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Top & Flop: le Vespa più riuscite e i passi falsi

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Un nome che è un brand e un mito dell’italianità nel mondo, una forma inconfondibile, una ricetta tecnica semplice ma geniale. Vespa è tutto questo, una storia lunga ormai ottant’anni lungo i quali non ci sono stati solo capitoli luminosi, ma anche qualche scivolone. Ecco la nostra scelta

Pontedera, primo Dopoguerra. La Piaggio è un’industria che ha dovuto accompagnare lo sforzo bellico – in particolare in ambito aeronautico e dei veicoli da trasporto – e, come tante altre, inizia il cammino verso la riconversione civile. Per l’azienda lavora il geniale ingegnere Corradino D’Ascanio, che ha fin lì ideato eliche e il primo elicottero. D’Ascanio non ama la moto, che ritiene difficile e poco pratica, e con un approccio radicalmente nuovo disegna la prima Vespa, la 98 del 1946: telaio a scocca portante, nessun telaio e serbatoio da scavalcare, carrozzeria chiusa per isolare dal motore, ruote da 10”, trasmissione senza catena e cambio al manubrio. Semplice, pulita, inconfondibile, dopo un paio di stagioni necessarie a “digerire” la sua dirompente carica innovativa la Vespa diventa un successo irrefrenabile: costruita su licenza in mezzo mondo, aggiornata nel tempo senza mai stravolgerla, “tanto italiana quanto una biga romana” (Times). Nata con motore 2T e cambio a 3 marce, elaborata senza limiti alla fantasia praticamente da subito, è poi diventata 4T con cambio a variatore e ultimamente elettrica, senza mai perdere l’anima. Anche se qualche scivolone nel corso del tempo c’è stato. Ad esempio…

VESPA: I MODELLI TOP

I nomi entrati nel mito sono tante: Primavera, Sprint, Special, Sport... ma la maggior parte dei vespisti di oggi resta affezionata a due sigle in particolare: PK e PX, che hanno traghettato Vespa nella modernità fino all'arrivo delle attuali 4T a variatore. Tra le quali non mancano peraltro gli esempi di eccellenza tecnica e stilistica, come la GTS e la 946.
PX
Una carriera lunga 30 anni: se non basta questo a entrare nel mito, allora non sappiamo cos’altro serva. È un “Vespone”, una “big frame”, nata nel 1977 senza l’allora vendutissima declinazione 50 ma solo nelle cilindrate 125, 150 e 200 anche se sempre con ruote da 10”. Una Vespa "da adulto", volendo anche da viaggio, ben presto dotata di miscelatore automatico, faro alogeno e verso fine carriera (1999) di freno a disco anteriore. L’ultima serie è del 2008, il mondo è cambiato e le normative fanno la guerra al motore 2T: Piaggio ha già in gamma le moderne ET4 e le GT 4T a variatore, decide di fermare la produzione della PX, che a tanti anni di distanza resta ricercatissima e richiestissima dai nostalgici della “vera Vespa”.
GTS
Di fatto un restyling della Granturismo 125-200 del 2003, arriva nel 2005 con il motore da 250 cc a iniezione che diventa 300 nel 2009. La GTS è una ciambella nata col buco: una “big frame” che porta la Vespa nell’era moderna, con le ruote da 12” che rompono il dogma delle 10” e una ciclistica perfettamente accordata alle ottime prestazioni del suo motore. Autenticamente sportiva per prestazioni e guida, gratificante ma sempre elegantissima, la GTS diventa giustamente l’ammiraglia della gamma, molto desiderata e aggiornata anno dopo anno in termini di dotazioni ciclistiche ed elettroniche.
946
Un modello che potrebbe stare sia tra i top che fra i flop. Presentata a Eicma 2012 come concept, viene acclamata dal pubblico e messa in produzione anche se la sua linea originalissima, ispirata alla Vespa 98 del 1946 di D’Ascanio, e la carrozzeria in alluminio anziché in acciaio la rendono estremamente costosa per la cilindrata di soli 125 cc. Di fatto Piaggio ne produrrà e venderà pochissime, quasi sempre serie speciali da collezione come la recente Dragon. La 946 diventa tuttavia un’icona nell’icona, conquistando le copertine dei giornali di tutto il mondo e diventando uno dei pochi scooter capaci di far girare la testa al suo passaggio, anche ai non appassionati.

