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BMW R1: il boxer desmo per la SBK che non vide mai la luce
Oltre 30 anni prima di Toprak e della sua M 1000 RR, BMW sognò di sfidare le giapponesi e la Ducati con un boxer desmo. Ecco la storia della R1 da SBK, una delle moto più misteriose e affascinanti dell'era moderna
Il fenomeno Toprak Ratgatioglu e la BMW M 1000 RR sembrano avviati alla conquista del titolo mondiale SBK, una pietra miliare più per la Casa di Monaco che per il turco, che di allori in bacheca ne ha già uno mentre BMW tra i cordoli non aveva mai raccolto grandi soddisfazioni.
Lo fa ora con la M 1000 RR, nata come versione specialistica della già ottima S 1000 RR e costruita con una ricetta tutto sommato convenzionale: motore 4 in linea, telaio perimetrale in alluminio, sospensioni con forcella e monoammortizzatore con leveraggio, finale a catena. Prima di lei e della S 1000 RR, Monaco aveva però accarezzato il sogno di vincere con una moto della serie R: un boxer con finale ad albero. Parliamo della R1, una delle moto più misteriose della storia recente.
L'obiettivo di BMW: fare come Ducati
Siamo all’inizio degli Anni 90, le Case europee sono uscite dagli Anni 80 con le ossa rotte nel confronto con i giapponesi ma qualcosa pare muoversi. In Italia Aprilia, Cagiva e Gilera sono molto attive con le 125, e Ducati ha indovinato la formula giusta con il suo twin desmo a iniezione e 4 valvole per cilindro che fa subito bella figura in SBK e nel 1990 vince il titolo con Raymond Roche.
Anche in Germania le cose si muovono. BMW sta lavorando alla nuova generazione del suo motore boxer, anch’esso a iniezione e quattro valvole per cilindro, inserito in una innovativa ciclistica col primo Telelever. Questo motore sarà al centro della crescita di BMW, che passerà da 30.000 a 90.000 moto vendute tra il 1990 e il 1999.
In quegli anni BMW vuole anche accreditarsi come marchio sportivo. Sulla carta ha una piattaforma adatta nel 4 cilindri in linea della serie K100, ma l’esperimento sportivo fatto con la K1 si è rivelato infelice. Fresco di nomina, il direttore tecnico di Monaco dell’epoca, Burkhard Göschel pensa allora di fare come Ducati: usare come base il proprio motore più iconico – là il “pompone” a L, qua il boxer – sfruttando i sostanziosi vantaggi che il regolamento SBK assegna ai bicilindrici: 250 cc in più di cilindrata (1.000 cc anziché 750 cc) e 25 kg in meno sulla bilancia (140 kg anziché 165 kg).
Un boxer come non si era mai visto
Sulla scia della K1, il progetto viene siglato R1 (Yamaha arriverà con questa sigla soltanto nel 1997). BMW non correva dagli Anni 70 con le R 90 S, decisamente un’altra era geologica dopo l’accelerazione impressa dalle quattro giapponesi. Ma se ce l’aveva fatta la Ducati era segno che era possibile: così nacque il progetto “Boxer Superbike” e nel 1990, mentre il 1100 “R259” di produzione ad aria e olio emetteva i primi vagiti, i motoristi guidati da Heinz Hage crearono un motore completamente diverso: 999 cc, bialbero e raffreddato ad acqua.
Soprattutto, c'è un layout stravolto per consentire elevati angoli di inclinazione: misure decisamente superquadre (98 x 66 mm, A/C = 1,48 come Ducati arriverà a fare soltanto nel 1995 con la 996) e cambio - in questo caso a 6 marce - non più dietro ma sotto al motore per avere cilindri più corti e posizionati più in alto: curiosamente, un po’ la stessa strada seguita con l’ultimo boxer 1300. L’albero motore della R1 ruotava a ben 520 mm da terra!
Quindici anni prima che sul boxer 1200, anche la linea di aspirazione e scarico diventa verticale, con i cilindri ruotati di 90° rispetto al 1100 per avere una migliore fluidodinamica e una moto complessivamente più corta e compatta nell’ergonomia. L’alimentazione era a iniezione, con enormi corpi farfallati Bosch da 54 mm, mentre la trasmissione restava tipicamente BMW, con frizione a secco a disco singolo (in bronzo sinterizzato) con molla a tazza e finale a cardano con sistema Paralever. Il cambio era estraibile per cambiare i rapporti nei weekend di gara.
