Moto & Scooter
Esclusivo: scontro tra le MotoGP
Le abbiamo provate tutte. Ora, col campionato 2004 alle porte, vi presentiamo la comparativa virtuale, per capire quali sono le premesse della stagione, ed avere più chiari i passi che gli inseguitori dovranno compiere per raggiungere la Honda
A più riprese Motonline si è occupata di raccontare come si comportano le MotoGp presentandovi la prova di cinque di esse a cura di tester rinomati (e fortunati), come Alan Cathcart e Antonio Vitillo.
Proviamo ora a tirare le somme di queste esperienze, proponendovi una comparativa tra queste cinque “belve”, cercando di analizzare caratteristiche vincenti e punti deboli di questi prototipi, che indubbiamente sono le massime espressioni del motociclismo su pista.
Ma veniamo alle “concorrenti”: la Honda RC211V campione del mondo, l’impressionante Ducati Desmosedici, la Yamaha M1 (dalla quale quest’anno ci si aspetta la grande rivincita), e le più sfortunate Aprilia RS Cube e Kawasaki ZX-RR.
In appendice spenderemo qualche parola anche sulla Suzuki, della quale provammo la versione 2002: la prima a quattro tempi.
A livello motoristico queste moto sono profondamente differenti e solo due su cinque (Yamaha e Kawasaki) adottano il medesimo schema, il 4 cilindri in linea; quello, cioè, che contraddistingue le più performanti moto di serie made in Japan. Nel caso della Rossa di Borgo Panigale si può parlare quasi di un “2 a L” raddoppiato, mentre la mattatrice Honda è mossa dal 5 cilindri a V. Il cuore della nera di Noale è invece un tre in linea.
La Honda certamente è quella che ha saputo mettere in campo l’equilibrio più totale e l’efficacia più pagante; sia a livello di motore che a livello ciclistico la moto si presenta sostanzialmente esente da pecche ed in grado di essere portata da un tester di buona esperienza con sicurezza ma anche con un certo profitto.
Ovviamente non è possibile ripetere le gesta di chi su quella moto ci passa gran parte dell’anno, ma è quantomeno possibile accarezzare gli oltre 240 cavalli distribuiti tra gli 8 e i 15.000 giri con un andamento quasi piatto della curva di coppia.
Il cambio elettronico fa sì che gli inserimenti di rapporto superiore siano una manovra da gas aperto, la frenata potentissima ma quanto mai modulabile garantisce staccate impeccabili e l’innovativo meccanismo di controllo dello sterzo permette di affrontare qualsiasi situazione praticamente senza il benché minimo scuotimento della forcella anteriore.
Difetti? Rispetto alla versione 2002, la RC211V forse è meno maneggevole, ma anche questo presunto difetto finisce col diventare un mezzo pregio, visto che si traduce in una maggiore sensazione di stabilità. Insomma, stiamo pur sempre parlando della moto che da due anni monopolizza il campionato del mondo!
La Ducati si è rivelata come la sorpresa annunciata del mondiale MotoGp: la rossa emiliana, infatti, benché completamente nuova ed all’esordio in questa categoria, si presentava agguerrita, forte di nove titoli mondiali in quindici anni nella Superbike. In molti pensavano che non avrebbe sfigurato; in pochi avevano immaginato una tale potenzialità, e una capacità di tecnici e piloti di metterla subito a frutto.
In effetti la Desmosedici è stata immediatamente capace di catalizzare su di sé l’attenzione di tutti gli appassionati, e non solo per le efficacissime forme (studiate per 120 ore nella galleria del vento della Ferrari), ma anche per i ventilati 250 cavalli, per aver dimostrato quella grande affidabilità che scaturisce da 1100 ore di test al banco e per aver impressionato con i suoi 332.4 km/h di velocità massima in grado di eclissare senza appello i 324.3 km/h fatti registrare dalla più veloce delle Honda, quella di Biaggi.
L’esuberanza del V4, “record” in termini di corsa corta e dalla caratteristica distribuzione desmodromica, inizia con vigore dagli 8/9.000 giri e si esprime in allungo fino alla soglia dei 16.200, ben 1000 giri più in alto della Honda, che dispone di un cilindro in più. E nei fatti la moto non è scorbutica ai bassi, anzi. La coppia pazzesca (che ha il suo picco massimo in 10.2 kgm a 14.000 giri) e l’erogazione tutto sommato uniforme, grazie al sofisticato sistema d’iniezione Marelli, assicurano in ogni situazione un buon controllo, permettendo alla Ducati di usufruire anche della parte bassa del contagiri e di uscire dalle curve con più padronanza del mezzo, magari azzardando una coreografica derapata di potenza…
In frenata i dischi in carbonio da 305 mm lavorati da pinze radiali Brembo assicurano la migliore frenata tra tutte le MotoGp, aiutati in questo da un gran freno motore e da un’eccellente stabilità nei bruschi rallentamenti prima dell’ingresso di curva.
