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Moto & Scooter

Top & Flop: le leggende Harley-Davidson e i modelli meno riusciti

Carlo Pettinato
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Top & Flop: le leggende Harley-Davidson e i modelli meno riusciti

Motociclette immortali come 883 ed Electra Glide, ma anche veri buchi nell’acqua come la V-Rod o le entry level Street 500 e 750. La storia più recente della casa di Milwaukee riassunta nei suoi alti e bassi

Una delle Case motociclistiche più antiche, fondata oltre 120 anni or sono a Milwaukee, Wisconsin. Harley-Davidson, nel corso del suo primo secolo di storia, ha creato attorno a sé un vero e proprio mito e una sub cultura che con il motociclismo comunemente inteso ha relativamente poco a che fare. Uno stile di vita inimitabile e inconfondibile che affonda le sue radici nella guida sulle highway americane e nel rock'n'roll, ma che col tempo ha saputo ricavare la propria nicchia in un po’ tutti i mercati. Tuttavia, come per ogni azienda, ci sono stati e ci sono sì modelli cardine, veri pilastri nella storia del marchio, ma anche passi falsi che possono essere ricondotti ad errori concettuali, a discutibili scelte tecniche o semplicemente ad un tempismo sbagliato. Nel caso specifico di Harley-Davidson, diversi di questi flop sono imputabili a tentativi di uscire dal seminato, con proposte lontane dalla tradizione o dal prestigio del brand. Ecco dunque la nostra personale selezione dei modelli Top & Flop di casa Harley-Davidson, che spaziano da vere leggende come Electra Glide e 883, sino a buchi nell’acqua clamorosi, come bene o male sono finora stati tutti i tentativi di costruire motori differenti dal V-twin di 45° raffreddato ad aria con distribuzione ad aste e bilancieri.   

