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Comparativa sportive A2 2024 – sogni vietati ai minori +VIDEO+
Il 2024 si popola di sportivette nate per i neopatentati A2 bellissime, ben fatte e competitive nel prezzo: moto che - come accadeva una volta - sono capaci di ingolosire non solo i più giovani, ma anche i più smaliziati
Negli Anni 80 e 90 la trafila del motociclista sportivo – la maggioranza – era: 50, 125, 600 e 750 o 1000. Le 350, 400 e 500 erano poca cosa. Poi, lo sappiamo tutti, le normative anti-emissioni hanno strangolato i 50, la legge che ha limitato la potenza massima a 15 CV ha strangolato le 125 e le grosse cilindrate sono andate in crisi da sole dopo aver perso di vista l'uso stradale, prima le 600 e poi le 1000.
Ci sono voluti molti anni perché il mercato delle sportive ritrovasse una sua fisionomia. E diciamo mercato, ma bisognerebbe guardare più a fondo e parlare della cultura delle moto carenate, che nonostante il traino delle hypersport da urlo sono andate vicino all’estinzione. Oggi però c’è un ritorno di interesse nei giovani che hanno ritrovato il gusto di guidare una 125, finalmente bella e raffinata anche se meno potente di una volta, e che a 18 anni stanno ritrovando il gusto di guidare una media.
Patente A2: meglio native o depotenziate?
A lungo le Case hanno proposto soltanto medie depotenziate e ripotenziabili, ritenute una scelta più lungimirante. Ma sono moto comunque più pesanti, complesse e costose, e da qualche anno c’è un ritorno di interesse verso quelle che sono le cosiddette “A2 native”, moto che nascono per restare nel limite di legge di 35 kW (47,5 CV) e che giocano tutto sul rapporto peso/potenza. Moto che sono sempre più raffinate e affascinanti, che i giovani ma anche i meno giovani sono tornati a guardare con gli occhi che luccicano e che sono perfettamente rappresentate dalle quattro sportivette che abbiamo qui oggi: Aprilia RS 457, CFMOTO 450SR S, Honda CBR500R e Kawasaki Ninja 500.
Sono tutte novità 2024, chi più a fondo e chi meno, e tutte costruite attorno a motori bicilindrici di circa 450 cc ma con ricette, come vedremo, anche piuttosto diversificate. Mancherebbe l’unica monocilindrica della categoria, la KTM 390 RC, che purtroppo non era disponibile per questa prova.
Vediamo allora il menù di oggi. Abbiamo due proposte giapponesi, quelle presenti da più tempo nei listini, una cinese e un’italiana, l’ultimissima arrivata. In linea generale le giapponesi sono le meno estreme, le più orientate alla strada, le più polivalenti; l’italiana e la cinese sono più sportive, ma non estreme: in questa categoria gli estremi sono molto meno estremi che tra le grosse cilindrate.
La Honda CBR500R è un po’ la veterana del gruppo, essendo sul mercato dal 2012. È un perfetto esempio della capacità di visione di Honda: in oltre 10 anni è cambiata pochissimo, venendo arricchita in termini di dotazioni ma confermando sempre la base tecnica, con il suo motore bialbero dalla classica fasatura a 180° e le misure di alesaggio e corsa perfettamente quadre (A/C = 1): facile da guidare con tanta coppia ai bassi e consumi irrisori, e il telaio in tubi di acciaio.
Ha sospensioni Showa, con la forcella SFF-BP a funzioni separate, il mono con link regolabile nel precarico, i freni Nissin con doppio disco – l’unica del lotto – e pinze anteriori radiali. È anche la più abbondante nelle misure (1.410 mm di interasse), quella col serbatoio più capiente e le gomme più larghe, col 160/60 posteriore; di conseguenza è anche la più pesante: 193 kg col pieno. Sempre affascinante nei classici colori HRC, per il 2024 sfoggia un display TFT da 5” con la connettività Honda RoadSync, il controllo di trazione HSTC, nuovi fari led e una calibrazione motore che rende l’erogazione più brillante.
