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Top & Flop: i migliori modelli Triumph e i buchi nell’acqua

Carlo Pettinato il 30/08/2024 in Moto & Scooter
Top & Flop: i migliori modelli Triumph e i buchi nell’acqua
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Dalla Speed Triple alla controparte carenata Daytona, dall’intramontabile Bonneville alla Trophy 1200 (chi se la ricorda?). Tra fisiologici alti e bassi, ecco alcuni dei modelli più significativi, nel bene e nel male, usciti dagli stabilimenti di Hinckley

Negli oltre 100 anni di storia motociclistica, Triumph ha prodotto moto di ogni tipo, diventando uno tra i marchi con più personalità nel panorama delle due ruote. Fondata nel 1902, Triumph ha sviluppato la propria reputazione attorno ad uno stile britannico inconfondibile e più recentemente al motore a tre cilindri, sviluppato con convinzione senza pari.

Modelli come la Speed Triple e la Street Triple hanno rivoluzionato il mercato delle naked sportive con un look che è diventato immediatamente cult, imponendosi poi come punti di riferimento per le qualità meccaniche e dinamiche. La Bonneville, un classico intramontabile, incarna lo spirito retrò delle moto britanniche, mantenendo vive le tradizioni, ma aggiornandosi con tecnologia moderna. 

Tuttavia non tutte le scelte del marchio sono state fortunate. Come ogni produttore, Triumph ha avuto i suoi alti e bassi: moto sbagliate per concetto, per realizzazione oppure per mancanza di tempismo. Qualche esempio: la naked 4 cilindri da 600 cc Speed Four, la tourer Trophy 1200, arrivata in un momento di contrazione del mercato del segmento di riferimento, oppure la Daytona 955i, mai compiuta fino in fondo e mai apprezzata quanto le controparti naked.

Nonostante alcuni passi falsi, la personalità e la fedeltà alla propria identità hanno permesso a Triumph di emergere come uno dei marchi più rispettati e longevi nel mondo delle moto. Ecco dunque la nostra selezione dei modelli Top & Flop concepiti negli stabilimenti di Hinckley.

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LE MOTO TOP DELLA STORIA RECENTE DI TRIUMPH

Due naked dallo sguardo inconfondibile, moto cult rese inimitabili prima dallo sguardo con doppio gruppo ottico e poi da qualità dinamiche e costruttive sopra la media. E poi un vero classicone, rivisitazione moderna di un modello storico nato a fine anni ’50 e apparentemente immortale.

<div class='descrGalleryTitle'>Speed Triple T509</div><div class='descrGalleryText'><p>La primissima Speed Triple, la T301 a faro singolo, era arrivata nel 1994; ma è stata la T509 a dar vita al <b>mito Speed Triple</b>. Vide la luce nel 1997 e portò con sé un tratto estetico (che all'epoca chiamarono <b>&quot;sguardo allucinato&quot;</b>) che oggi, quasi trent’anni più tardi, ancora ritroviamo nelle naked a marchio Triumph. La prima Speed Triple era fortemente caratterizzata da un <b>doppio faro tondo che ha fatto storia</b> e che non è cambiato, se non di una virgola, fino al 2011, quando la seconda serie di 1050 introdusse i nuovi gruppi ottici a diamante. La T509, ideata <b>con l’importante contributo di Carlo Talamo, </b>più che un semplice importatore, nasceva come una Daytona spogliata e semplificata e riuscì in un compito davvero arduo: <b>attirare l’attenzione in un segmento dominato dalla Ducati Monster. </b>Tanto quanto l’italiana, l’inglesina aveva carattere da vendere, con forme morbide ma aggressive e con lo spettacolare <b>forcellone monobraccio</b> che lasciava a vista il bel cerchio a tre razze. Poi il motore&nbsp;<i>triple</i>, con una voce unica e inconfondibile e un carattere particolare che fondeva il buono dei due e dei quattro cilindri. A dare una grossa spinta a livello marketing ci fu il ruolo da <b>protagonista in Mission Impossible II</b>, in cui Tom Cruise gioca con una Speed Triple nera come se fosse una moto da cross.</p>
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Speed Triple T509

