Attualità
Mezzogiorno di FUOCO: da Jovanotti al Flat Track!
Un giro nel negozio Rivolta Motociclette è la scintilla che accende i ricordi della Milano motociclistica degli Anni 80 e 90. Protagoniste, le special Triumph e Harley-Davidson volute da Carlo Talamo. Che oggi ci raccontano la sua storia
L’effetto è un po’ quello di quando esci da una taverna sotto terra, dove magari hai passato un bel pomeriggio tra amici. Apri la porta che dà in strada, pensi di trovare il buio o perlomeno il crepuscolo.
E invece il sole ti acceca. Che botta. Mezzogiorno e tre quarti. Milano è bollente. La Milano tutta asfalto e poca ombra. Speriamo il cavalletto della moto non abbia bucato il marciapiede. Poche macchine, strano di questi tempi post Covid dove c’è sempre un traffico della malora. Sembra Ferragosto. Si stava così bene lì dentro, al fresco, in quel piccolo mondo.
E invece il sole ti acceca. Che botta. Mezzogiorno e tre quarti. Milano è bollente. La Milano tutta asfalto e poca ombra. Speriamo il cavalletto della moto non abbia bucato il marciapiede. Poche macchine, strano di questi tempi post Covid dove c’è sempre un traffico della malora. Sembra Ferragosto. Si stava così bene lì dentro, al fresco, in quel piccolo mondo.
LE MOTO DI CARLO
Quel piccolo mondo è Rivolta Motociclette, via Andrea Costa 21. Ci son passato davanti un milione di volte, ma – lo ammetto – non lo avevo mai notato. Sarà che è un po’ defilato dalla strada. Quando entro non so bene cosa mi aspetti, presumo la solita conferenza stampa dove si sta tutti pigiati dentro sperando che le mascherine facciano il loro lavoro. E invece no. Quattro vecchi amici seduti a un tavolo, un collega di un’altra rivista (uno simpatico che incontro sempre volentieri). Il risultato è inevitabile: chiacchiere di moto e vecchie storie. Una bella combriccola. A tirare il gruppo è Andrea Rivolta, 62 anni, il titolare. Va subito al sodo. “Allora, io ho un po’ di moto di Carlo Talamo. E visto che fra un po’ saranno passati 20 anni dalla sua scomparsa, ho deciso di tirarle fuori e fare un’esposizione qui in negozio”.Non mi ero mai chiesto che fine avessero fatto, non è che mi svegli alla mattina pensando: “Dove sarà finita la Postatomica, quella mostruosa moto con il quattro in linea 1000 Triumph, la sella in pelo e i tasselloni alle gomme?”. Ma adesso che me la ritrovo qui davanti insieme alla Geronimo, la quintessenza della cafe racer post moderna (motore triple 900 a carburatori, elegantissimo serbatoio in alluminio, mezzi manubri bassi e stretti come si usava una volta), capisco che qui c’è un giacimento di diamanti.
Io me le ricordo bene sulle copertine dei giornali degli Anni 90, ma non le avevo mai viste dal vivo. Lui, Andrea Rivolta, la fa facile, ma qui dentro c’è un tesoro che è rimasto nascosto in quest’officina e che ora salta fuori, all’improvviso. Questa è una notizia! Poco distante, una 883 molto speciale. Non tanto per il fatto che sia da una parte nera e dall’altra arancio fluo, come le Harley-Davidson che correvano. È speciale perché, ci dice Rivolta, è la moto che ha ispirato Jovanotti per il suo martellante ritornello “Sei come la mia moto, sei proprio come lei…”. E ci mostra una foto che ritrae un giovanissimo Lorenzo Cherubini, con il chiodo rosso e i ricciolini, proprio su quella 883. Queste e altre special, una decina a un primo colpo d’occhio (non posso essere più preciso perché si mischiano a una miriade di Harley da flat track), erano i giocattoli di Carlo Talamo, le moto che lui si costruiva per andare in giro e che diventarono oggetti di culto. E poi in alcuni casi furono addirittura fonte di ispirazione per Harley-Davidson e Triumph, che li trasformarono in modelli di serie. E da modelli di serie vissero una vita di clamorosi successi. Carlo, classe 1952, romano di nascita e milanese d’adozione, era uno che sapeva guardare avanti.
STREGATO DAL FLAT TRACK
La domanda è spontanea: “Ma tu perché hai tutte queste moto?”. E Andrea per rispondere la prende alla larga. “Guarda, negli Anni 80 a Milano le moto di un certo gusto erano le BMW e chi le vendeva era Turati. Le Harley-Davidson non le volevo vedere nemmeno dipinte. Poi nel 1990 sono Andato al Motor Show di Bologna e ho visto correre la squadra americana con le Harley ufficiali da flat track. Sono rimasto stregato, da lì mi sono avvicinato all’Harley in senso sportivo, e da lì una cosa ha tirato l’altra”. “Ma tu lavoravi con Talamo?”. “No, io ero un buon cliente! E negli anni ho comprato le moto che vedi qui, più altre Harley”. E qui prende forma in un certo modo una testimonianza cruciale della magia che riuscì a Talamo, insieme ai suoi soci della Numero Uno: riuscire a vendere le Harley in un momento storico in cui non le voleva nessuno. Si diceva che erano dei pezzi di ferro, che andavano piano, che vibravano. Costavano una fortuna. E Talamo stesso scriveva queste “cattiverie” di proprio pugno nella rivoluzionaria campagna pubblicitaria che accompagnò la Numero Uno al successo. Le Harley-Davidson erano diventate un fenomeno di costume.E nel negozio Rivolta Motociclette, insieme alle moto esposte, ci sono tanti oggetti che raccontano tutto ciò.