È una moto sportiva, ma che vi porterà anche in vacanza, magari montando il parabrezza maggiorato, le manopole riscaldate e la borsa da serbatoio che ha in opzione. Parte da 7.690 euro c.i.m., la più costosa di questa prova.
La Kawasaki Ninja 500 è un’altra moto che conosciamo da ormai 10 anni, ma che ha ricevuto per il 2024 un importante aggiornamento tecnico: il motore è infatti praticamente nuovo, passa da 399 a 451 cc grazie a un aumento della corsa, che a potenza invariata ha nettamente incrementato la coppia a tutti i regimi. Il twin di Akashi, sempre fasato a 180°, diventa così molto meno superquadro (A/C = 1,19) pur restando il secondo più spinto in questo senso dopo CFMOTO. Ha un nuovo imbiellaggio, nuovi condotti di aspirazione asimmetrici, airbox, candele e tanto altro.
Il motore è inserito con funzione portante in un telaio a traliccio in tubi di acciaio, e Kawasaki punta molto sul peso piuma di 174 kg in ordine di marcia, (misurati sulla nostra bilancia) che la rende estremamente reattiva (interasse 1.357 mm e avancorsa 92 mm, l’unica sotto i 100 mm del gruppo) nonostante anche lei, come la Honda, sia una moto che ha nel mirino la strada più che la pista, con un’ergonomia comoda, una buona protezione e una nutrita serie di accessori tra cui plexi maggiorato e borsa serbatoio.
In parte per contenere il peso, e in parte per contenere il prezzo, Kawasaki ha fatto scelte conservative su sospensioni e freni: forcella non rovesciata da 41 mm, mono regolabile nel solo precarico montato con leveraggi e disco singolo anteriore con pinza Nissin assiale a 4 pistoncini. Ha gomme Dunlop da 110/70 anteriore e 150/60 posteriore e la nostra edizione SE vanta anche il sistema keyless, l’unico in questa categoria, e il display TFT da 4,3” con connettività a smartphone; però niente mappe e niente controllo di trazione. Il look si rifà a quello della ZX-10 RR e nel classico verde con accenti neri e rossi ha sempre il suo perché. Si parte da 7.190 euro c.i.m., prezzo già aggressivo, ma la versione base costa ben 700 euro in meno.
La CFMOTO 450SR S è la versione evoluta della 450SR che attirò sul brand cinese tutti gli sguardi quando venne presentata in veste di prototipo (SR C21 Vision) nel 2021. All’epoca si pensava che potesse essere una maxi, invece è una A2 nativa, ma va bene così, anche perché questa versione SR S torna a sfoggiare il forcellone monobraccio come sulla SR C21 Vision: è l’unico della categoria e fa sempre la sua bella figura. Arrivano poi il controllo di trazione (non però basato su RBW), un freno posteriore maggiorato e la forcella regolabile nell’idraulica, l’unica del gruppo; per finire, ci sono diverse winglets e lo scarico sotto al codone anziché laterale: come dicevamo, il colpo d’occhio è davvero appagante.
Dal punto di vista tecnico, CFMOTO si presenta col motore più tirato del lotto: è il più piccolo nella cilindrata (449,5 cc) ma quello più superquadro: A/C = 1,30, meno coppia dei rivali e maggior propensione a girare alto. Il motore è inserito con funzione portante in un telaio a traliccio in acciaio, le sospensioni sono come detto regolabili e al posteriore è previsto il link. Dopo Aprilia è la più compatta di interasse (1.370 mm), strizza anche lei l’occhio alla pista ma è sensibilmente più pesante: 184 kg in ordine di marcia. Anche lei ha un cruscotto TFT da 5” con connettività e fari LED e il lampeggio ESS nelle frenate di emergenza.
CFMOTO corre in Moto3 e in Moto2 con ottimi risultati e una bella livrea a base azzurra, ma questa SR S resta fedele al nero della concept del 2021, comunque affascinante. Il prezzo parte da 6.990 euro c.i.m.; l’unica con il 6 davanti e come da copione la più economica del gruppo, ma non di molto: in questa categoria, tutti i numeri di tutti finiscono per essere vicini.
