Attualità
Il Giappone ha scelto i suoi nuovi avversari
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Dopo 30 anni di sfide tra italiani e giapponesi, il Sol Levante sembra ritirarsi dall'alto di gamma e in parte anche dallo sport. È il segno di un profondo cambio di paradigma, e di nuovi avversari da battere
Italia e Giappone. Due Paesi circondati dal mare, della stessa dimensione, alla stessa latitudine, con lo stesso clima, esposti a vulcani e terremoti, ma con sistemi sociali completamente diversi. Non sorprende che da sempre ci sia una sorta di attrazione reciproca.
Nel nostro settore, quello delle moto, gli italiani hanno ammirato la maestria tecnica giapponese per decenni (almeno dai primi Anni 70, sicuramente dagli Anni 80) e i giapponesi hanno sempre ammirato la personalità delle moto italiane, a volte cimentandosi nell'esercizio di "copiare migliorando" (le Honda CX con lo schema della V trasversale Guzzi, la Yamaha TRX850 ispirata alle Ducati SS e via dicendo). E il seme dell’imitazione, si dice, è proprio l’ammirazione.
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Qualcosa è cambiato
Negli ultimi 30 anni, i giapponesi sono tornati a guardare all’Italia con crescente ammirazione. Soprattutto da quando il confronto tra i due Paesi si è risolto a nostro favore in pista e nell’alto e altissimo di gamma, dove le nostre aziende producono oggi i prodotti vincenti. Come in tutte le vittorie, però, non c’è gusto se l’avversario non si è impegnato al massimo; e viene da chiedersi se in questo scontro i giapponesi si stiano impegnando al massimo.
Diversi segnali sembrerebbero indicare il contrario. Se guardiamo al prodotto, il Giappone sembra non voler più presidiare l'altissima gamma, se non con prodotti "flagship" di nicchia come le Kawasaki H2 o la Honda Goldwing. Se guardiamo alo sport, Suzuki si è ormai ritirata dalla partecipazione alle gare in forma ufficiale, Kawasaki vive un momento di transizione, Honda e Yamaha sono in difficoltà in MotoGP (anche se lo sono di meno nel Cross) e non è chiaro se stiano investendo oggi quanto lo facevano 10 o 20 anni fa.
Cosa è cambiato da allora? Secondo molti osservatori, la crisi economica del 2008 è stata lo spartiacque tra il mondo di "prima" e quello di ora. A parte i licenziamenti e i fallimenti di aziende, da quel momento è finita la sbornia dei soldi facili, dai finanziamenti a tasso zero e senza garanzie alle sponsorizzazioni improvvisate e a volte truffaldine. Con meno soldi da dedicare agli sfizi come le motociclette in Europa e in USA, i giapponesi hanno piuttosto rapidamente saputo riorientare la loro offerta su moto dal rapporto qualità/prezzo strepitoso, come tutte le Yamaha con motore CP3 e poi CP2, le Honda della prolifica famiglia NC, le Kawasaki Z 650 e Z 900. Sforzi che sono riusciti a raddrizzare le vendite e far recuperare quote di mercato.
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La lunga marcia dei cinesi
Questo in Europa e, in misura minore, negli Stati Uniti. Nel frattempo la Cina continuava la sua lunga marcia che la stava portando a recuperare il divario tecnico rispetto all’Occidente, e il cui punto di arrivo possiamo fissarlo a novembre 2016, quando a Eicma debuttò la Benelli TRK 502. Il successo della TRK ha aperto la strada alle moto cinesi in generale in Italia, ma negli stessi anni anche il resto dell’Europa iniziava a scoprirle. Moto di gamma bassa e media, meccanicamente meno raffinate, più pesanti, meno performanti anche se ricche nelle dotazioni. E soprattutto, molto meno costose.
Come un esercito attaccato su due fronti, le Case giapponesi hanno stabilito un piano di reazione. Rispondere agli attacchi delle Case italiane – e più in generale europee – nell’alto di gamma comportava alti costi e alti sforzi per realizzare bassi volumi. Rispondere agli attacchi delle Case cinesi – e più in generale asiatiche – significava sviluppare prodotti adatti ad essere venduti in altissimi volumi in tutto il mondo. Conoscendo i giapponesi e il loro punto di vista globale, la decisione da prendere era evidente.