Ciliegina sulla torta, il desmo!
Un’altra peculiarità della R1 a cui si stenta a credere è la distribuzione desmodromica. Del resto Ducati all’epoca non era ancora celebre, vincente e "inimitabile" come oggi, mentre la Germania aveva una forte scuola del desmodromico in Mercedes che lo aveva usato sulla W196 da F1 iridata più volte negli Anni 50. Göschel, che guarda caso aveva lavorato in Mercedes prima di passare in BMW. Göschel era un fan del desmo, convinto che fosse una delle ragioni sostanziali della competitività di Ducati, e incaricò l’esperto Georg Emmersberger di sviluppare una versione desmo della distribuzione bialbero 4 valvole per il boxer.
Il risultato fu notevole. Le quattro valvole in titanio (38 mm per l’aspirazione e 33 mm per lo scarico) erano molto compatte, con un angolo incluso di soli 20°. Lo schema del Desmo era simile a quello Ducati di allora, con un bilanciere a dito per aprire ogni valvola e una forchetta per richiamarla, più una piccola molla per garantire la chiusura ai bassi regimi. Anche gli assi a camme erano leggermente sfalsati per avere una testa più compatta e aumentare l’angolo di piega (Ducati farà lo stesso qualche anno dopo, a partire dal Testastretta, per poter montare il motore più avanti nel telaio). Il motore partì con 132 CV all’albero e arrivò rapidamente a erogarne 140 a 11.000 giri, con l’obiettivo finale di spremerne altri 15-20.
Telelever, telaio doppio trave, Paralever e monobraccio
Questo motore, dal baricentro altissimo, era ospitato da un telaio doppio trave in alluminio commissionato allo specialista olandese Nico Bakker. Si trattava infatti di una soluzione del tutto inedita per BMW, sulla quale Monaco non aveva alcuna esperienza. Esperienza c'era invece nel comparto sospensioni, dove vennero impiegate due bandiere BMW: il Telelever anteriore e il Paralever posteriore controllati da ammortizzatori forniti da WP, ruote Mavic da 17” e freni Brembo Serie Oro.
Nonostante la trasmissione finale ad albero, accorciando il monobraccio del Paralever (era poi possibile contrastare l'effetto anti-squat agendo sulle geometrie) si arrivò ad un interasse di 1.465 mm con una distribuzione dei pesi 50-50 montando il motore molto avanti, grazie allo scarso affondamento del Telelever. Il peso del prototipo si aggirava sui 160 kg a secco, non male ma ancora lontano da quanto fatto da Ducati; anche in questo caso bisognava togliere una quindicina di kg.
BMW R1: se avesse corso come sarebbe andata?
Facciamo un po’ di fanta-SBK: oltre che affascinante, la BMW R1 avrebbe potuto essere competitiva nel Mondiale degli Anni 90? Ovviamente è difficile dirlo senza in assenza di un vero sviluppo: il progetto fu infatti cancellato già alla fine del 1990 perché il suo potenziale non era stato ritenuto adeguato. I pochi che l’hanno guidata parlano di una moto estremamente particolare - con i cilindri altissimi e assai larga tra le braccia per la presenza dei condotti di aspirazione verticali - e della strana e non particolarmente gradevole sensazione di guidare “abbracciati al motore”.
Questo layout rendeva difficile sporgersi dalla sella in piega, e il Telelever era efficace a moto dritta ma tra i cordoli non brillava per agilità. Il motore era molto lineare nell’erogazione, ma vibrava terribilmente agli alti. La potenza non era scarsa, anzi; ma l’architettura la rendeva nerl complesso una moto ben più atipica di qualunque Ducati, che avrebbe richiesto ai piloti un lungo periodo di adattamento.
Probabilmente la R1 avrebbe potuto dire la sua soltanto su circuiti veloci e poco tortuosi, ma possiamo dire che il management di Monaco non abbia preso la decisione sbagliata in quell’autunno del 1990... anche se forse non immaginava che sarebbero dovuti passare altri 34 anni prima di vedere una BMW ai vertici del Mondiale Superbike.
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