Chiudiamo con l’ultima arrivata, e molto attesa: la Aprilia RS 457 che porta al debutto una piattaforma tutta nuova per Noale. È inedito il motore bicilindrico, poco superquadro (A/C = 1,13) per avere buona coppia anche ai bassi. Per ridurre gli attriti interni ha il manovellismo decentrato con i cilindri disassati rispetto ai pistoni, abbondanza di cuscinetti a rulli e trattamenti DLC. Ma soprattutto vanta una raffinata gestione Ride-By-Wire, la prima in questa fascia di cilindrata, che permette di offrire mappe motore, riding mode, un controllo di trazione a livelli regolabile anche durante la guida e un quickshifter bidirezionale (in opzione).
Il telaio è un doppio trave in alluminio, in piena tradizione Aprilia e l’unico della categoria. Usa il motore come elemento strutturale; anche il forcellone, in acciaio, è infulcrato direttamente nel carter. Le sospensioni prevedono una forcella rovesciata da 41 mm e un mono, entrambi regolabili nel precarico. I freni sono ByBre con anteriore radiale, disco da 320 mm e leva regolabile, e posteriore da 220 mm, e l’ABS può essere disattivato al posteriore per l’uso in pista.
È insomma evidente che la RS 457 è la più racing delle moto di questa comparativa. È la più leggera e compatta (173 kg col pieno e solo 1.350 mm di interasse), per replicare la formula della Moto3: poca potenza e tanta leggerezza. La carena a doppio strato è stata finalizzata in galleria del vento, con tanto di estrattore e di scarico integrato nel sottopancia, e qui abbiamo la ormai classica livrea racing di Aprilia; quanto al prezzo, parte da 7.399 euro c.i.m., ai quali sarebbe un peccato non aggiungere almeno il quickshifter e, se si va in due, le maniglie passeggero…
Si entra in pista: guardiamo le gomme
Visiera giù e prima dentro, si va in pista. Entriamo nel nostro circuito di Vairano in una bella giornata di fine aprile, sole e asfalto asciutto, anche se il suo grip non è al top oggi. Per immedesimarci nell’utente medio di questa categoria, teniamo le gomme di serie con le pressioni di serie, e questo sarà un tema importante del test perché tra le Eurogrip Protorq Extreme (Aprilia), le CST Adreno (CFMOTO), le Michelin Road 6 (Honda) e le Dunlop Sportmax (Kawasaki) le differenze nell’uso in pista sono apparse sensibili.
Cominciamo col dire che tutte le moto ci hanno sorpreso positivamente. Pur senza essere estreme e mantenendo una attitudine più che buona all’uso stradale, si sono mostrate tutte a loro agio in pista, ciascuna con caratteristiche diverse. Possiamo cpmfermare la nostra divisione in due gruppi, con le due giapponesi da una parte e la cinese e l’italiana dall’altra. E non per via delle differenti fasature a 180° e a 270°, i cui effetti sono in pratica inavvertibili, se non nel timbro al minimo dei loro motori.
Parliamo dell'impostazione complessiva. Le due giapponesi sono sulla carta le meno dotate per l’utilizzo in pista, la Honda per il peso e le caratteristiche del suo motore, poco dotato in allungo e la Kawasaki per le dotazioni meno sofisticate in termini di sospensioni – non regolabili e con la forcella tradizionale – e freni – col disco singolo anteriore e pinza assiale. Ma in realtà le jap, come loro solito, non hanno veri punti deboli.
In pista: la Honda CBR500R
La CBR500R è tanto per cominciare la più abitabile, e questo dà già una mano ai piloti più alti. Il cupolino è basso (come per tutte), ma la carena a doppio strato è ampia, il serbatoio ben conformato e l’ergonomia davvero ottima. Come da tradizione Honda, ti mette immediatamente a tuo agio, consentendo già dopo le proverbiali due curve di tirare le staccate e piegare al massimo. Tra l’altro ha l’impianto frenante più performante del lotto, ben sorretto dalla Showa “Big Piston” che se non ci è mai piaciuta particolarmente sulle moto diciamo dai 100 CV in su, qui non presta il fianco a critiche.