La M1 ufficiale, quella di Checa e Melandri, è una moto che presenta luci ed ombre: la sorprendente maneggevolezza, in particolare, è un’arma a doppio taglio. Se da un lato permette di affrontare con facilità i cambiamenti di direzione repentini, dall’altro è la prima imputata per quella sensazione di poca confidenza che si manifesta in reazioni anomale allo sterzo e che impedisce al pilota di spingere al massimo con la sicurezza di essere lui a comandare. Dopo la staccata al punto di corda infatti, nel momento in cui si lasciano i freni l’avantreno ha la tendenza a chiudere, come se la ruota anteriore si ripiegasse sotto al pilota con un improvviso comportamento sovrasterzante.
L’anomalia è dovuta a una serie di concause: l’ ICS, il sistema di gestione del motore, che in situazioni di equilibrio molto precaria smette di mantenere il minimo a 3000 giri per controllare il freno motore su due dei quattro cilindri. Ma lascia perplessi anche l’importante trasferimento di carico in frenata, che sta ancora completandosi quando già si dovrebbe aprire il gas in totale confidenza. Infine, è probabile che influisca l’insolita rotazione a rovescio dell’albero motore. Le tante cadute e la classifica di fine stagione (la Yamaha è salita sul podio una volta sola) dimostrano che il prototipo di Iwata ha dei problemi congeniti non indifferenti, nonostante prestazioni pure elevate (è accreditata di 240 CV).
Anche la gestione dell’elettronica è causa di grattacapi: sembra infatti regolata come se non si trattasse di un motore a 4 tempi; in sostanza manca freno motore, per cui in scalata, togliendo velocemente le marce e frenando energicamente, i 320 mm dei dischi Brembo in carbonio sono addirittura inferiori a quelli da 305 montati sulle Ducati!
L’effetto di tale sistema antibloccaggio è che sembra di percorrere le curve col motore in folle, sensazione sconcertante, specie per una 4 tempi. Se aggiungiamo che la M1 richiede l’uso della frizione per ogni singola marcia, non consentendo cioè di tenere tirata la leva e toglierle tutte in una volta, si avrà un quadro più completo dei motivi per i quali Yamaha ha raccolto ben poco.
L’Aprilia è l’unica casa in MotoGp ad utilizzare un motore a 3 cilindri: l’insolito frazionamento è voluto per cercare di coniugare al meglio le esigenze di potenza, coppia e di allungo cercando di essere penalizzati il meno possibile per quanto riguarda il peso e, soprattutto, i consumi.
Il propulsore è sostanzialmente derivato da quello della Jaguar V10 F1 ed è stato studiato attingendo a piene mani dalle tecnologie in uso in quella categoria.
Il risultato è un alesaggio piuttosto spinto, con un regime di rotazione che sfiora i 16.500 giri. Anche l’elettronica ha una parte molto importante ed in particolare l’apriliona si distingue per essere stata la prima moto ad adottare un comando elettronico dell’acceleratore (drive by wire).
Una volta acceso, il motore regala l’inconfondibile musica del tre cilindri e ha il minimo regolato a 2.500 giri: un valore non molto alto che fa pensare a come l’Aprilia abbia risolto il problema dell’eccessivo freno motore in ingresso di curva.
In pista spinge forte a partire dagli 8000, ma il primo calcio nel sedere è molto più in basso. La moto accelera con una progressione quasi incredibile e appena si superano i 10.000 giri letteralmente decolla: sopra tale regime l’avantreno si impenna ad ogni cambiata, ma anche se la ruota si alza parecchio da terra non c’è mai la sensazione di perdere il controllo. L’acceleratore non ti comunica mai quel “tutto o niente” che caratterizza, invece, la Yamaha o la Kawasaki.
Ugualmente notevole per efficacia è il sistema di cambiata assistita, probabilmente uno dei più bei pezzi di elettronica applicata ad una moto da gran premio: incorpora un comando frizione automatico in congiunzione con il sistema di limitazione della coppia inversa per prevenire il saltellamento della ruota motrice in staccata.
Il confronto da cui la Cube esce vincente è soprattutto quello con il sistema di decelerazione programmata della Yamaha M1 (che fa entrare in curva la moto di fatto senza freno motore) potendo inoltre permettere al pilota di scalare tutte le marce che si vogliono senza muovere ogni volta la leva della frizione.
