Moto & Scooter
Belle davvero: Yamaha YZF-R1
La capostipite delle Superbike dell'era moderna, la Yamaha R1 è la moto che riscrisse le regole persino per i giapponesi. Compatta e cortissima grazie al cambio ruotato, cambiò per sempre il modo di concepire una race replica
Anno Domini 1998, l’anno zero per i pistaioli puri. Tutto quello che c’era prima, preistoria. Eccellenze italiane a parte, ça va sans dire. Ma ad est, nel Paese del sol levante, si arrancava un po’ con moto ancora stilisticamente e dimensionalmente legate ai favolosi Anni 80. Parliamo di moto come la Honda CBR900RR, la Suzuki GSX-R 1000 (la famosa "SRAD") o la Kawasaki ZX-7R: bellezze giunoniche che ormai si discostano dai nuovi canoni tecnici e stilistici del segmento, debuttati con la snellissima Ducati 916.
Anche in casa Yamaha si guida in grassetto e la Thunderace 1000, decisamente curvy, non riesce a bissare il successo (né il fascino) delle varie FZR che l’hanno preceduta. A Iwata si rendono conto della situazione e spostano il signore a capo dello sviluppo delle YZR500 da GP e della FZR750R OW-01 a progettare la nuova 1000.
Un nuovo paradigma
La YZF-R1 cambia la sigla e cambia il paradigma. Ha la missione di essere all'altezza della 916 a livello di innovazione, tecnologia e fascino, e ci riesce. Al Salone di Tokyo e poi a quello di Milano del 1997 crea un vero e proprio shock: leggera, potente, arrabbiata e bellissima, è tutto quello che deve essere una moto sportiva nella sua forma più pura ed essenziale.
Vestiti leggeri, linee di rottura con la tradizione: codino leggero puntato al cielo, sguardo cattivo sull’asfalto. Al centro, il quattro cilindri a 20 valvole (Yamaha in quegli anni usa ancora le 5 valvole per cilindro) da 150 cavalli. Il progettista la vuole corta come una 2T, il suo team passa notti insonni per trovare una nuova architettura che disponga il cambio più vicino ai cilindri, ruotandolo verso l'alto e consentendo di allungare il forcellone per trovare più trazione: è una soluzione che nessuno ha mai sperimentato, ma che diventerà lo standard.
Vestito sexy
Il bellissimo telaio Deltabox in alluminio (sapientemente lucidato) e lo scultoreo forcellone a doppio braccio in alluminio sono lì a farsi ammirare. Nessun compromesso, né stilistico, né prestazionale. Un colpo di spugna definitivo sulle linee morbide del recente passato, e sull'uso "sport-touring": ci sono solo funzione, spasmodica ricerca del piacere assoluto di guida.
Posizione caricata sull’avantreno, strapuntino di cortesia per l’eventuale e quasi sempre sgradito “ospite”, serbatoio stretto e rialzato, per essere dentro la moto quando si spinge davvero. Sul lato destro, silenziatore puntato al cielo che spesso viene sostituito con componenti aftermarket. A buttare benzina nei cilindri, una batteria da 4 carburatori Mikuni BDSR40 che chiedono solo una regolazione puntuale per dare il meglio di sé.
Per molti, ma non per tutti
Non è una moto facile: erogazione appuntita e gustosa, unita a una ciclistica affilata. Sospensioni interamente regolabili con forcella a steli rovesciati da 41 mm, doppio disco anteriore da 298 mm lavorato da pinze a quattro pistoncini. Il peso dichiarato è di 177 kg a secco. La nuova hyper Yamaha sprizza fascino da tutti i pori e diventa desideratissima: è chiaro che dopo di lei le cose non saranno più le stesse.
La YZF-R1 diventa il riferimento della categoria pur non ottenendo in pista i successi in pista della Ducati 916. I sostenitori additano il regolamento del mondiale SBK, altri i piloti. Di fatto, la R1 diventa la bandiera degli smanettoni sui Passi e nei track-day. E lo resta a lungo, generazione dopo generazione.
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