La Ducati 916 non la scopriamo certo oggi. Probabilmente stiamo parlando di una delle moto più famose della storia della produzione motociclistica, di una delle più iconiche e anche di una delle più vincenti di sempre. In poche parole, un capolavoro di moto. Scopriamo insieme come è nata, come si è sviluppata e quali sono le sue caratteristiche
Se da un lato è pur vero che la bellezza è soggettiva, dall’altro è difficile rimanere indifferenti davanti alle forme così apparentemente semplici eppure così energiche della 916, che hanno ridefinito gli standard estetici dell’epoca e non solo, tanto da essere definita da molti come “la moto più bella del mondo” e vincendo nel 1994 tutti i premi di “moto dell’anno”.
A contribuire alla nascita del mito 916, ha contribuito anche la sua formidabile carriera agonistica, che ha portato piloti del calibro di Fogarty, Corser e Bayliss alla conquista dei colori dell’iride nel campionato mondiale SBK. Un gran bel curriculum, insomma, impreziosito ulteriormente da qualche apparizione cinematografica, come la 996 comparsa in Matrix Reloaded.
ARTE INGEGNERISTICA
La 916 è una figlia degli anni ’90, ed è sicuramente impossibile raccontare a parole l’enorme mole di lavoro, di passione e di competenza che i tecnici del CRC, sotto la guida maniacale di Massimo Tamburini e sotto la matita del compianto Sergio Robbiano, hanno infuso nella creazione della 916 a partire dal lontano 1988, fino al suo debutto ad EICMA 1993.
Il segreto più grande della 916 risiede nella correlazione dell’efficacia con la bellezza, in perfetta filosofia Tamburini. Soprannominato il “Michelangelo delle moto”, il tecnico riminese infatti credeva fermamente che se un qualsiasi componente fosse stato il più efficace possibile e il più semplice possibile, allora sarebbe stato anche bello. Osservando la 916 questa scuola di pensiero appare lampante: elementi distintivi come il forcellone monobraccio - utile per rendere più veloce la sostituzione della ruota posteriore - o come gli scarichi sotto il codone - inseriti in quella posizione per migliorare l’efficienza aerodinamica e di forma ellittica per lasciare abbastanza escursione alla ruota posteriore – sono solo la punta di un iceberg che nasconde una cura maniacale in ogni dettaglio. Non è un caso se la 916 ha l’ingombro laterale di una 250 da gran premio, e non è un caso nemmeno se, osservando il connubio tra motore e telaio, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un’opera d’arte, più che a un pezzo meccanico. A dirla tutta, non è un caso nemmeno se è scomoda per la guida su strada, perché, dura e pura, è concepita per esprimersi al meglio fra i cordoli.
CUORE DESMO
Il cuore pulsante della 916 non è altro che un’evoluzione del Desmoquattro bicilindrico, bialbero, ad “L” della 888, portato a 916 cc, dotato di bielle Pankl e in grado di erogare 114 CV a 9.000 giri/min. La distribuzione era ovviamente desmodromica, con frizione a secco con 15 dischi e comando idraulico. Il telaio, studiato per essere più compatto e leggero possibile, era un traliccio in tubi di acciaio, e prevedeva la possibilità di regolare l’inclinazione del canotto di sterzo tra 24° e 25°, per adattarsi al meglio ai circuiti e alle esigenze del pilota. Il totale fa 195 Kg a secco, tenuti a bada da un impianto frenante composto da due dischi da 305 mm all’anteriore, lavorato da due pinze Brembo a 4 pistoncini e da un disco da 200 mm al posteriore.
L'EREDITÀ DELLA 916
Il progetto della 916 si è dimostrato a dir poco ben riuscito e longevo, tanto da spingere mamma Ducati a svilupparlo e a migliorarlo nel corso degli anni, presentando versioni con diversa cubatura del motore e edizioni limitate e speciali. Si va dalla “sorellina” 748 fino alla 998 Final Edition del 2004. Nel mezzo, ce n’è per tutti i gusti: sono arrivate le biposto, le S, SP, SPS, ed R – le più pregiate – oltre a edizioni limitate come le Senna, Matrix, Neiman Marcus, insieme a quelle dedicate ai piloti del mondiale Superbike, come le edizioni dedicate a Fogarty, a Ben Bostrom o a Bayliss.
Fra tutte, le versioni R sono le più performanti e prestazionali, mentre di particolare rilievo è la genesi della Senna I edizione, se non altro per la caratura dei soggetti coinvolti e per le stellari quotazioni che hanno raggiunto. La Ducati, all’epoca del lancio della 916, era sotto l’ala del gruppo Cagiva e dunque di proprietà dei fratelli Castiglioni, Gianfranco e Claudio. Fu quest’ultimo, appassionato di Formula 1, a conoscere l’asso brasiliano Ayrton Senna, il quale era felice possessore di una Ducati 851 e di una Monster, oltre a possedere una fondazione benefica a suo nome, attiva ancora oggi. E così, nel marzo 1994, in occasione di test pre-stagionali a Imola, Senna firmò un contratto che legava il nome della sua Fondazione a quello della casa di Borgo Panigale. Il risultato della collaborazione fu un’edizione limitata, in 300 esemplari, di una 916 SP con cerchioni rossi e carene color grigio-antracite, che riportavano in bella vista il logo della fondazione.
La 916, dopo un decennio di onoratissima carriera, lasciò il posto alla 999, la quale, nonostante migliorasse molte delle caratteristiche della sua progenitrice, non ha mai convinto del tutto una parte di appassionati, tanto da spingere Ducati stessa a ritornare sui suoi passi nel 2007 con la serie 1098, che riprendeva in chiave più moderna gli stilemi e le linee della "moto più bella del mondo". D'altronde, anche a Borgo Panigale erano consapevoli di aver creato un mito, il cui impatto sull'industria motociclistica ha lasciato un'eredità talmente pesante da creare un nuovo termine di paragone per tutte le moto venute dopo di lei.
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