Moto & Scooter
Belle davvero: Ducati 916
Dopo l'accesa discussione suscitata dalla nostra riflessione sulle moto meno riuscite dal punto di vista del design, iniziamo una rassegna di quelle considerate unanimemente e indiscutibilmente belle. Si parte con la Ducati 916
Non è ancora esaurito il dibattito sulle moto che abbiamo inserito nella nostra rassegna di esempi mal riusciti di design, e proprio per questo vogliamo tornare sull'argomento dalla prospettiva opposta: ci sono delle moto che piacciono a tutti (o quasi)? Quali sono, che caratteristiche hanno, da dove vengono e a quale epoca appartengono?
Abbiamo l'impressione che l'epoca d'oro delle "belle moto" sia conclusa da tempo, un po' come l'epoca del paesaggio in pittura. Non potendo più fare paesaggi, che erano diventati "già visti", le avanguardie hanno cominciato a sperimentare: cubismo, astrattismo, surrealismo e via dicendo. Il design motociclistico di oggi vive un po' lo stesso momento: costretto a stupire e a fare per forza linee diverse, si spinge su territori rischiosi.
Per questo la frequenza delle moto indimenticabili, nonostante le tante proposte, si sta riducendo, mentre la separazione sempre più netta tra designer e progettisti ostacola quel che avveniva normalmente fino a una ventina di anni fa: che le moto belle erano belle in ogni loro parte. Belle nella linea e belle nella meccanica.
Prendiamo un’icona dello stile su Dueruote: la Ducati 916.
Linee pulite e ben raccordate, superfici estese e filanti, grafica semplice: non c'è dubbio, è una moto italiana. Con lei Massimo Tamburini sperimentò tutto lo sperimentabile, dal doppio faro sottile sottile al doppio scarico sotto il codino, e una compattezza - figlia di un livello di integrazione tra motore e ciclistica che non si era ancora mai visto - davvero sensazionale per una maxi.
Ora perdiamoci nei particolari: guardate le ruote a tre razze, le linee del codino, i collettori di scarico che incorniciano il telaio, seguendone le linee morbide... Persino la viteria è posizionata seguendo un senso estetico e di linearità. La parte di carena che copre il radiatore, in tinta, lascia intravedere anche la testa del cilindro frontale. Per il raffreddamento certo, ma anche per ricordarci che lì sotto c’è meccanica, c’è motore, c’è vita.
Ora osservatela nuda. La stessa linearità, la stessa pulizia, si ritrova anche quando si parla di forma meccanica, di macchina.
Il Desmoquattro, che ha preceduto il Testastretta, era ed è ancora un esempio di bel motore. Sia dal punto di vista prestazionale, che dal punto d vista estetico. Eccolo spogliato dai coprincinghia e impreziosito da una frizione a secco. Quello in foto, verniciato di nero, è la prima versione, che debuttò sulla 851 e, con poche modifiche strutturali e ancor meno formali, terminò il suo percorso con la 996.
Torniamo al motore: tutto è chiaro. Cilindri, teste, basamento. Angolo di 90° fra le bancate (infatti parliamo di bicilindrico a “L”), distribuzione con cinghie dentate, una soluzione utilizzata a campo larghissimo nel mondo auto, molto meno in quello delle due ruote. E poi il sistema Desmo, che guida il movimento delle valvole anche sul ritorno (non demandando quindi alla molla il lavoro).
Insomma, bella vestita, bella nuda, bella dentro.
Quali altre moto del passato recente sono belle anche “senza trucco”?
Ne riparliamo domani!