Certo il twin di Tokyo non regala particolari batticuori e al cambio marcia fatica un po’ a recuperare giri; ma di strada se ne fa comunque tanta e l’efficacia complessiva è elevata. Il feeling in curva è ottimo, e soltanto nei cambi di direzione emergono i kg in più e la gommatura più larga, sia al posteriore che all’anteriore per effetto del canale ruota da 3.50 che rende la 120/70 più piatta e larga che sulle altre. Le Michelin Road 6 hanno comunque superato a testa alta la prova della pista, e la CBR500R si è rivelata una bella sportiva, magari più rotonda e meno reattiva delle altre ma altrettanto efficace nel complesso.
In pista: la Kawasaki Ninja 500
Sulla Kawasaki Ninja 500 avevamo qualche pregiudizio. Avevamo già capito in occasione del lancio stampa che le sue dotazioni tecniche non prestavano il fianco a critiche, ma nell’utilizzo più estremo che se ne fa tra i cordoli pensavamo di andare oltre il loro potenziale. In realtà la Ninja, forte della sua grande leggerezza, è risultata efficace e divertente. All’opposto di Honda, è quella che frena meno forte di tutte e questo aiuta la forcella a non andare in crisi; ma si stacca comunque bene visto che è leggerissima, praticamente a pari con Aprilia, il che la rende pronta fuori dalle curve.
Il nuovo bicilindrico di Akashi è apparso brioso il giusto, con un buon allungo abbinato a una buona capacità di riprendere fuori dalle curve. Piacevole anche l’ergonomia, in questo caso piuttosto compatta ma abitabile anche per chi è più alto, con un plexi molto piccolo e una posizione relativamente “seduta”, con la sella bassa rispetto al manubrio e i semimanubri alti. Il feeling e la sensazione di controllo sono comunque subito molto buoni; peccato solo per il grande terminale di scarico che tende a interferire con lo stivaletto destro quando si guida in assetto pista.
In pista: la CFMOTO 450SR S
Veniamo al secondo gruppo di moto, le più “pistaiole” nell’aspetto ma non per questo, come abbiamo già detto, particolarmente estreme; sono comunque le due che si sono giocate le nostre preferenze, se non altro a livello di feeling fra i cordoli.
La CFMOTO 450SR S, che di fatto non conoscevamo avendo guidato solo la versione SR e su un bagnatissimo tracciato di Istambul, è stata una piacevole sorpresa. Bellissima nella tonalità di scarico, ciclisticamente è parsa molto a punto, con una forcella più sensibile delle altre e una bella frenata grazie alla pinza Brembo radiale, che la rende seconda dietro solo al doppio disco della Honda. Ha quote svelte e un’ergonomia molto compatta, un po’ più restrittiva per chi è alto, ma molto efficace in pista.
In parte l’aiutava il fatto di avere una rapportatura particolarmente adatta al nostro circuito di Vairano, dove il buon allungo del suo motore permette di tenere la marcia più a lungo, raccordando con facilità le curve. Il feeling delle CST Adreno è buono, vien voglia di piegare molto e loro assecondano con un bel grip e un profilo progressivo. I difetti stanno nella gestione elettronica, perché il traction control, non basato su ride-By-Wire, è parso decisamente invasivo e ancor più lo è l’ABS, che in pista impediva di tirare a dovere le staccate. Il peso non è bassissimo, ma si avverte quasi solo sollevando la moto dal cavalletto, mentre in movimento è inavvertibile anche perché la moto appare corta e bassa, anche al di là delle sue quote geometriche che sono nella media.
In pista: l’Aprilia RS 457
Chiudiamo con l’Aprilia RS 457, su cui le aspettative erano altissime. E l’italiana non le ha deluse, perché il potenziale del suo pacchetto è senz’altro eccellente. L’ergonomia è quella delle Aprilia più grandi: serbatoio largo, gomiti ben angolati e posizione un po’ più caricata in avanti: la sella a 800 mm è la più alta del lotto. La ciclistica è precisa, abbina una grande maneggevolezza a una grande stabilità in piega, e il motore è un ottimo compromesso tra allungo e disponibilità di coppia ai bassi regimi. Per essere un progetto tutto nuovo, è una ciambella uscita col buco.