La primissima Speed Triple, la T301 a faro singolo, era arrivata nel 1994; ma è stata la T509 a dar vita al mito Speed Triple. Vide la luce nel 1997 e portò con sé un tratto estetico (che all'epoca chiamarono "sguardo allucinato") che oggi, quasi trent’anni più tardi, ancora ritroviamo nelle naked a marchio Triumph. La prima Speed Triple era fortemente caratterizzata da un doppio faro tondo che ha fatto storia e che non è cambiato, se non di una virgola, fino al 2011, quando la seconda serie di 1050 introdusse i nuovi gruppi ottici a diamante. La T509, ideata con l’importante contributo di Carlo Talamo, più che un semplice importatore, nasceva come una Daytona spogliata e semplificata e riuscì in un compito davvero arduo: attirare l’attenzione in un segmento dominato dalla Ducati Monster. Tanto quanto l’italiana, l’inglesina aveva carattere da vendere, con forme morbide ma aggressive e con lo spettacolare forcellone monobraccio che lasciava a vista il bel cerchio a tre razze. Poi il motore triple, con una voce unica e inconfondibile e un carattere particolare che fondeva il buono dei due e dei quattro cilindri. A dare una grossa spinta a livello marketing ci fu il ruolo da protagonista in Mission Impossible II, in cui Tom Cruise gioca con una Speed Triple nera come se fosse una moto da cross.

<div class='descrGalleryTitle'>Bonneville</div><div class='descrGalleryText'><p>Uno <b>dei modelli più antichi ancora in produzione </b>(seppure completamente rivisitato), un instant classic intramontabile e apprezzato trasversalmente da ogni generazione, fino ad oggi per lo meno. La Bonneville prende il suo nome dalle <b>leggendarie Salt Flats</b>, il lago salato in Utah dove si stabiliscono i record di velocità in auto e moto, e la sua linea è fedele a quella originaria del <b>1959</b>. La primissima Bonneville era la T120, dotata di un bicilindrico parallelo raffreddato ad aria da 650 cc e di un look classico per quel periodo: fanale rotondo, serbatoio a goccia in metallo e sella lunga con rivestimento in pelle. <b>La Bonneville odierna riprende tutti questi canoni ma lo fa, ovviamente, con tecnologia contemporanea: </b>il motore è cresciuto a 900 cc per la T100, l’entry level, e a <b>1.200 per la T120</b>, il top di gamma; per entrambe, raffreddamento a liquido, ma con una pelle esterna del gruppo termico alettata per ricordare i tempi che furono. I freni sono tutti a disco, e ci mancherebbe, ma il reparto sospensioni prevede una forcella tradizionale e doppio ammortizzatore posteriore. Anche qui, massima fedeltà agli periodo d’oro degli anni ’60. Declinata in moltissime versioni, dalla bobber alla café racer, <b>non è mai stata una hit ma è una long seller:</b> vende sempre bene. Tutte le moto vanno e vengono, ma <b>la Bonnie sembra veramente eterna.</b></p>
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Bonneville

Uno dei modelli più antichi ancora in produzione (seppure completamente rivisitato), un instant classic intramontabile e apprezzato trasversalmente da ogni generazione, fino ad oggi per lo meno. La Bonneville prende il suo nome dalle leggendarie Salt Flats, il lago salato in Utah dove si stabiliscono i record di velocità in auto e moto, e la sua linea è fedele a quella originaria del 1959. La primissima Bonneville era la T120, dotata di un bicilindrico parallelo raffreddato ad aria da 650 cc e di un look classico per quel periodo: fanale rotondo, serbatoio a goccia in metallo e sella lunga con rivestimento in pelle. La Bonneville odierna riprende tutti questi canoni ma lo fa, ovviamente, con tecnologia contemporanea: il motore è cresciuto a 900 cc per la T100, l’entry level, e a 1.200 per la T120, il top di gamma; per entrambe, raffreddamento a liquido, ma con una pelle esterna del gruppo termico alettata per ricordare i tempi che furono. I freni sono tutti a disco, e ci mancherebbe, ma il reparto sospensioni prevede una forcella tradizionale e doppio ammortizzatore posteriore. Anche qui, massima fedeltà agli periodo d’oro degli anni ’60. Declinata in moltissime versioni, dalla bobber alla café racer, non è mai stata una hit ma è una long seller: vende sempre bene. Tutte le moto vanno e vengono, ma la Bonnie sembra veramente eterna.