La “verdona” MotoGp è la ZX-RR che ha debuttato al GP di Motegi del 2002.
Proprio nel gran premio del debutto Akira Yanagawa cadde rompendosi il bacino.
Per disputare le tre gare rimanenti fu ingaggiato Andrew Pitt che a Valencia, col suo dodicesimo posto, portò a casa tre punti. Le premesse facevano ben sperare per l’anno successivo, ma i fatti non hanno dato ragione agli uomini in verde. In sella alla ZX-RR si può notare come la posizione di guida, benché scomoda e raccolta, non dia alcun vantaggio a livello aerodinamico, tanto che, sul rettilineo del Mugello, ha fatto registrare una velocità massima di “soli” 320 kmh contro i 332 della Desmosedici.
La Kawasaki sembra anche più ingombrante, forse a causa dei tubi del telaio che stanno attorno al motore e non sopra di esso (per ridurre la larghezza).
il cupolino è ampio a sufficienza per riparare la testa, ma non di più.
Alla millona di Akashi comunque non manca l’accelerazione; ha però un’erogazione appuntita, non tollera di scendere sotto certi regimi tanto che anche confrontandola con la vecchia ZXR 750 RR SBK quest’ultima sembra più pronta in uscita di curva, almeno fino ai 7000 giri.
Certo, dagli 11.000 cambia tutto. La spinta è entusiasmante fino a che, ai 14.000 giri, un led (rigorosamente verde) annuncia l’ intervento del limitatore ai 15.000 giri, 500 giri dopo il raggiungimento della potenza massima.
La Kawasaki è stata l’unica a puntare sulle coperture Dunlop, gomme che danno un feedback troppo inferiore rispetto alle Bridgestone, i 230 cavalli del propulsore spesso le mettono in crisi, anche a causa della sopracitata erogazione appuntita.
Hayden, che a Valencia non riusciva a passare le verdone sul dritto, se le “beveva” in curva; Andrew Pitt afferma “Lo sentivo aprire il gas quando ancora io non potevo nemmeno ipotizzare di farlo. In un attimo mi era davanti”
Entrare in curva coi freni tirati, cosa possibile sulle altre MotoGp, è difficilissimo con la Kawasaki perché tende a sedersi e sottosterza moltissimo.
Nella migliore delle ipotesi si perde del tempo, nella peggiore si può cadere.
Proprio come è capitato ad Alan Cathcart nel bel mezzo della sua prova.
Quest’anno non è stato possibile provare la Suzuki MotoGp: ragion per cui vi proponiamo un sunto della prova della GSV-R 990 del 2002.
Dopo aver vinto nel 2000 il mondiale con Kenny Roberts jr. nel penultimo anno delle “500”, la Suzuki si è lanciata con un certo ritardo nell’avventura a 4 tempi, esattamente nell’ottobre 2001 ed in sei mesi è stata in grado di allineare la sua 4 cilindri a V sulla griglia di partenza del campionato MotoGP.
La corsa di apertura, sotto il diluvio, vide primeggiare a lungo il pilota della Suzuki Akira Ryo, che ha condotto la gara prima di cedere alla furia di Valentino Rossi nel finale. Al suo debutto la GSV-R denunciava 210 cavalli che avevano al compito di muovere 146 kg più il pilota.
Uno dei primi appunti mossi nei confronti della Suzuki è stato quello di avere troppa coppia ai bassi. Il regime di coppia massima corrisponde a 11.000 giri mentre quello di potenza massima si pone a 14.000 giri, con 300 giri supplementari prima dell’intervento del limitatore.
Sebbene la GSV-R appaia aerodinamicamente ben disegnata, la velocità massima sui due rettilinei di Sepang non è sembrata impressionante e comunque non molto superiore a quella di una buona SBK bicilindrica. In cambio, l’accelerazione è più violenta ma tanto controllabile da renderla facilissima da guidare nelle curve lente e nelle chicane.
Qualche nota su telaio, che replica le belle caratteristiche di quello della RGV 500, ma ne ricalca i difetti: i cambi di direzione sono piuttosto facili nelle curve strette, ma l’aumentata massa del motore costringe il pilota ad un’azione più incisiva nelle chicane. Il bilanciamento è eccellente ed assieme all’interasse maggiorato di 25 mm contribuisce alla elevata stabilità in rettilineo.
Però il trasferimento di carico è notevole e genera una certa instabilità in fase di frenata, con la ruota posteriore leggermente sollevata.
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