Una foto appesa a un muro ritrae Talamo con Peter Fonda. Sì, proprio lui, quello di Easy Rider. Carlo è dietro la moto e non si capisce se indossi le sue amate Superga bianche che abbinava spesso al gilet da moto appena trapuntato. Probabilmente la foto è stata scattata in via Niccolini, dove il 26 giugno 1984 era nata quella Numero Uno che importava le Harley-Davidson, come ricorda una data scritta sul serbatoio della moto in foto; sotto la foto è esposta la moto vera. E il racconto degli oggetti continua in questo magico momento che si è creato insieme a quei quattro personaggi amici di Andrea, loro sì che avevano lavorato con Carlo.
L’INTER IN FAMIGLIA
Andrea mi porta in giro per un piccolo tour. Qui, in questi locali del negozio di famiglia dove dal 1951 i Rivolta si occupano di due ruote, in ogni angolo c’è qualcosa da cui tirare fuori una storia. Appesa al muro, la foto di Enrico Rivolta, calciatore dell’Inter negli Anni 30. Che per un milanese vale di più di un parente arcivescovo per un romano. “Era il fratello di mio nonno”. Pedigree nerazzurro, non è da tutti. Ci infiliamo in un montacarichi e Andrea mi porta giù a vedere l’officina. Qui ripara moto, crea anche lui special, realizza kit in vetroresina (appesi al muro, ne vedo una bella serie per le 883). Poi c’è il team di flat track, che è un punto di orgoglio di Rivolta, folgorato ancora da quella visione dal Motor Show 1990, dalle imprese di Jay Springsteen, dalle XR 750 ufficiali. Di moto per derapare qui ce ne sono a bizzeffe, stipate sopra e sotto i soppalchi che danno a questo luogo un’aria di archeologia industriale. “Certo che qui potresti fare un museo” dico ad Andrea. “Non mi piace la parola museo – risponde svelto – perché queste sono moto da guidare, che sanno dare certe emozioni” e mi indica una Buell dall’immensa carena, sfrontata e muscolosa.
Risaliamo in negozio. C’è un angolo tutto Triumph. Tra le moto esposte, resto ipnotizzato dalla Daytona con la sua carenona gialla. Eccola di fianco alla Trident 900, bella classica nel suo color verde bottiglia. Questa da ragazzo ho fatto a tempo a guidarla! Resto per qualche minuto da solo, in contemplazione, come in trance. E, complice il prosecchino, mi partono i ricordi. Erano i primi Anni 90. A Hinckley la Triumph risorgeva grazie all’appassionato imprenditore John Bloor. Nascevano le tre cilindri 750/900 e le quattro cilindri 1000/1200 figlie di un concetto modulare (insomma, le 1200 erano le 900 con un cilindro in più…). I maligni dicevano che erano motori copiati da Kawasaki e che, come i Kawa del tempo, “giravano quadrati”. Era vero, i quattro in linea giravano quadrati. Ma i triple spalancarono le porte a un nuovo mondo, ridiedero dignità a uno schema motociclistico quasi dimenticato: il ruggito era intrigante, soprattutto con uno scarico libertino. Con l’aria tirata al minimo sapevano emettere un rauco boato, impressionante e costante a 2.000 giri, con la lancetta del contagiri che non si muoveva di un millimetro. Ti ipnotizzavano. Poi da guidare erano dei bei legnoni quelle moto, con il loro telaio con il tubone superiore in acciaio. Tanto che, una volta arrivato il nuovo telaio in tubi piccoli e sovrapposti della Speed con il doppio faro, i triumphisti li avrebbero chiamati con affetto “i vecchi cancelli”. Lo sto che sto mischiando le carte. Mescolo i miei ricordi, con quelli di Andrea Rivolta che a sua volta ricorda Carlo Talamo e forse sono poco chiaro nell’esposizione. Oggi va così, scusate. Fatto sta, per farla breve, che nei primi Anni 90 nasce la Numero Tre, importatore Triumph. Un altro successo, altre leggende. Poi con il nuovo millennio la svolta: arrivano le filiali dirette Harley-Davidson Italia e Triumph Italia; Numero Uno e Numero Tre non sono più gli importatori. Talamo si dedica a nuove avventure. Ma non per molto. Perché un incidente in moto lo porta via il 29 ottobre 2002.