<div class='descrGalleryTitle'>Street Triple 675</div><div class='descrGalleryText'><p>Nasce come sorella minore della Speed, ma la <b>Street Triple</b>, sin dalla sua prima versione andata in produzione a fine 2007, si è posizionata come vera alternativa alla più massiccia 1050 e poi 1200. L’estetica è grosso modo la stessa, forcellone monobraccio escluso, e la componentistica è di un mezzo scalino inferiore, ma pur sempre di buon livello. La Street Triple <b>riesce ad essere tutto quello che è la Speed, ma addirittura in meglio</b>: stesso carattere del motore, bello esuberante ai medi, ma con molta più leggerezza, che a differenza dei cavalli si apprezza in ogni frangente. La prima serie fu soprannominata “il gatto incazzato” per l'agilità di guida e il miagolio del motore; la seconda, arrivata nel 2012, coi fari ellittici andava ancora meglio e, a differenza della Speed, <b>non ha perso in fascino ma ci ha guadagnato. </b>L’evoluzione della Street Triple l’ha portata oggi, in cubatura maggiorata a 765, ad essere <b>uno dei</b> <b>punti di riferimento assoluti</b> tra le naked sportive di media cilindrata, grazie a prestazioni eccellenti e a prezzi d’acquisto ragionevoli. Non solo, il suo apprezzato tre cilindri, nella versione più recente, <b>dal 2019 spinge le Moto2 </b>del campionato del mondo, e per trovare un guasto in questo ormai lungo periodo si deve davvero cercare col lanternino, segno di <b>grande affidabilità</b>.</p>
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Street Triple 675

Nasce come sorella minore della Speed, ma la Street Triple, sin dalla sua prima versione andata in produzione a fine 2007, si è posizionata come vera alternativa alla più massiccia 1050 e poi 1200. L’estetica è grosso modo la stessa, forcellone monobraccio escluso, e la componentistica è di un mezzo scalino inferiore, ma pur sempre di buon livello. La Street Triple riesce ad essere tutto quello che è la Speed, ma addirittura in meglio: stesso carattere del motore, bello esuberante ai medi, ma con molta più leggerezza, che a differenza dei cavalli si apprezza in ogni frangente. La prima serie fu soprannominata “il gatto incazzato” per l'agilità di guida e il miagolio del motore; la seconda, arrivata nel 2012, coi fari ellittici andava ancora meglio e, a differenza della Speed, non ha perso in fascino ma ci ha guadagnato. L’evoluzione della Street Triple l’ha portata oggi, in cubatura maggiorata a 765, ad essere uno dei punti di riferimento assoluti tra le naked sportive di media cilindrata, grazie a prestazioni eccellenti e a prezzi d’acquisto ragionevoli. Non solo, il suo apprezzato tre cilindri, nella versione più recente, dal 2019 spinge le Moto2 del campionato del mondo, e per trovare un guasto in questo ormai lungo periodo si deve davvero cercare col lanternino, segno di grande affidabilità.

… E I MODELLI FLOP DELLA CASA INGLESE

A quanto pare l’estetica non basta, e la Baby Speed 600 ne è la prova: replicava il look azzeccatissimo della Speed Triple, ma il motore non era all'altezza. Poi la Trophy 1200, una brutta copia della BMW RT arrivata nel momento sbagliato, e infine la Daytona 955i, in rappresentanza di una stirpe che non ha fatto breccia nel mercato come avrebbe desiderato. 