I MODELLI TOP

Le moto top di casa Harley sono più che “semplici Top”. In particolar modo modelli come 883 ed Electra Glide sono vere leggende americane, motociclette che ogni motociclista conosce, che sia o meno fan del marchio. Ecco la loro storia e le caratteristiche.
883
Più che una moto, un mito. L’Harley americanissima ma a misura d'Europa, la moto che metteva il sogno dei grandi spazi e delle infinite strade d'oltreoceano alla portata di tutti, studenti compresi. Se la gioca con la Sportster 1200, più raffinata e performante, ma il primo modello a cui tutti pensano quando si parla di H-D è lei, anche se non c’è più, ovviamente anche per il traino del gruppo musicale di Max Pezzali e Mauro Repetto, che da lei presero il nome. Corta e con la linea a triangolo, è inconfondibile: tecnicamente è la più piccola delle Sportster, longeva serie nata nel 1957 già con la cilindrata di 883 cc (oltre alla 1.000, che crescerà nel tempo fino a 1.200 cc). La 883, motore grandicello per l’Italia negli Anni 80 quando Carlo Talamo rilanciò il mito Harley anche da noi, era quasi da utilitaria per gli USA e in effetti la potenza di una cinquantina di cavalli la metteva anche da noi in concorrenza con moto più piccole. Ma di vera concorrenza la 883 non ne ha mai avuta: se volevi lei, volevi solo lei, col suo classico V 45° con distribuzione ad aste e bilancieri, il raffreddamento ad aria, le due valvole in testa per cilindro, fino al 2004 addirittura montato direttamente sul telaio senza silent block (e via di “good vibrations”), all’inizio solo quattro marce. Pochi i cambiamenti importanti nella sua storia: l’arrivo del motore Evolution nel 1984, la quinta marcia nel 1991, la finale a cinghia nel 1992. Il montaggio elastico del motore arriva soltanto nel 2004, l’iniezione nel 2007. Ma la serie Sportster inizia ad accusare il peso degli anni, e a fine 2022 viene dismessa. Un momento storico ma anche triste: e l’ultima ad uscire dagli stabilimenti di Milwaukee è proprio una 883.
Electra Glide
Qui siamo all’estremo opposto della gamma Harley-Davidson, con un modello fra i più opulenti, massicci e costosi di sempre. L’Electra Glide nacque nel 1965 come erede della FL Duo Glide del ‘58, ed è entrata nella storia per le sue doti di comfort a lungo raggio e l’arrivo, già dalla prima versione, dell’avviamento elettrico di serie, cui tra l’altro si deve la scelta del nome “Electra”. Nacque con il medesimo motore della Duo Glide: il Panhead da 1200 cc, 60 cavalli e 95 Nm risalente a fine Anni 40. Nel corso del tempo non ha mai smesso di crescere di cilindrata e prestazioni, montando via via motori Shovelhead (già nel 1966: stessa cilindrata ma il 10% di potenza in più), Evolution nell’84, Twin Cam 88 nel ’99 e dal 2017 l’attuale Milwaukee Eight. Sempre maggiori le cubature: 1.340, 1.450, 1.584, 1.687, sino ai 1.868 cc della versione odierna, la 114, da 87 cavalli e 160 Nm. Oggi ufficialmente prende il nome di Ultra Limited, ma l’Electra Glide ha rappresentato per decenni lo stereotipo della moto americana, con le voluminose borse rigide, il parabrezza e l’autoradio: sempre ben oltre i 300 kg a secco (oggi si sfiorano i 400), ha tuttavia saputo offrire una discreta guidabilità tenendosi aggiornata con nuove sospensioni, telai più efficaci, ruote da 17” (alla nascita erano da 16), ABS e iniezione. Imitata senza successo persino dai giapponesi, la Electra Glide resta un caposaldo della produzione H-D anche in questi anni in cui l’azienda americana sta decidendo quale strada imboccare per il suo prossimo secolo di storia.
Road Glide
Sono tante le Harley importanti degli ultimi decenni, ma diremmo che la Road Glide merita un posto speciale per avere introdotto, nel 1999, una nuova estetica che è immediatamente diventata un classico di H-D: lo “shark nose”, il naso da squalo realizzato dalla imponente carenatura a sbalzo, un grosso cupolino con parabrezza vincolato al telaio e che supporta il doppio faro, il plexi e l’impianto audio. La Harley Road Glide ha comunque una tradizione più antica, visto che nasce dalle ceneri della FLT Tour Glide, lanciata nell’80 e uscita di produzione nel 1993. Già la Tour Glide era dotata della sovrastruttura frontale e del doppio fanale tondo, ma su quel modello le linee erano meno peculiari e non classificabili già come Shark Nose. Come le altre touring di Milwaukee, la Road Glide è dotata di borse laterali rigide e sospensioni regolabili; nata con il Twin Cam 88 da 1.450 cc a carburatori, monta ora il Milwaukee-Eight da quasi 2.000 cc (1.923 per la precisione) con le testate raffreddate a liquido, in versione da 107 cavalli e 175 Nm a 3.000 giri. Una motocicletta imponente, equipaggiata con forcella Dual Bending Valve da 49 mm, doppio ammortizzatore posteriore, ruote in lega con anteriore da 19” e posteriore da 18 e impianto frenante con due dischi anteriori da 320 e pinze assiali. La massa è di un qualcosa inferiore alla Electra Glide, ma comunque importante: si parla di oltre 360 kg a secco. Di Harley si può pensare e dire quel che si vuole, ma la sua capacità di scolpire icone resta immutata nel tempo.

