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In pista con la R1 di Corser e Haga

di Alan Cathcart, foto Kel Edge il 03/12/2008 in Sbk

Una prova molto interessante che evidenzia le diverse scelte di due campioni sulla stessa moto. Reattiva e cattiva per il giapponese, equilibratissima per l'australiano

In pista con la R1 di Corser e Haga
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All'inizio della stagione 2008 in molti avrebbero scommesso sul fatto che la Yamaha, l'unica delle quattro case motociclistiche giapponesi a non aver ancora vinto il titolo mondiale piloti Superbike, avrebbe interrotto questa astinenza.
La nuova YZF-R1, del resto, aveva debuttato con successo nel 2007 e Noriyuki Haga era stato in lizza per il titolo fino all'ultima manche, arrivando poi secondo per due soli punti dietro a James Toseland.
In ogni caso, in quell'occasione la Casa di Iwata aveva conquistato il titolo costruttori, grazie anche al contributo del compagno di squadra di Haga, Troy Corser.
Quest'anno, poi, con Honda, Kawasaki e Ducati impegnati a sviluppare i rispettivi nuovi modelli, sembrava che la Yamaha potesse riprendere da dove aveva lasciato, ovvero vestendo i panni di moto da battere, ma la prima stagione che ha visto aumentare la cilindrata dei bicilindrici fino a 1200 cc è stata dominata da Troy Bayliss, con Corser secondo, forte di una grandissima regolarità nonostante che non abbia mai vinto una manche, e Haga terzo, con sette vittorie e undici podi all'attivo.