<div class='descrGalleryTitle'>Speed Four</div><div class='descrGalleryText'><p>Arriva nel 2002 e nasce spogliando la sportiva TT600 in un tentativo estremo di <b>salvarne il flop commerciale</b>. Ma l'operazione non riesce,&nbsp;tanto che dopo appena quattro anni la produzione viene sospesa. Il motivo è lo stesso: <b>il 4 cilindri 600 inglese non è all'altezza dei rivali giapponesi,</b>&nbsp;così vuoto ai bassi da risultare poco gradevole nella guida su strada. La scheda tecnica parla di 88 cavalli a 13.200 giri e 52 Nm a 8.600, quando lo Honda Hornet, riferimento per il segmento, di cavalli ne erogava 95 a 12.000 giri, con 64 Nm a 10.000. La Baby Speed pagava qualcosa anche sulla bilancia, pesando 191 kg a secco contro i 186 della giapponese. Non bastassero motore e dati del banco, <b>anche l’estetica, pur ripresa dalla Speed Triple, non convinceva fino in fondo:&nbsp;</b>e non aveva la stessa omogeneità, denunciava la derivazione &quot;all'ultimo minuto&quot; da una sportiva <b style="font-size: 0.8125rem; background-color: transparent;">sembrava un po' un “accrocchio”</b> fatto in casa, con cablaggi a vista soprattutto nella zona frontale e sovrastrutture non ben raccordate. Mancava poi il monobraccio e tutto l’avantreno non aveva la stessa presenza scenica di quello della Speed. Stavolta <b>nemmeno l'estro di Carlo Talamo poté salvare il progetto, </b>e la Speed Four (in Italia Baby Speed, il nome che le aveva dato Talamo) replicò lo scarsissimo successo della TT600. Per fortuna poi la piattaforma 4 cilindri fu abbandonata, e arrivò la Street...</p>
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Speed Four

Arriva nel 2002 e nasce spogliando la sportiva TT600 in un tentativo estremo di salvarne il flop commerciale. Ma l'operazione non riesce, tanto che dopo appena quattro anni la produzione viene sospesa. Il motivo è lo stesso: il 4 cilindri 600 inglese non è all'altezza dei rivali giapponesi, così vuoto ai bassi da risultare poco gradevole nella guida su strada. La scheda tecnica parla di 88 cavalli a 13.200 giri e 52 Nm a 8.600, quando lo Honda Hornet, riferimento per il segmento, di cavalli ne erogava 95 a 12.000 giri, con 64 Nm a 10.000. La Baby Speed pagava qualcosa anche sulla bilancia, pesando 191 kg a secco contro i 186 della giapponese. Non bastassero motore e dati del banco, anche l’estetica, pur ripresa dalla Speed Triple, non convinceva fino in fondo: e non aveva la stessa omogeneità, denunciava la derivazione "all'ultimo minuto" da una sportiva sembrava un po' un “accrocchio” fatto in casa, con cablaggi a vista soprattutto nella zona frontale e sovrastrutture non ben raccordate. Mancava poi il monobraccio e tutto l’avantreno non aveva la stessa presenza scenica di quello della Speed. Stavolta nemmeno l'estro di Carlo Talamo poté salvare il progetto, e la Speed Four (in Italia Baby Speed, il nome che le aveva dato Talamo) replicò lo scarsissimo successo della TT600. Per fortuna poi la piattaforma 4 cilindri fu abbandonata, e arrivò la Street...

<div class='descrGalleryTitle'>Trophy 1200</div><div class='descrGalleryText'><p>La Triumph Trophy 1200 nacque nel 2012 con l’intento di inserirsi in un filone dominato da colonne portanti come la BMW R 1200 RT e la Honda VFR 1200 sfruttando le virtù e l'unicità del motore a 3 cilindri. Ma il segmento delle tourer classiche, ormai <b>minacciato dal successo delle crossover</b>, che in quegli anni sono nel pieno della loro inarrestabile ascesa, e questo è uno dei principali motivi di insuccesso della Trophy, che tenta di ricavarsi il proprio angolo di mercato quando questo è in piena contrazione. Non solo: in quegli anni Triumph è restia a proporre linee originali, e a livello estetico la moto apparve subito un <b>tentativo di scopiazzare la regina</b> assoluta delle turistiche carenate, la BMW RT. A dare la mazzata finale alla Trophy 1200 ci pensò il prezzo: la base si posizionava a 17.999 euro, già sopra sia a VFR che RT, per la SE, la top di gamma, bisognava sborsare ben 20.400 euro. Eppure, alla prova pratica, la Triumph Trophy 1200 <b>non era affatto male: </b>il motore triple da 1.215 cc e 134 cavalli mutuato dalla Tiger Explorer, il telaio in alluminio abbinato a forcellone monobraccio e le sospensioni elettroniche realizzavano una moto confortevole ed equilibrata.</p>
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Trophy 1200

