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Attualità

Airoh: la scoperta dell'America

Marco Gentili
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Airoh: la scoperta dell'America
Airoh: la scoperta dell'America

L’azienda bergamasca che produce caschi si prepara a sbarcare oltreoceano: “Entriamo in punta di piedi in un mercato difficile”, dice a Dueruote il suo vulcanico fondatore

Nel cuore della provincia di Bergamo c’è la Helmet Valley: nel raggio di pochi chilometri si concentrano infatti tre grossissimi produttori, che fanno dell’italianità la propria bandiera. Uno di questi è Airoh, uno dei marchi italiani più noti al mondo, grazie soprattutto alla lunghissima tradizione nel campo dell’off-road. “Abbiamo avuto il privilegio, ma anche la fortuna, di incrociare sulla nostra strada un giovanissimo Tony Cairoli e tanti altri piloti, che ci hanno permesso di crescere ed evolvere i prodotti e portare alla vincita di quasi 100 titoli mondiali. E abbiamo stretto un sodalizio che dura ancora oggi”, dice Antonio Locatelli, la mente che ha creato e che ancora oggi guida Airoh. Che si appresta ad entrare “in punta di piedi” sul mercato americano, laddove Airoh è un must per i piloti che corrono in pista ma che, finora, è rimasto solo un oggetto del desiderio per i tanti appassionati di fuoristrada.  
Antonio, a che punto siete con l’omologazione DOT, necessaria per commercializzare caschi oltreoceano? “Ci stiamo preparando per offrire un prodotto in linea con gli standard DOT, che ricordo è un’autocertificazione. Negli Usa, infatti, i controlli di conformità vengono fatti sui prodotti in vendita sul mercato. Potremo così soddisfare una domanda fortissima che arriva da quel Paese”. Come arriverete negli Usa? “Sbarcheremo in punta di piedi, si tratta di un mercato importante per la nostra crescita. Partiremo nella prossima stagione, portando una serie di prodotti selezionati”. Tra questi, non potrà certo mancare il nuovo Aviator 3, il casco di punta della gamma off-road. “Certo. Si tratta di un casco rivoluzionario, un concentrato di tecnologia, realizzato con 4 calotte esterne in fibra di carbonio. Rispetto all’Aviator 2.3 è diverso: l’utente si dovrà abituare alle sue forme innovative, è leggermente più grande perché abbiamo aumentato i volumi per coprire più taglie e calzata”. In tema di gamma, cosa porta il 2021? “Al fianco dell’Aviator 3 avremo lo Strycker: si tratta sempre di un casco off-road di fascia medio-alta, realizzato in tre differenti calotte in fibra, e sarà disponibile già alla fine del 2020”. Sul fronte degli stradali, invece? “Anche in questo caso saranno due le novità: in primavera arriverà un modulare con mentoniera basculante che gira a 180 gradi. Al suo fianco, avremo un modulare più tradizionale, battezzato Specktre. Inoltre, rinfreschiamo la gamma con una serie di livree rinnovate”. A oggi qual è il vostro mix di mercato? L’off-road è sempre preponderante? “Attualmente il fuoristrada pesa per il 60%, ma la quota degli stradali sta crescendo di anno in anno. Puntiamo a un mix perfetto, tenendo da un lato la nostra posizione di leader nell’off-road, e potenziando la gamma strada dall’altro”. Ormai Airoh è una realtà distribuita in 80 Paesi nel mondo. Questo vi permette di avere una panoramica sul mondo dei caschi. Come stanno cambiando i gusti a livello globale? “Abbiamo una gamma equilibrata a livello di vendita, che segue la stagionalità del prodotto, ma non è necessariamente radicata al clima o al tipo di territorio. Ad esempio, noi nel Nord Europa andiamo molto bene con la gamma off-road”. Perché? “I nostri caschi sono amatissimi da tutti coloro che guidano motoslitte, per la loro leggerezza e