Motogp
I consigli giusti: cosa fa un coach con un pilota della MotoGP
Parlare, osservare e consigliare (nei momenti giusti) Julian Simon ci spiega il suo lavoro dentro e fuori dai box con Maverick Vinales
Il coach è un elemento prezioso per un pilota. Oggi quasi tutti ne hanno uno. Prendiamo Maverick Viñales. Quest’anno oltre al nuovo capo meccanico Esteban Garcia, ha voluto a fianco l’ex campione del mondo della 125 Julian Simon.
Quindici anni di gare, 8 vittore, più di 25 podi, Simon ha modi gentili, è una persona calma e questo suo modo di essere, unito alla sua competenza tecnica, lo rendono prezioso. Per questo Maverick lo ha voluto vicino. “L’atmosfera nel team è completamente diversa rispetto all’anno scorso. Riesco a essere più calmo e rilassato, ha ammesso Viñales. Quando va tutto bene, è facile sentirsi così, ma quando le cose vanno male, so che Esteban e “Julito” possono aiutarmi.”
Il ruolo del coach in MotoGP
Quello di Simon è un lavoro delicato. Per capire un po’ meglio cosa fa un coach abbiamo chiesto di spiegarcelo. “Non ho mai avuto un coach quando ero un pilota, ci ha raccontato Simon. Ripensandoci ci sono stati periodi della mia carriera in cui mi avrebbe fatto bene avere qualcuno che potesse indicarmi, con la sua esperienza, la direzione giusta. Con Maverick parliamo molto. Parliamo di lui, di quello che prova, della moto, di sé... Penso che quello che vedo da bordo pista possa essere di aiuto a lui e al team per sviluppare la moto e capire in che modo gareggia. Mi considero uno strumento a disposizione del team. Un pilota oggi ha bisogno di un fisioterapista, di un dottore e un massaggiatore, ogni anno cerca di migliorarsi ma oggi anche l’aiuto del coach è fondamentale”.
Non è stato facile passare da pilota a coach?
“Per me è stato molto difficile cambiare “ruolo”. Ho smesso di correre quando ero ancora in forma. Non avevo trovato una situazione che mi soddisfava e ho preferito fermarmi ma volevo restare nell’ambiente e ho pensato che fare il coach sarebbe stato molto interessante. Il primo pilota che ho aiutato è stato Tito Rabat. Quando ho iniziato mi sentivo ancora (solo) un pilota e questo vuol dire che pensi molto a te stesso e poco agli altri! È stato difficile cambiare mentalità. È stato difficile cambiare. Mi ci è voluto del tempo”.
L’obiettivo che voglio raggiungere con Maverick è farlo diventare più costante: ha un potenziale enorme, ma deve trovare la perfetta sintonia con la Yamaha in modo che possa esprimersi sempre al massimo”.
Il peso delle parole
Il modo in cui dici le cose è tanto importante quanto quello che dici…
“È importante trasmettere sicurezza e positività. Anche se vedi cose negative da fuori devi capire come trasmetterle. Magari capisci che la moto non funziona bene in certi tratti della pista, devi dirlo ma anche attento a quello che dici perché non sei tu quello che mette il casco e si lancia a 300km/h. Il pilota non vuole sentirsi dire cose come: “la moto si muove troppo” oppure “sembra pericoloso lì” e bisogna anche stare attenti ad alcune parole che possono generare dubbi. E queste cose avendole vissute, le so bene.
Scegliere il momento giusto…
“Quando parli con il pilota devi pesare le parole. Soprattutto, devi rassicurarlo il più possibile. È più facile parlare nei momenti di calma nel motorhome. In quei momenti puoi spiegare nel dettaglio il tuo punto di vista sulla moto e sul modo di guidare. Nel box durante le sessioni di qualifica è tutto più complicato perché può esserci tensione. Il pilota è molto concentrato. È il momento in cui pensa alle sue sensazioni e si chiude in sé. Per quei 40 minuti il corpo e la mente sono sintonizzati. Quindi tu dall’esterno devi dare il sostegno giusto e scegliere le parole adatte”.
I piloti visti da vicino
Ci sono molte più differenze tra i piloti di quanto si possa pensare…
“I piloti fanno traiettorie diverse, ma le differenze sono minime. Devi davvero impegnarti per vederle, ma ci sono. Se prendi per esempio la prima curva alla fine del rettilineo a Losail [Qatar] ci sono piloti che rimangono più interni, mentre altri si tengono larghi per poi tagliare. Penso sia più semplice per gli ex piloti, rispetto a chi guarda da casa, interpretare quello che succede e in che modo tali approcci sono efficaci. Ci sono piloti che seguono e imitano gli altri e ci sono piloti che provano cose nuove, linee diverse”.
Il segreto: siamo amici
“Conosco Maverick da tanto tempo. Siamo stati compagni di squadra nel 2012, ma prima di tutto siamo amici. Abbiamo condiviso molte cose, anche momenti difficili. Maverick oggi si sta creando un team suo, composto da persone di cui si fida e che gli trasmettono sicurezza e sono felice di farne parte. Se guardi Marc Marquez, ha la stessa crew da tanti anni, da quando era in Moto2”.
Insieme si vince...
“Ho imparato che come coach non vivi quei momenti da film in cui alzi una coppa o sali sul podio, ma c’è una soddisfazione personale che è qualcosa di speciale. Ho lavorato per qualche anno alla crescita di giovani piloti nelle serie spagnole e quando uno di loro vinceva era sempre una bella soddisfazione. So che quei momenti ci saranno anche per Maverick".
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