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Moto2: la metamorfosi
Dopo un decennio di stasi tecnica, la moto2 si rivoluziona con il motore Triumph e un’elettronica più sofisticata: piloti e addetti ai lavori ci spiegano come cambia la classe intermedia
Per il suo decimo compleanno, la Moto2 si è regalata un bel pacchetto di novità tecniche che hanno ravvivato l’interesse per la categoria. Al posto del quattro cilindri Honda ex CBR600RR, ormai vecchio di 15 anni, è arrivato il triple Triumph 765 nella sua ultima incarnazione, aggiornato e arricchito dalla centralina elettronica Magneti Marelli; si è infine aggiunto, praticamente in corsa, il “gommone” introdotto da Dunlop: un pneumatico posteriore più largo e con un profilo differente.
Per imparare a gestire la frizione in staccata ci olevano anche tre stagioni. ora è tutto più semplice
Una guida diversa
Modifiche mirate a riportare la Moto2 più in linea con la sua missione originaria di classe “intermedia” tra la Moto3 e la MotoGP, dopo che negli ultimi anni l’evoluzione della classe minore aveva reso per molti aspetti anacronistica l’esperienza della Moto2, diventata un po’ un “parcheggio” da cui scappare appena possibile verso la MotoGP o alla peggio la SBK.
La parte del leone la fa il motore (ripreso dalla Street Triple RS, montato anche sulla nuova Daytona e rivisto in chiave racing), completamente diverso dal motore Honda in termini di erogazione e di gestione. Per capire meglio come sta cambiando la Moto2, abbiamo parlato con i due piloti del team Italtrans, il più esperto Andrea Locatelli e il rookie Enea Bastianini, e con il capotecnico di Locatelli, Franco Brugnara. Partiamo da Andrea, alla terza stagione di Moto2 quest’anno.
Ciao Andrea, cosa ci dici del nuovo motore?
“Il cambiamento è notevole, basta dire che l’Honda andava a 16.000 giri, il Triumph per ora arriva a 14.000. Ma come velocità di punta comunque siamo lì, se non meglio. Ha più tiro nella parte bassa e perdona un po’ di più: anche se hai la rapportatura un po’ lunga, lui ti tira fuori”.
E la moto è cambiata altrettanto?
“No, direi che la moto in sé è rimasta lei. In termini di sospensioni, peso e distribuzione delle masse, siamo lì e al momento più che sull’elettronica nei weekend si lavora soprattutto sui setting”.
Ma si guida in modo diverso?
“Un po’ sì, sfruttando diversamente l’erogazione. Di fatto il motore più rotondo porta una guida meno tonda, perché per sfruttare la sua spinta spigoli di più e raddrizzi prima. Ma il cambiamento maggiore è stato il quickshift in scalata. Lo spinning in ingresso di curva è stato ridotto con il quickshift e la regolazione elettronica del freno motore: la moto derapa meno e si può usare di più il freno anteriore”.
Una guida più facile?
“Dipende dai punti di vista: anche la moto che ‘spazzolava’ in ingresso poteva aiutare, adesso la devi far curvare un po’ di più. Ma prima bisognava trovare il feeling con la frizione, che era di fatto uno strumento in più, che bisognava imparare a sfruttare nel migliore dei modi. Oggi i rookie non devono più farlo”.
Il debuttante: Enea Bastianini
Tra questi rookie della Moto2 c’è anche Enea Bastianini (assente per infortunio a Silverstone, ma sul podio a Brno, ndr): più volte vicino al titolo Moto3, è passato quest’anno alla classe intermedia, nella quale è ancora in fase di apprendistato.
Come ti trovi in Moto2?
“Mi piace, è una moto che si adatta molto di più al mio stile di guida. Non ho mai guidato la ‘vecchia’ ma quello che ti posso dire è che qui è importante sfruttare l’accelerazione; da quando è arrivato il gommone è ancora meno da guidare sulla spalla, devi spigolarla. Non devi basarti troppo sul suono del motore, che inganna: prima capisci questa cosa, prima migliori”.
Secondo te il cambio di motore ha annullato il vantaggio di chi aveva tanta esperienza?
“No, chi era abituato a una moto più pesante ed era abituato a far certe linee ha comunque un vantaggio rispetto a chi come me arriva dalla Moto3 dove è importante soprattutto star bene in carena e far percorrenza”.
Com’è l’elettronica rispetto alla Moto3?
“Ha qualcosa in più a livello di mappe di accelerazione; la Moto3 era un po’ più completa avendo anche il traction control, che di fatto poi si usava solo qualche volta sul bagnato, ma che qui non c’è”.
È una tappa che serve la Moto2?
“Vista da fuori ultimamente non era molto emozionante, io stesso l’anno scorso guardavo solo gli ultimi tre giri. Adesso è tornata ad essere più interessante, e appena ci sono salito sopra è tutt’altra roba”.
Di fatto il motore più rotondo porta una guida meno tonda perché per sfruttarlo raddrizzi prima
L’importanza della squadra
Pilota da giovane, poi tecnico sospensionista, Franco Brugnara approda al mondiale SBK nel 2003 e arriva nel paddock della neonata Moto2 nel 2010, lavorando prima col team Yoda e poi con Giovanni Sandi col quale è passato a fare il capotecnico, occupandosi della moto di Andrea Locatelli.