versatilità. E da quelle parti si tratta di un mercato molto importante”. Nell’anno della pandemia mondiale, come sono andati gli affari per voi? “Il Covid-19 ha risvegliato in tutto il mondo la voglia di moto e di mobilità individuale, per cui la domanda di caschi ha avuto un’impennata, dopo la riapertura a maggio”. Oggi il cliente che acquista un casco, che cosa cerca? “In generale il motociclista è sempre più preparato e documentato. E acquista il casco in negozio, perché lo vuole provare. Ritengo che il cliente sia sempre attento al brand, ma soprattutto si concentri su qualità e sicurezza. Il prezzo è una delle ultime leve per questo tipo di acquisti. Esso determina una soglia psicologica che può essere superata solamente da motivazioni valide, ovvero contenuti tecnici e di sicurezza”.  
Non sono molti i brand che investono nei caschi per bambini. Perché lo fate? “Perché è un mercato ad altissimo potenziale. Ci rivolgiamo alla platea dei piccoli corridori, dei giovanissimi che si avvicinano al cross e all’enduro, offrendo loro prodotti ad altissima tecnologia. E i genitori non badano a spese per la sicurezza dei propri figli”. Nel mondo dei caschi non è mai entrato in vigore il concetto di “scadenza” del prodotto, nonostante gli sbalzi di temperatura influiscano negativamente sulle prestazioni della calotta interna. Voi sareste d’accordo nella sua introduzione? “Il casco è innanzitutto sicurezza. Noi consigliamo ai nostri clienti una sostituzione media ogni tre anni. Per cui sì, in prospettiva futura è un’idea che ci vede favorevoli”. Sul fronte sicurezza, gennaio 2021 vede l’introduzione della ECE 22.06. “Dopo più di 10 anni, la vecchia omologazione 22.05 va in pensione. Il nuovo standard garantisce una maggiore protezione, grazie all’introduzione di nuovi test di laboratorio sugli impatti rotazionali e su quelli ad alta e bassa intensità di energia”. Voi siete già pronti per l’appuntamento? “Ci stiamo preparando, grazie ai nostri laboratori ed alle tecnologie di cui disponiamo internamente (Airoh è una delle quattro aziende al mondo ad avere una galleria del vento di proprietà; ndr). Avremo un passaggio graduale su tutta la gamma a partire dalla collezione 2021, dove saranno già presenti caschi che soddisfano i nuovi requisiti”. Come già in altri settori, nel mondo dei caschi la tendenza è quella di avere oggetti sempre più interconnessi col mondo esterno. Come valuta l’introduzione della tecnologia, del software, nel casco stesso? “Il termine ‘tecnologia’ è fin troppo ampio a seconda delle declinazioni che gli si danno. Nel nostro Dna aziendale, innovazione e ricerca ci sono da sempre. E queste due caratteristiche vanno di pari passo con l’innovazione tecnologica. Per Airoh, tutte le tecnologie devono essere studiate per aumentare la sicurezza del casco”. Nel settore dei caschi sono molte le aziende italiane che sono passate di mano. Quanto è difficile restare italiani, oggi? “Da un lato essere made in Italy è una caratteristica che ci rende più forti di ogni potenziale competitor: la cura, la qualità nelle lavorazioni, è un nostro marchio di fabbrica. Certo, mi rendo conto che non è facile resistere quando l’acquirente arriva proponendoti una grossa somma di denaro per rilevare l’attività. La tentazione ce l’avrebbero tutti. Per conto mio, non ho alcuna intenzione di cedere alle lusinghe: Airoh, grazie anche alle mie figlie Angela e Martina (in azienda con ruoli di responsabilità sempre crescente; ndr), resterà un’azienda gestita dalla famiglia Locatelli. Abbiamo la stessa passione di 23 anni fa, quanto abbiamo iniziato la nostra attività. È questo il nostro motore”.  
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