La Triumph Trophy 1200 nacque nel 2012 con l’intento di inserirsi in un filone dominato da colonne portanti come la BMW R 1200 RT e la Honda VFR 1200 sfruttando le virtù e l'unicità del motore a 3 cilindri. Ma il segmento delle tourer classiche, ormai minacciato dal successo delle crossover, che in quegli anni sono nel pieno della loro inarrestabile ascesa, e questo è uno dei principali motivi di insuccesso della Trophy, che tenta di ricavarsi il proprio angolo di mercato quando questo è in piena contrazione. Non solo: in quegli anni Triumph è restia a proporre linee originali, e a livello estetico la moto apparve subito un tentativo di scopiazzare la regina assoluta delle turistiche carenate, la BMW RT. A dare la mazzata finale alla Trophy 1200 ci pensò il prezzo: la base si posizionava a 17.999 euro, già sopra sia a VFR che RT, per la SE, la top di gamma, bisognava sborsare ben 20.400 euro. Eppure, alla prova pratica, la Triumph Trophy 1200 non era affatto male: il motore triple da 1.215 cc e 134 cavalli mutuato dalla Tiger Explorer, il telaio in alluminio abbinato a forcellone monobraccio e le sospensioni elettroniche realizzavano una moto confortevole ed equilibrata.

<div class='descrGalleryTitle'>Daytona 955i 2002</div><div class='descrGalleryText'><p>Nacque come T595 Daytona ed era la versione “vestita” della Speed Triple, <b>un'alternativa europea alle giapponesi sulla scia del successo della Ducati 916, </b>e con l'unicità (all'epoca) del motore a 3 cilindri. Nel 1999, la seconda generazione prese ufficialmente la denominazione 955i, ed era <b>una bella sportiva caratterizzata da forme morbide, colori originali, un bellissimo forcellone monobraccio </b>e cerchi a tre razze. Il motore aveva una voce e un'erogazione da sogno, i kg erano un po' troppi ma poteva essere la base per una ottima sportiva stradale. In Triumph presero però la strada sbagliata: con il my 2022, per migliorare la dinamica di guida <b>tolsero il monobraccio a favore di un forcellone oggettivamente brutto, </b>e buttarono alle ortiche anche l'affascinante linea per copiare malamente quella della&nbsp;Suzuki GSX-R.&nbsp;Un passo falso che <b>tarpò le ali all'intera stirpe </b>delle Daytona, sia le successive col triple &quot;big block&quot;, presto dismesse mentre la Speed continuava la sua carriera, che le medie col poco riuscito 4 cilindri 600 e poi 650. Un po' meglio andò alla 675 a tre cilindri, comunque <b>mai veramente esplosa </b>nemmeno con l’evoluzione a 765 arrivata nel 2019. È di questi tempi invece la nuovissima 660, posizionata come sportiva entry-level e che promette grandi cose in un segmento che pian piano <b style="font-size: 0.8125rem; background-color: transparent;">sembra acquisire nuova vitalità</b><span style="font-size: 0.8125rem; background-color: transparent;">.</span></p>
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Daytona 955i 2002

Nacque come T595 Daytona ed era la versione “vestita” della Speed Triple, un'alternativa europea alle giapponesi sulla scia del successo della Ducati 916, e con l'unicità (all'epoca) del motore a 3 cilindri. Nel 1999, la seconda generazione prese ufficialmente la denominazione 955i, ed era una bella sportiva caratterizzata da forme morbide, colori originali, un bellissimo forcellone monobraccio e cerchi a tre razze. Il motore aveva una voce e un'erogazione da sogno, i kg erano un po' troppi ma poteva essere la base per una ottima sportiva stradale. In Triumph presero però la strada sbagliata: con il my 2022, per migliorare la dinamica di guida tolsero il monobraccio a favore di un forcellone oggettivamente brutto, e buttarono alle ortiche anche l'affascinante linea per copiare malamente quella della Suzuki GSX-R. Un passo falso che tarpò le ali all'intera stirpe delle Daytona, sia le successive col triple "big block", presto dismesse mentre la Speed continuava la sua carriera, che le medie col poco riuscito 4 cilindri 600 e poi 650. Un po' meglio andò alla 675 a tre cilindri, comunque mai veramente esplosa nemmeno con l’evoluzione a 765 arrivata nel 2019. È di questi tempi invece la nuovissima 660, posizionata come sportiva entry-level e che promette grandi cose in un segmento che pian piano sembra acquisire nuova vitalità.

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