In pratica, la Casa dei tre diapason si è confermata la miglior quattro cilindri in lizza e la possibilità di provarla sul circuito di Portimao, dove si è svolto l'ultimo round del 2008, ha rappresentato un'ottima occasione per saggiarne le doti prima che quest'ultima venga sostituita dalla nuova versione a scoppi irregolari.
In realtà va detto che mettere alla frusta una moto da 217 CV su un tracciato che non si è mai visto prima (Portimao è stato ultimato appena in tempo per la gara della Superbike, svoltasi un giorno prima del nostro test!) e per di più avendo solo cinque giri a disposizione, non rappresenta certo la condizione ideale, come testimonia il "quasi highside" che ci è capitato in sella alla R1 di Corser!
Evidentemente, il controllo della trazione della Yamaha non va d'accordo con la tecnica di guida di un comune mortale, ma solo con quella di un pilota professionista… "Lo dico sempre: disporre del traction control non significa poter spalancare il gas mentre si è ancora piegati, altrimenti si cade! - ci ha detto Corser in tono rassegnato – La gestione elettronica del motore toglie da 5 al 15% della potenza erogata nella prima parte dell'apertura dell'acceleratore quando quest'ultima è troppo repentina rispetto al grip disponibile. Tuttavia, se si esagera, il sistema non può fare miracoli e le conseguenze sono facilmente immaginabili!".
In pista con la R1 di Corser e Haga
Siamo stati gli unici a poter provare entrambe le Superbike Yamaha ufficiali, iniziando da quella di Haga. Il pilota giapponese è famoso per i setup estremi con cui vengono configurate le sue moto e anche questa non fa eccezione: il retrotreno è infatti molto alto e la geometria di sterzo vede un'inclinazione del cannotto e un'avancorsa piuttosto contenuti.
Tutto ciò rende la R1 numero 41 molto rapida nell'inserimento in curva, a scapito però della stabilità sul rettilineo, soprattutto se chi guida pesa un bel po' in più di Norichan.
A tal proposito, la moto di Haga non si impenna con la stessa facilità di quella di Corser, sia per il bilanciamento dei pesi a favore della ruota anteriore, sia per il settaggio piuttosto rigido della sospensione posteriore, che impedisce alla moto di "sedersi". "E' proprio così - spiega il responsabile tecnico del Team Yamaha, Silvano Galbusera – ciò dipende dal fatto che disponiamo di un ammortizzatore elettronico. Esso ha una molla più dura, perché il controllo può intervenire attivamente sulla parte idraulica. L'ammortizzatore è infatti programmato per avere un maggior freno in compressione in certi punti, come appunto sugli scollinamenti che caratterizzano il circuito portoghese, il che rappresenta un vantaggio". Per contro, questo sistema offre al pilota un feedback minore, anche per via della taratura tendenzialmente più rigida, motivo per cui Troy Corser ha deciso di farne a meno.
Il motore della R1 di Haga sembra girare più in alto rispetto alle altre moto a quattro cilindri che prendono parte al mondiale Superbike. Nonostante questo non presenta vuoti o incertezze su tutto l'arco di erogazione, iniziando a spingere forte già a partire da 6500 giri e diventando ancora più energico dagli 8000 giri in poi, per arrivare dritto e senza alcun tipo di preavviso all'intervento del limitatore, posto a quota 14.500 giri.
A Noriyuki piace cambiare a orecchio, senza l'ausilio dei classici led lampeggianti che segnalano il fuorigiri. Naturalmente è abituato a farlo, mentre a noi c'è voluto un po' di tempo prima di entrare in confidenza con l'erogazione della Yamaha Superbike. Per fortuna che, anche cambiando marcia prima di arrivare al massimo regime raggiungibile, il motore rimane sempre nella fascia di potenza utile, anche grazie all'ottima spaziatura scelta da Haga per i rapporti del cambio.
In pista con la R1 di Corser e Haga
Montando sulla moto di Corser appena scesi da quella di Nori, tuttavia, si scopre un "pacchetto" per quanto possibile ancora più equilibrato e performante, con il quattro cilindri di Iwata che spinge ancora più in basso e accelera in modo più vigoroso lungo tutta la fascia di utilizzo. Per quanto ci riguarda, abbiamo cercato di distinguere un eventuale cambio di registro nell'erogazione ad opera del TCC-I, il sistema di geometria variabile dei condotti di aspirazione, che entra in funzione verso i 12.000 (come confermato da Dave Marton, ingegnere di pista di Corser), ma francamente non ci siamo accorti di niente.
La moto del pilota australiano sembra infatti essere stata sottoposta a una particolare opera di affinamento, che la porta ad avere una risposta mai brusca da parte del motore, anche quando si accelera a centro curva a partire da gas completamente chiuso.
Ad ogni modo, anche la ciclistica della Yamaha di Corser si distingue per il suo grande equilibrio. La R1 numero 11 risulta perfettamente bilanciata tra i due assi e le sue sospensioni sono relativamente morbide, anche se la moto non si scompone mai tra una curva e l'altra. In pratica, il setup scelto da Troy è quello ideale per mantenere elevate velocità di percorrenza senza sacrificare la maneggevolezza necessaria per affrontare i rapidi cambi di direzione nelle chicane.
Come anticipato, l'ammortizzatore utilizzato da Corser è di tipo tradizionale e sembra essere decisamente meno sostenuto rispetto a quello, a controllo elettronico, installato sulla moto Haga. Inoltre, sulla moto di Troy ci si sente maggiormente inseriti nel corpo macchina, mentre su quella di Nori si sta un po' appollaiati sopra.
I due piloti, tra l'altro, prediligono una scelta di rapporti molto diversa, con Corser fautore di una spaziatura pressoché omogenea tra le prime tre marce, ma con quarta e quinta più ravvicinate tra loro e la sesta, invece, più lunga. Un'altra grande differenza tra le due R1 ufficiali è costituita dal fatto che quella di Troy ha molto meno freno motore rispetto a quella di Haga, principalmente grazie alla gestione elettronica del propulsore, ma anche in virtù del diverso settaggio della frizione antisaltellamento STM.
Fatto sta che la moto di Corser infonde maggior confidenza nelle frenate più violente, dove si avverte una sensazione di miglior bilanciamento rispetto a quella di Nori, decisamente più nervosa a causa del maggior carico sulla ruota anteriore e della radicale geometria di sterzo.
In pista con la R1 di Corser e Haga
La R1 dà l'impressione di essere piuttosto agile e compatta, probabilmente perché il telaio a doppio trave "passa" sopra al motore. Ciò naturalmente dovrebbe determinare un baricentro più alto, tale da rendere più agevole l'inserimento in curva ma al tempo stesso più faticosi i cambi di direzione, e in effetti la Yamaha, pur non essendo dura come la Kawasaki ZX-10R di Laconi, è decisamente meno agile della Honda Fireblade di Carlos Checa.
Tuttavia, la R1 è stabilissima in frenata, anche quando si affronta la prima staccata del circuito portoghese, alla quale si arriva con un velocità di circa 300 Km/h e che è per giunta in discesa! Il mordente delle pinze Brembo radiali al litio è semplicemente fantastico, ma a colpire è soprattutto il modo con cui la Superbike Yamaha rimane fedele alla traiettoria impostata, senza scomporsi di un millimetro.
Insomma, la R1 è senza dubbio una grande moto e avrebbe potuto certamente conquistare il titolo se un altro ragazzo di nome Troy, anch'esso australiano, non ci avesse messo lo zampino in sella a una bicilindrica di 1200 cc…
Ad ogni modo, per il 2009 la Yamaha è già pronta a giocarsi la rivincita. Il nuovo acquisto Ben Spies, che sostituirà Haga, ha infatti dimostrato di avere le carte in regola per ben figurare, mettendosi in luce nei test effettuati sempre a Portimao l'indomani della gara che ha chiuso il campionato 2008.
Nella sua livrea nera, era facile confondere la nuova R1 con la Ducati 1098 del Team Sterilgarda, visto che la Yamaha ha adesso un rumore molto simile a un bicilindrico. Del resto, il marchio dei tre diapason è sempre stato all'avanguardia in fatto di scelte tecniche, come quanto, circa dieci anni fa, rivoluzionò il mondo delle supersportive giapponesi a quattro cilindri grazie appunto alla R1, caratterizzata dall'originale configurazione a tre alberi in base alla quale l'albero motore, l'albero primario e quello secondario della trasmissione sono stati posizionati per contenere le dimensioni fronte-retro del motore, aprendo anche la strada all'adozione di un forcellone molto lungo, con un perno più vicino all'asse del pignone. La Yamaha è stata poi la prima giapponese a introdurre altre soluzioni tecniche innovative nel settore delle moto ad alte prestazioni, come il ride-by-wire e il sistema a lunghezza variabile per i condotti di aspirazione.
Adesso, la versione 2009 della R1 produce un altro significativo passo in avanti destinato, probabilmente, a cambiare il futuro, oltre che il suono, di questa moto.
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