Come da copione, il grande plus dell’italiana è l’elettronica. Perfetti nell’intervento il traction e l’ABS, dopo aver impostato la mappa più sportiva che lo esclude al posteriore, e impeccabile il funzionamento del Ride-By-Wire: si sente la sua perfetta sintonia con il motore ogni volta che si riprende in mano il comando del gas. Ed è ovviamente una goduria in pista il quickshifter bidirezionale, che semplifica di molto la vita sia in ingresso che in uscita di curva.
Tutto molto bene quindi, ma questo quadro è seriamente compromesso dai limiti in termini di grip e di feeling delle coperture Eurogrip, che pur essendo state sviluppate su specifiche Aprilia ci sono parse scarsamente performanti in pista. Questo ha molto penalizzato una moto che avrebbe potuto vincere nettamente il confronto fra i cordoli. Anche la frenata offerta dalle pinze ByBre radiali non è parsa eccelsa, sicuramente inferiore alle Brembo della CFMOTO e superiore soltanto all’impianto Nissin assiale della Kawasaki. La forcella regolabile nel solo precarico è comunque utile, perché con un paio di click il sostegno diventa adeguato alle sollecitazioni della pista.
Resta una moto che con due gomme giuste e due pastiglie freno più aggressive permette di divertirsi alla grande in pista, per la quale è come previsto la più pronta all’uso insieme con la CFMOTO.
Come vanno su strada
E su strada? Beh, come dicevamo le differenze evidenziate dalla pista rimangono, ma si assottigliano. La Honda è la più abitabile anche in coppia, ha un motore dolce e vibra molto poco. Inoltre le novità 2024 come il nuovo display con connettività RoadSync e il controllo di trazione sono un bel plus.
La Kawasaki è molto simile nel feeling, ma un po’ più compatta e leggera, cosa che aiuta soprattutto in manovra. È meno dotata in fatto di elettronica, ma il nuovo motore ha guadagnato un bel corpo ai bassi che la rende piacevole in ogni tipo di percorso.
La CFMOTO è compatta nella posizione in sella, appena più caricata sui manubri delle altre, ma è comunque ottima anche per viaggiare. Ha un bello strumento e una bella sella, tra l’altro ottimamente rifinita, e vibra poco grazie al doppio contralbero.
L’Aprilia sfoggia anche su strada il plus dei riding mode che la adeguano in un attimo alle condizioni di pioggia o ai pruriti sportivi di chi guida, il quickshifter è sempre un piacere e la posizione in sella non è affatto male, in linea con le altre.
Goduria alla portata di tutti
Tutte consumano pochissimo (la campionessa in materia è la Honda), tutte vibrano poco (qualcosa di più la CFMOTO al manubrio e l’Aprilia alle pedane) e tutte proteggono pochino; per fare strada, magari anche in inverno, meglio montare i cupolini rialzati. Non sono affatto moto scomode: certo le crossover sono più comode per chi è negli "anta", ma a 18 anni la differenza è inavvertibile. Sono tutte leggere, basse di sella, facili per tutti e che invogliano a uscire quanto più possibile, perché sanno divertire senza stancare. Hanno dotazioni a cui ormai si possono muovere ben pochi appunti e un colpo d’occhio “da grandi” capace di soddisfare anche i più esigenti.
Insomma, come le 125 2T degli Anni 80 e 90, sono moto che non fanno rimpiangere le hypersport, se non ovviamente sul piano delle prestazioni pure; in compenso sono più comode e rilassanti. Fatte le debite proporzioni, costano in effetti più o meno quanto una 125 di allora; con la differenza che queste vanno in autostrada – e con un bel margine di prestazioni – e ti portano in vacanza, anche in coppia e anche lontano. Insomma: sono un bel regalo che queste quattro Case hanno fatto al mondo dei motociclisti, mondo che speriamo guadagni nuovi membri proprio grazie a modelli come questi.
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