I MODELLI FLOP

Come anticipato, il flop in casa Harley corrisponde mediamente ad un tentativo di allontanarsi dalla tradizione, fatta di motori raffreddati ad aria e con distribuzione ad aste e bilancieri. Obiettivamente, tecnologia dell’anteguerra, ma che ormai è parte irrinunciabile della leggenda H-D.
V-Rod
Siamo nel 2001, il Millennium Bug è alle spalle, il mondo sembra lanciato a tutta velocità verso nuovi traguardi e Harley decide di dare finalmente alla luce il chiacchierato V-twin a liquido di cui si vocifera da anni. L’obiettivo di una azienda ormai di nuovo in piena salute è quello di prendere di petto la concorrenza giapponese ed europea in fatto di “muscle bike”. La V-Rod definisce una nuova estetica in stile “drag race”, con la forma allungata, la forcella inclinata di 34° e l’enorme gomma posteriore, che avrà un impatto duraturo, ma soprattutto introduce un motore completamente inedito, sviluppato in collaborazione con Porsche: è un V di 60° con imbiellaggio tradizionale, contralbero, raffreddamento a liquido, distribuzione bialbero a camme in testa, iniezione elettronica, 115 CV e un’erogazione autenticamente sportiva. Si tratta di un motore concettualmente moderno, non per nulla battezzato “Revolution”. Con il serbatoio posto sotto la sella, il telaio idroformato e i freni Brembo, la V-Rod aveva personalità da vendere e buoni punti di forza sul dritto, anche se il peso di quasi 300 kg e l’interasse di 1.700 mm ne limitavano decisamente la maneggevolezza. Divise gli harleysti in due: una parte minoritaria che la apprezzò subito, e una maggioranza che la snobbò convinta che le H-D dovessero essere solo V 45°, con distribuzione ad aste e bilancieri e raffreddate ad aria. La V-Rod ebbe quindi un successo modesto, ma rimase comunque in produzione fino al 2017 in diverse versioni, anche di grande fascino come la Night Rod. Il suo motore non sbarcò su nessun’altra piattaforma, ma fu ripreso in piccolo con la serie Street del 2013: un altro fiasco clamoroso.
Street Rod
Il più clamoroso flop della storia recente di Harley, nato (come la Lucky Explorer 5.5 per MV Agusta) quando l’azienda deragliò dalla sua linea premium per cercare di attirare nuovi clienti, più giovani e in nuovi Paesi. Lo fece (anche) con questa famiglia di moto più semplici e moderne, progettate in Italia e costruite in parte a Kansas City e in parte in India, da una fabbrica realizzata appositamente e dismessa pochi anni più tardi. Presentata ad EICMA 2013, la gamma Street doveva essere una H-D di ingresso in Asia, una 883 più accessibile e guidabile negli USA e l’anti-Ducati Monster in Europa. Sfortunatamente non fu nulla di tutto questo, e non per demeriti del progetto – col motore Revolution X (500 o 750 cc) raffreddato a liquido di ispirazione V-Rod e la finale a cinghia, il peso contenuto in 220 kg col pieno e una ciclistica effettivamente efficace. Il posizionamento “patente A2” di entrambi i modelli era corretto, il prezzo anche interessante, ma le Street Rod avevano il peccato originale nel motore Revolution X, che, ancor peggio che sulla V-Rod, venne accusato di essere “non Harley” e subito criticato dai puristi del marchio. Come è noto, gli harleysti duri e puri sono legati alla tradizione e a soluzioni tecniche ben radicate anche se vetuste, e mal accolgono qualsiasi innovazione come poteva essere appunto il V-twin a liquido. Le vendite andarono male praticamente subito, praticamente sempre e praticamente ovunque; e Harley abbandonò modello e fabbrica indiana nel 2021 (dopo pochissime stagioni considerando le logiche H-D), scottata e ormai convinta dell’impossibilità di realizzare una Harley che fosse meno che imponente.
XR 1200
Come la V-Rod, anche la XR 1200 del 2008 divise gli harleysti in due. Non aveva elementi rivoluzionari nel motore, anzi l’architettura era piuttosto classica; ma voleva essere una naked “all’europea”, cioè più performante e maneggevole delle Sportster in un momento in cui le vendite di naked sportive di tutti i tipi stavano esplodendo nei principali mercati del Vecchio Continente. Esteticamente, la XR 1200 si rifaceva a un grande classico americano, la XR 750 da flat track nata a inizio Anni 70 (la moto da corsa più vincente dell’intera storia del motociclismo), richiamata anche grazie alla grafica sul serbatoio, e aveva senz’altro una bella personalità; per non parlare del motore ad aste e bilancieri rivisto in senso sportivo, con scarico 2-in-1-in-2 e un’iniezione più efficiente che lo portava ad erogare 90 CV con una zona rossa a 7.000 giri: veramente sensazioni da Harley preparata, ma con una grande trattabilità. Harley fu forse un po’ troppo coerente con questa impostazione “race-replica” lasciando alla XR 1200 dotazioni piuttosto basilari, poche opzioni e finiture non all’altezza delle altre H-D: tre difetti che specialmente in patria non le vennero perdonati. La XR 1200 viceversa piacque agli europei, pur non essendo forse ancora “abbastanza sportiva” per i gusti dei motociclisti di allora. Un flop che entra quindi di diritto nel filone “ahead of its time”, arrivato troppo in anticipo sui gusti dei motociclisti e soprattutto scomparso troppo presto: Harley la tolse dai listini già nel 2012, dopo soli quattro anni dal lancio.  Oggi avrebbe sicuramente molte più chances. 

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