Franco, com’è il motore Triumph?
“Molto più pieno sotto, gira a 14.000 per regolamento ma a volte si cambia qualche centinaio di giri prima per sfruttare la schiena che ha. Globalmente le prestazioni sono un po’ migliori e al Mugello qualcuno ha preso i 300 km/h, una decina più che col motore Honda. Per il resto, siamo partiti dalla configurazione 2018, cambiando il minimo possibile”.
Quindi il telaio non è cambiato?
“L’ancoraggio motore è tutto nuovo, ma al posteriore abbiamo mantenuto link e forcellone con le specifiche del 2018; la distribuzione dei pesi è rimasta la stessa di prima. Del resto era la cosa più logica per partire: nel tempo vedremo se con questo motore ci sono vantaggi a fare cose diverse, ma cambiare le quote ora sarebbe stato un suicidio. E comunque come geometrie ci siamo trovati subito; ha portato più scompiglio il ‘gommone’ posteriore, che ha diviso i piloti in due gruppi con feedback completamente opposti in funzione di come guidano, e anche i tecnici Kalex non hanno le idee chiare”.
E l’elettronica?
“L’allarme rosso per l’arrivo di Magneti Marelli alla fine è un po’ rientrato. Si temeva una complessità fuori controllo, invece la centralina è abbastanza bloccata ed è difficile sbagliare: loro ti danno già mappe di coppia e freno motore. Vedremo a fine stagione se verrà introdotto qualcos’altro, sempre nell’ottica di avere un miglior trampolino verso la MotoGP, sia per i piloti che per i tecnici”.
Qual è in assoluto la maggiore novità?
“Il launch control c’era anche l’anno scorso, ma il cambio elettronico in scalata e la gestione del freno motore sono stati un aiuto molto importante per i piloti. Il motore Honda non aveva il ride-by-wire, la gestione elettronica del freno motore non c’era e i piloti erano in difficoltà quando rilasciavano la frizione: per avere il feeling giusto con le reazioni della moto – che poteva bloccare o meno la ruota posteriore – qualcuno ci metteva tre stagioni. Adesso scali quante marce vuoi e la strategia del freno motore rende tutto più semplice”.
Quindi quello che è più cambiato è la fase di staccata.
“Sì, con un controllo del freno motore come si deve. Sull’Honda si sfruttava il circuito dell’aria secondaria della moto di serie, un by-pass nato per ridurre le emissioni che potevi usare per ridurre il freno motore, ma era poco sensibile alle regolazioni e agiva con tanto ritardo, per cui non era molto efficace. Col RBW puoi decidere se tenere più o meno aperte le farfalle, e col ‘fuel cut’ puoi decidere se ‘spegnere’ un cilindro, e quale, marcia per marcia”.
Lo usate per avere più freno motore?
“Sembrava che fosse così, invece abbiamo scoperto che spegnere i cilindri produce una risposta diversa, molto più morbida, con la gomma posteriore meno stressata e che tende meno al bloccaggio. Infatti preferiamo tenere la farfalla più aperta e spegnere i cilindri. Ma non a tutti i piloti piace, perché non puoi fare un settaggio curva per curva e nemmeno cambiarlo nel corso della gara, come invece si fa con le mappe standard. Come lo setti, te lo tieni per tutta la gara”.
E l’antiwheeling c’è?
“No, non servirebbe. Sarebbe troppo invasivo per un motore con 140 CV o giù di lì e richiederebbe strategie molto diverse dalle MotoGP, che i loro 250 CV non riescono a usarli quasi mai. Col RBW abbiamo la ‘camma virtuale’, cioè la possibilità di demoltiplicare la risposta al comando del gas; ma di fatto i nostri piloti vogliono quella 1:1, per sentire la connessione più diretta con la ruota posteriore”.
Passiamo alle sospensioni.
“Già l’anno scorso Öhlins ha finalmente iniziato a investire nella Moto2 portando parecchio materiale, dopo 6-7 anni in cui si era concentrata solo sulla MotoGP. A fine 2017 sono arrivate forcelle con steli maggiorati, foderi più rigidi, piedini e cartucce interne. Ci sono molte più possibilità, e i piloti questo step l’hanno sentito”.
Merito della concorrenza di WP?
“Sicuramente sì: fino a 3 anni fa la WP aveva preso un bel vantaggio tecnico e avrebbe equipaggiato l’80% delle Kalex… se la Kalex dal 2016 non avesse imposto le Öhlins. Adesso invece anche le KTM dei team privati probabilmente vorrebbero le Öhlins: WP ha un mono molto valido ma la forcella soffre un po’. Sono sicuro che arriveranno, ma oggi sono un po’ indietro”.
Quanto pesa il set-up della moto nella prestazione del pilota in Moto2?
“Oggi la Moto2 è monogomma, monomotore, quasi monotelaio e l’elettronica è quella per tutti: quindi è evidente che il pilota fa tanta differenza. Chi riesce a capire come gestire bene questi 5 o 6 componenti che sono uguali per tutti... fa il click nella testa e anche se ha la moto non a postissimo non ce n’è per nessuno. Ma per arrivarci serve feeling tra capotecnico, pilota e meccanici. Alla fine le Kalex in gara fanno spesso sia il primo posto e l’ultimo: la differenza la fa la squadra”.
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