VESPA: I MODELLI FLOP

I modelli Vespa sono centinaia, usati nei modi più vari: in campagna e in città, per i record di velocità e alla Parigi-Dakar. Nati semplici e diventati sofisticati, a volte eccessivamente nel tentativo di rincorrere altri mondi. Spesso da qui sono nati i passi falsi del gioiello di Pontedera.
Cosa
Andiamo un po’ indietro nel tempo, alla metà degli Anni 80. Piaggio vuole rinnovare la Vespa che ha ormai tanti decenni di successi alle spalle e per rimarcare la novità del progetto anziché l’iniziale Vespa R (“rinnovata”) sceglie di chiamarla un altro nome: Cosa. Tecnicamente doveva essere l’erede della PX, una “big frame” abitabile e moderna, presentata a Eicma 1987 e piena di novità: un cambio più preciso negli innesti, sospensioni più efficaci, una strumentazione completa e la frenata integrale, con impianto idraulico e addirittura l’EBC, una sorta di ABS meccanico che non funzionò mai molto bene (come l'impianto frenante in generale). La linea più spigolosa e aerodinamica, la presenza di alcune componenti della carrozzeria in plastica e il nome Cosa furono però completamente rifiutate, al punto che la parentesi si chiuse subito, venendo espunta dall’albero genealogico della Vespa. Una tragedia a quel tempo visto anche l’ingente investimento fatto per svilupparla, una fortuna col senno di poi.
T5
Negli stessi anni, che sono gli anni dei Paninari e delle raffinatissime 125 2T italiane, Piaggio prova a rilanciare l'appeal della Vespa, in sofferenza tra i giovanissimi, recuperando il sempre vivo filone sportivo con la T5, derivata dalla PX 125 ma con motore a corsa corta, cilindro in alluminio cromato (anziché in ghisa) e 5 travasi (di qui il nome) invece di 3. Aveva anche la rapportatura accorciata e una crociera del cambio migliorata per ridurre il tempo di cambiata, freni a tamburo potenziati e modifiche estetiche che la rendevano inconfondibile come il cupolino in plastica sul manubrio, la coda più verticale, il nasello più appuntito. Una Vespa da smanettoni, riuscita nel suo genere ma che non poteva contrastare il fascino delle 125 enduro e sportive che la stessa Piaggio produceva (con il marchio Gilera) avendo però tutti i difetti di un 2T sportivo: erogazione appuntita che costringeva a un uso più frequente del cambio, vibrazioni e consumi elevati.
Elettrica
Introdotta a Eicma 2017, basata sulla versione moderna della Primavera con motorizzazione 125 4T, è stata un tentativo peraltro giusto e interessante di entrare con Vespa nel mondo della mobilità elettrica urbana, con un veicolo però non pensato fin dall’inizio per questa tecnologia. Che pur confermando l’eleganza e la cura costruttiva tipiche di Vespa, oltre a buone doti dinamiche, è stato penalizzato da un prezzo gravato sia dalla peculiarità costruttiva del telaio monoscocca in acciaio che dal costo della batteria a ioni di litio. Prezzo che in rapporto alle prestazioni (45 km/h nella versione ciclomotore, 70 km/h nella versione libera) e all’autonomia inferiore ai 100 km ha fatto di questa versione un insuccesso commerciale. Senza dubbio nel futuro non lontano ci sarà qualche modello di Vespa elettrica, tuttavia la formula sarà probabilmente diversa.

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