unica potenza economica che può permettersi di farlo e sopportarne i costi. Ed e quindi l'unica che potrebbe introdurre una nuova tendenza nel mercato delle due ruote. Alla fine già è successo con le crossover di media cilindrata...
5. UNA TENDENZA CHE NON SI FERMA
Con buona pace degli aficionados della marca (che immagino siano gli stessi per cui se non hai un iPhone o un Samsung da almeno mille euro non sei nessuno), la tendenza alla cinesizzazione del mercato non si ferma qui, anzi. Analizzando il mercato italiano, lo zoccolo premium è molto costante nel tempo in termini di vendite (vedi i risultati di BMW e Ducati, i marchi premium per eccellenza) e cresce solo per merito di un mercato che sale e premia grosso modo tutti i player, oltre che grazie a quei costruttori come Triumph che partivano da volumi bassi, i cui dati fisiologicamente non possono salire in eterno.
Il mercato, in un Paese come l'Italia in cui la capacità di acquisto cala a causa di un'inflazione forte, può crescere solo grazie a un'offerta "value for money", non fatta solo di prezzi bassi ma di un compromesso tra quattrini e qualità in cui quest'ultima tende a crescere sempre di più.
E a offrire ciò, possono essere solo i nuovi costruttori provenienti dall'oriente (e anche dall'India).



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