Moto & Scooter
Da Ferrari a Lambo, la strana traiettoria di MV Agusta
Partita con un chiaro legame con Maranello, l'azienda di Varese negli anni ha riposizionato la sua immagine verso i territori più estremi del design di lusso, presidiati nelle auto da Lamborghini
All'inizio degli anni 90, il Gruppo Cagiva in pancia aveva marchi storici come Husqvarna (in buona salute) Moto Morini (ormai accantonato), Ducati (in pieno rilancio) e MV Agusta (tutto da reinventare). Smisurata nelle proprie ambizioni, ra un’azienda piena di idee, di potenzialità e di debiti.
L’operazione dolorosa ma necessaria che prese forma nella mente dei Castiglioni fu quella di vendere Ducati per “fare cassa”, e usare i fondi per rilanciare MV Agusta facendola diventare prestigiosa come e più di Ducati. Tra il detto e il non detto di quel periodo, si ricordano le affermazioni secondo cui, se Ducati era “la Porsche delle moto”, MV sarebbe dovuta diventare “la Ferrari delle moto”.
La F4
L’intento di "ferrarizzare" la MV fu chiaro quando apparve la F4. Il suo motore, un 4 cilindri ricolmo di tecnologia Ferrari, venne dirottato da Cagiva appunto a MV Agusta. E in effetti la F4 moltiplicava per mille non solo l’appeal delle MV del passato (grazie alla strepitosa linea disegnata da Massimo Tamburini), ma anche i richiami alla Ferrari: con quel nome che sottolineava la collaborazione tecnica nello sviluppo del primo 4 cilindri italiano da decenni a questa parte, i cerchi a stella a cinque razze e tanti altri elementi a sancire il legame tra Cascina Costa e Maranello.
Quello che è successo poi lo sappiamo. Pur tra qualche traversia societaria, Ducati ha lavorato molto bene diventando un’icona sportiva, coltivando la sua unicità tecnologica e sfruttando la sua collocazione geografica per accreditarsi, in modo ormai irreversibile, come “la Ferrari delle moto”. Le vittorie in SBK e MotoGP, il colore rosso e l’emilianità sottolineata persino con i nomi dei modelli presi dalla topografia locale si sono cementati nell’immaginario collettivo.
Da Maranello a Sant'Agata
A MV Agusta, frenata nel frattempo da difficoltà societarie, non restava che iniziare un percorso diverso, che la avrebbe avvicinata a un’altra icona del motorismo italiano. Il primo passo lo fece, forse inconsciamente, lo stesso Massimo Tamburini con la Brutale: moto dai colori ancora legati alla Ferrari ma che nel nome, nell’indole e nell’aspetto apriva la strada al mondo Lamborghini.
Mai dichiarato ufficialmente, lo spostamento di fronte è proseguito senza sosta, favorito dal passaggio di consegne alla guida dello stile da Tamburini ad Adrian Morton, matita inglese meno legata a certi punti fermi dello stile italiano. Se guardiamo in sequenza la F4, la Brutale, la Brutale 800, la Dragster e magari l’ultima Brutale 1000 RR, con tutto quello che c’è in mezzo, è evidente come le MV abbiano decisamente virato verso il mondo Lamborghini, persino negli accostamenti cromatici con tocchi fluo accanto all’argento e all’antracite.
La pioniera senza eredi
Dallo stile squisitamente italiano della F4, con le sue superfici ampie e raccordate, si è passati a modelli dalle linee sempre più spigolose, discontinue e strillate; per non parlare del sound ormai dominato dall'inconfondibile raglio del tre cilindri. Modelli che, come le Lamborghini descritte dall’ex responsabile dello stile di Sant'Agata Bolognese Filippo Perini, sono estremi, vistosi, fanno rumore. Un altro tipo di automobilismo, insomma; ma quel che è importante, altrettanto prestigioso e desiderabile.
Questo spiega anche perché la F4 non ha mai veramente avuto un’erede. Perché ormai, con quelle superfici pulite e ben raccordate e la sua allure squisitamente italiana, non aveva più posto in gamma, ormai fuori da un contesto dominato dal succedersi di moto sempre più esagerate, dalle numerose serie limitate e one-off, dalle Brutale, Dragster, Rush: dalle Lambo a due ruote, insomma, e ora dalla Superveloce che pur nel suo stile rétro esce finalmente allo scoperto utilizzando un nome tipico di Sant'Agata, e non di Maranello.
Un futuro da inventare
Ecco: con l’arrivo di Giorgio Mazzotti al posto di Adrian Morton (che dovrebbe comunque restare come consulente esterno), in qualche modo questo capitolo si chiude. Anche perché l’intenzione di Timur Sardarov è quella di traghettare MV da un passato di quasi artigianalità – per quanto splendida – a un futuro più industriale: nei numeri, nei processi e anche nei prodotti.
Vedremo quindi un ritorno allo stile 100% italiano "alla Ferrari", una prosecuzione della “linea Lambo” o qualcosa di ancora diverso? La risposta è per ora chiusa nelle teste di Sardarov e di Mazzotti, che in questi giorni sta prendendo le redini del Centro Stile e di quello che fu il CRC di San Marino. Il compito che li aspetta è stimolante, ma di sicuro non facile, perché MV Agusta ha davvero un potenziale esplosivo; ma come tutti gli esplosivi, va maneggiato con enorme cura.
SEMPRE PIù vistose ed estreme, le MV degli ultimi anni sono sembrate ispirarsi a Lamborghini più che a Ferrari. Cosa accadrà con la nuova gestione?
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