Attualità
Se la Honda vende Showa...
E Nissin, e Keihin. Con la cessione delle partecipazioni nelle sue fornitrici di tecnologia, per il colosso giapponese finisce un’era
Se guardiamo alla storia, prima di essere un costruttore di auto Honda è un costruttore di moto. Ma se guardiamo ai numeri, Honda oggi è prima di tutto un costruttore di auto, con le quali fattura circa 90 miliardi di euro contro i 16 e spicci che ricava dalla vendita delle sue due ruote.
Ora in campo moto la mobilità elettrica è un discorso che si sta affrontando senza fretta; in campo auto invece tra Tesla, Dieselgate, concorrenza cinese e pasticci normativi, è diventata una emergenza che sta stravolgendo il settore. Gli investimenti ciclopici richiesti e l’incertezza su come reagirà il mercato stanno portando ad alleanze, fusioni e migliaia di altri movimenti meno vistosi.
Uno di questi è la cessione da parte di Honda dei suoi “gioielli di famiglia”: Showa (sospensioni), Nissin (sistemi frenanti) e Keihin (sistemi di alimentazione). Un movimento che sarebbe clamoroso se non fosse stato orchestrato tra giapponesi, quindi con una riservatezza estrema, che non ha lasciato trapelare nulla se non ormai a cose fatte.
Nella grande pancia di Hitachi
La decisione, che risale al 30 ottobre scorso, porterà le tre aziende nella grande pancia di Hitachi, variegata corporation attiva in dall’elettronica di consumo alle costruzioni ferroviarie e ai reattori nucleari. Dal punto di vista industriale rientra nel trend sempre più evidente che porta i costruttori a liberarsi dei fornitori di tecnologia coi quali erano legati a doppio filo, spesso perché ne erano emanazione diretta o comunque cresciuti insieme: pochi mesi fa FCA ha ad esempio venduto Magneti Marelli al fondo americano KKR, che con altre aziende ha dato vita ad un grande produttore di componentistica automotive, dove ormai chi è piccolo non riesce più a sopravvivere.
La stessa strategia pare essere alla base della cessione di Showa, Nissin e Keihin a Hitachi. Le tre ex controllate Honda cesseranno di esistere come aziende indipendenti – anche se forse i brand sopravvivranno, perlomeno per qualche tempo – ma dalle loro ceneri nascerà Hitachi Automotive Systems, un fornitore di tecnologia in grado di confrontarsi coi colossi del settore. Con un fatturato di oltre 14 miliardi di euro, la nuova realtà giapponese avrà infatti una dimensione analoga a quella dell’americana Delphi e non lontana dalle tedesche Conti Automotive systems (30 miliardi) o ZF (37 miliardi), pur se resta ormai irraggiungibile il gigante Bosch (78,5 milardi di euro). Nel frattempo, Honda incasserà un sostanzioso assegno che potrà investire in R&D sui fronti caldi: guida autonoma, elettrificazione e via dicendo.
È la fine di un’era?
Certo è che questa operazione sancisce la fine di un’era, e non solo per gli appassionati dei marchi che scompariranno e per gli amanti della componentistica giapponese. Finisce uno degli strumenti con cui l’industria giapponese aveva rivoluzionato e conquistato il mondo: il rapporto strettissimo con i fornitori, che proprio Honda aveva insegnato a coltivare e a far crescere integrandoli nei propri piani strategici, coinvolgendoli nei programmi di ricerca e sviluppo e contagiandoli con la propria ossessione per la qualità. Quel tipo di modo di fare non muore oggi, ma è probabilmente stato superato dallo sviluppo frenetico e disorganizzato verso cui il mondo si sta muovendo, dal modello della open innovation e da programmi che inevitabilmente finiscono per avere la visione e il fiato corti. Non necessariamente un mondo peggiore, ma certamente un mondo molto diverso da com’era ancora pochi anni fa. Persino per aziende perfettamente in salute come Showa, Nissin e Keihin.
Per inserire un commento devi essere registrato ed effettuare il login.