Moto & Scooter
Aprilia Motò 6.5: la moto di design
Mai amata dalla critica e dal pubblico, la moto disegnata da Philippe Starck era l’Aprilia preferita di Ivano Beggio. Oggi è un oggetto di culto, venerato come un’opera d’arte
Ivano Beggio lo aveva lasciato scritto tra le sue ultime volontà. E chi ha partecipato ai suoi funerali è sicuramente rimasto colpito che a scortarlo nell’ultimo viaggio terreno sia stato un corteo di Aprilia Motò. Erano circa una quarantina, arrivate da mezza Italia, per accompagnare colui che aveva voluto fortemente la “pietra dello scandalo” di Noale. Sbeffeggiata al momento della sua uscita, non apprezzata dai clienti, tra tutte le Aprilia la povera Motò è quella che si porta dietro l’etichetta del più clamoroso flop firmato Beggio. La Motò è quello che oggi definiremo una moto “troppo avanti” rispetto ai suoi tempi. Forse gli Anni 90 non si meritavano questo capolavoro di design uscito dalla matita di Philippe Starck. Il suo fallimento è diventato un mito, un oggetto di culto, fonte di ispirazione per gli ultras di questo alieno delle due ruote.
Il passo falso del Lama
Scomoda da guidare, dotata di una ciclistica a dir poco rivedibile, piena di piccole imperfezioni. Questo il mix di fattori che decretò il flop di un progetto faraonico a cui collaborò Philippe Starck, l’archistar francese noto dalla maggior parte delle persone per aver progettato quello spremiagrumi in cui il 50% del succo di arancia cade fuori dal bicchiere, invece che al suo interno. D’altro canto, come disse Starck, “la moto deve essere bella”. Un oggetto da esporre, da tenere in salotto. Un’opera d’arte. Anche se, a dire il vero, il tarlo della “moto di design” aveva incominciato a rodere nella testa di Beggio già dal 1991. Allora il patron di Aprilia e Starck si incontrarono al Salone del mobile di Milano. Beggio aveva acquistato un’azienda di arredamento, la IB Mobili, che portava nel nome le sue iniziali. Il contatto tra il vulcanico imprenditore veneto e Starck fu sin da subito proficuo, anche perché l’architetto avrebbe voluto aggiungere una moto alla collezione di sue creazioni. E quando Beggio gli disse “Mi disegni una moto, le dò carta bianca”, a lui non parve vero.
Le difficoltà iniziali
Il primo tentativo si chiama Lama: è uno scooter carenato e dalle forme a dir poco azzardate. Presentato al Motor Show del dicembre 1992, lascia tutti a bocca aperta, e non in senso positivo: “Speriamo che non lo facciano mai, e chi la vende quella roba?” è il commento più prudente tra quelli dei concessionari Aprilia. A Beggio piace, ma capisce che il Lama deve terminare la sua vita come prototipo. Ma non si arrende e rilancia: “Starck, mi faccia una moto - gli dice - qualcosa che sia fuori dal tempo”. Beggio sogna un mezzo adatto a tutti, con linee universali, una sintesi di un secolo di moto, qualcosa che sia un’icona tanto quanto lo è Harley-Davidson per il motociclismo americano. E Starck, dal suo studio di Parigi, si dedica anima e corpo al progetto.
In parallelo, Aprilia crea un gruppo di lavoro (capeggiato dall’ex fondatore di SWM Fausto Vergani) per realizzarlo. La scelta del motore, dopo aver scartato alcune ipotesi (Rotax 125 o 350 Suzuki), cade sul Rotax 650 che già equipaggia l’Aprilia Pegaso, opportunamente addolcito rispetto ai 50 CV originari grazie alla scelta di un carburatore a corpo singolo invece che doppio. Ma la gestazione del modello è frutto di una lunga mediazione. Starck punta i piedi. Non vuole che gli ingegneri di Noale snaturino la sua idea.
Ed è così che il serbatoio in plastica - prodotto da Acerbis con un’innovativa tecnologia che permetteva di stamparlo in pezzo unico - mantiene la sua forma tondeggiante, il telaio esce dalle catene di montaggio con le curvature a raggio variabile immaginate dalla matita del designer transalpino, la marmitta viene collocata sotto il motore (la Motò fu la prima moto a montare una soluzione di questo tipo) e il radiatore viene realizzato con la sua caratteristica forma convessa.
Facile a dirsi, meno a farsi: Starck aveva immaginato una moto totalmente grigia, in cui telaio, plastiche e cavi fossero dello stesso colore. E in Aprilia impazziscono per trovare dei fornitori all’altezza. La marmitta, commissionata alla Lanfranconi di Mandello del Lario e caratterizzata da un giro dei collettori astruso, è la parte più difficile da fare. “La moto deve essere bella”: Starck è riuscito nel suo intento. Ma per chi la deve costruire, i problemi si sommano. Quando viene testata, il responso del capo collaudatore Claudio Pellizzon è netto: la moto non sta in strada, il baricentro è troppo basso (per colpa della monumentale marmitta sotto al motore), il telaio flette e ad alta velocità la moto ondeggia. Tutto da rifare, almeno per lui. Ma Beggio non sente ragioni: il progetto di Starck non si tocca. E con qualche minima revisione (l’aumento dell’inclinazione del cannotto di sterzo e forcella con corsa allungata), la Motò viene presentata al Motor Show del 1994.
La meteora e la rinascita
È il primo vagito di una vita breve. La meteora Motò dura due anni. Prodotta in tre colorazioni (grigio-arancio, per un pubblico più giovane, grigio-avorio per la clientela più sofisticata e nero-antracite per il pubblico più elegante) sconta tutti i suoi limiti tecnici, la scomodità per il passeggero e la scarsissima autonomia, dovuta al fatto che il rubinetto “pesca” troppo in alto e la moto lascia a piedi anche se nel serbatoio c’è benzina.
“Questa moto non venne comprata dai motociclisti, ma da un pubblico che amava l’oggetto per le sue forme - dice Alberto Mascheroni, proprietario delle moto di questo servizio e presidente del Club Motò 6.5 - molti la acquistarono solo per poterla esporre nel salotto di casa”. La moto costa 12 milioni e 100 mila lire, cui vanno aggiunti gli accessori, anch’essi disegnati da Starck. Come il parabrezza ovoidale (291mila lire) e le borse (che con gli attacchi costavano quasi mezzo milione). Nel biennio 1995-96 vengono realizzate 6.200 Motò, per la disperazione dei concessionari che non riescono a venderle, se non abbassando i prezzi e rimettendoci rispetto all’investimento per comprarle.
In qualche concessionario Aprilia le ultime Motò rimangono a prendere polvere fino ai primi anni del 2000. Poi l’oblio e la rinascita. Perché i gusti cambiano, i costruttori capiscono che il pubblico è sempre più attratto dal lato estetico della moto. Ed è così che il brutto anatroccolo di Starck trova la sua rivincita. Gli amanti dell’usato sanno che oggi chi possiede una Motò si ritrova un tesoro tra le mani. E quelli del design hanno la certezza di aver fatto un ottimo affare, acquistando questo ingombrante complemento di arredo.
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