Le conseguenze le stiamo già abbondantemente vedendo: come mai la Honda NX500 nonostante il nuovo nome è poco più di un aggiornamento della CB500X? Come mai Kawasaki non ha stravolto la Z 900, aggiornandola al minimo indispensabile per mantenere il prezzo ultra-competitivo che la contraddistingue? Come mai Yamaha sostituisce tutti i modelli oltre i 1000 cc con cilindrate più piccole e modelli meno specialistici (da FJR1300 a Tracer9, da R1 a R9, da Super Ténéré 1200 a Ténéré 700)? E perché Suzuki riporta in vita la DR 400Z?
La risposta è lì da vedere: i giapponesi stanno togliendo battaglioni nell’alto di gamma per spostarli dove la battaglia ferve, e non più con gli europei ma con i cinesi e gli indiani. Una battaglia che si gioca meno con le armi del prestigio e della tecnologia che con quelle della qualità e del prezzo: Honda sembra avviata a sopravanzare Hero nel mercato indiano – il più grande del mondo – e Suzuki e Yamaha sono attivissime in India, Indonesia e nei mercati di più grande sviluppo, mentre Kawasaki resta concentrata sulle alte cilindrate ma con prodotti, come abbiamo visto, estremamente competitivi.
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La lezione delle auto
Se guardiamo un po' più in là del nostro orticello, questi sono i grandi movimenti del momento. Le Case auto europee, che hanno sottovalutato i progressi della Cina e sopravvalutato il proprio prestigio e appeal internazionale, ne stanno pagando il prezzo con una crisi durissima, che sembra lambire anche il Giappone come dimostra l’annunciata e clamorosa fusione tra Honda e Nissan.
Quanto ai produttori europei di moto, la sfida cinese è sulla carta un po' meno complicata da affrontare, se non altro perché non si somma a una transizione elettrica nel breve termine. Se le moto cinesi come dicevamo non hanno più molto da invidiare alle concorrenti occidentali per finiture, dotazioni e spesso qualità ciclistica, restano però ancora indietro sul piano motoristico ed elettronico, quelli tecnologicamente più complessi. I loro propulsori e la relativa gestione sono generalmente meno gradevoli, meno personali e meno a punto rispetto ai riferimenti giapponesi ed europei, il che lascia alle nostre aziende margine: almeno finché quel margine rappresenta un valore per i motociclisti.
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Un mondo che cambia
Bisogna sperare che questo avvenga, e possa costituire uno dei pilastri della difesa dei prodotti europei. E bisogna sperare anche che le nostre aziende sappiano resistere alla tentazione di rifugiarsi tutte nel segmento premium abbandonando gli altri – una scommessa che l’industria dell’auto tedesca sta dolorosamente perdendo e alla quale l’Italia, sempre ammaliata dalla fiaba del "piccolo è bello", sembra sensibile.
Abbiamo oggi un solo player – il Gruppo Piaggio – che per volumi e presenza in Asia la battaglia per il basso di gamma potrebbe combatterla. Tutte le altre aziende italiane, a differenza delle Case giapponesi, hanno una dimensione troppo piccola per competere a livello globale: non è necessariamente un male, ma se le nostre Case devono diventare tante piccole Ferrari, prepariamoci a non poterci più permettere le loro moto. Comprare cinese, o giapponese fatto in Cina, sarà per molti non una scelta ma l'unica possibilità.
Nei prossimi anni il panorama globale sembra destinato a cambiare radicalmente, e non soltanto quello della moto che è tutto sommato un dettaglio. Magari ci ritroveremo qui a parlare dello scontro in MotoGP tra le Case italiane e quelle cinesi – con l’augurio, naturalmente, che le Case italiane ci siano sempre. Vorrà dire che il loro prestigio e la loro capacità tecnica le avranno rese competitive anche nei confronti di colossi molto più grandi e molto agguerriti: all’onda d’urto del Giappone l'Italia è sopravvissuta, speriamo di riuscirci anche stavolta.
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