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I viaggi dei lettori

Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico

di Maria Chiara Baggio e Mattia Barresi il 09/06/2011 in I viaggi dei lettori

Un percorso molto impegnativo su strade spesso sterrate e con la costante di un clima difficile. I nostri lettori sono andati alla scoperta delle bellezze dell' estremo nord, nelle terre a metà strada tra l'Europa e l'America

Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
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Marzo 2010: il vulcano Eyjafjalla inizia a eruttare.
15 Aprile 2010: la nube di cenere getta nel caos il traffico aereo internazionale.
Il vulcano mette in crisi i giornalisti TV di tutto il mondo con la pronuncia del suo nome e per un attimo ci fa temere che anche le nostre moto-vacanze possano andare in fumo.
È però questa eruzione a darci il primo, vero assaggio della potenza e della imprevedibilità della natura di un'isola al limitare del circolo Polare artico: l'Islanda.

E VOI DOVE SIETE STATI?
Hai fatto anche tu un viaggio, una vacanza, un itinerario in moto che scatenano la libidine di un vero motociclista? Mandaci il racconto e le foto all'indirizzo: redazione@motonline.com
Seguiamo ogni giorno l'evolversi della situazione nella speranza che non peggiori e, quando appare chiaro che gli esperti non sono in grado di fare previsioni a lungo termine, è il momento di decidere: abbandonare un progetto a cui ormai lavoriamo da mesi o affidarci alla sorte e sperare che l'Islanda ci sorprenda ancora? Non ci sono dubbi: a luglio si partirà.
Intensifichiamo i preparativi dividendo le giornate tra lo studio, la tesi e la cura della moto e dell'equipaggiamento.
È ormai giugno quando prenotiamo il traghetto che collega la Danimarca alle isole Far Oer e all'Islanda.
La nave, la Norröna, parte da Hanstholm (DK) due volte a settimana: il martedì e il sabato. Il sabato si ferma alle Far Oer e riparte il mercoledì successivo alla volta dell'Islanda.
Optiamo per la partenza del sabato: ci permetterà di attraversare Germania e Danimarca in giorni feriali: dovesse mai lasciarci a piedi la nostra Africa Twin, le officine saranno aperte!
In più potremo fermarci due giorni alle Far Oer definite dal National Geographic come le isole più attraenti del mondo.
Superati gli esami, conseguita la laurea, il 21 luglio siamo in sella.
Ci sono 35 gradi all'ombra e dopo il Brennero siamo in coda: la voglia di Islanda aumenta di minuto in minuto.
Prima notte tra le colline della Baviera, seconda tappa a Lubecca che conserva memorie del suo passato di città anseatica ed infine Aalborg in Danimarca.
Arriviamo nella città scandinava in un giorno di festa: c'è l'arrivo dei velieri che partecipano alla Tall ships race.
È una regata di "navi dai grandi alberi" che attrae equipaggi da tutto il mondo con lo scopo di promuovere l'educazione alla vela tra i giovani e favorire rapporti d'amicizia internazionali.
Fuochi d'artificio accompagnano la nostra ultima notte sul continente.
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
La mattina seguente siamo sulla via dell'imbarco e ci godiamo i 90 km di statale che attraversano la campagna danese.
La strada termina al porto di Hanstholm, da cui inizia un tratto costiero molto particolare, parco naturale dal 2008.
Grande è l'emozione quando, tra le dune di sabbia chiara e le nuvole basse che caratterizzano i cieli nordici, vediamo l'aquila, simbolo della compagnia, sul comignolo della nave.
Sbrigate in fretta le procedure di check-in, ci lasciamo inghiottire dalla stiva e fissata la moto con la massima cura possibile, saliamo sul ponte per assistere alla partenza... Ma ormai la Norröna ha mollato gli ormeggi e la costa è già lontana.
Facciamo conoscenza con i rispettivi compagni di cabina: Chris un ragazzo inglese che sta affrontando il giro del mondo in bici e Anna, studentessa a Copenaghen, ma originaria delle Far Oer.
Lei ci racconta di come sia vivere in un arcipelago di 18 isole nel mezzo dell'Atlantico settentrionale, abitato da poco più di 48.000 persone e stato indipendente dal 1948.
Ci colpisce in particolare un insegnamento che i suoi genitori le hanno trasmesso da bambina: quando cala la nebbia è bene stare fermi nel punto esatto in cui ci si trova, pena il rischio di cadere in mare dalle alte scogliere a picco.
Non ci è difficile immaginare il perché: stiamo per arrivare a Tórshavn e c'è una nebbia fittissima che pare salire direttamente dal mare.
Tra un banco e l'altro sprazzi di verde ci fanno intuire l'imponenza dei faraglioni e la magia di questi luoghi solitari che, da un momento all'altro, sembra debbano essere inghiottiti dall'oceano per sempre.
Scesi dal traghetto ci dirigiamo al campeggio della capitale, che, in concomitanza con l'arrivo della nave, osserva un orario straordinario di apertura.
Montato il campo- base ci sentiamo dei veri pionieri: non siamo gli unici italiani, ma siamo, del campeggio, gli unici in moto!
Ci svegliamo l'indomani sotto una pioggerella sottile e studiamo l'itinerario per i giorni successivi.
Meritano una visita le case con il tetto di erba di Kirkjubour, uno degli insediamenti più antichi delle isole. Seguiamo poi l'unica strada sul lato orientale dell'isola di Streymoy in direzione nord dove ci aspetta, oltre alle immancabili pecore, una spiaggia di sabbia nerissima da cui si ammirano gli scogli del Gigante e della Strega, protagonisti di una leggenda locale.
Attraversiamo con un brivido, più per il freddo che per la tensione, l'unico ponte sull'Atlantico settentrionale che collega Streymoy alla seconda isola per grandezza, Eysturoy, della quale riusciamo a vedere gran poco a causa della nebbia e della pioggia che continua incessante.
Nella speranza che il tempo migliori, dedichiamo il secondo giorno di permanenza a girovagare per le strade di Tórshavn, la capitale.
Conta 19.000 abitanti e l'ufficio del Primo ministro più informale che abbiamo mai visto!
Non ci sono guardie e sulla porta sono affissi gli orari di ricevimento al pubblico. Nel pomeriggio la città si anima, complici il sole e l'imminente giorno di Sant'Olaf.
Si tratta della più importante festa nazionale che richiama da tutto l'arcipelago imbarcazioni di foggia vichinga e prevede concerti e spettacoli nelle vie intorno al porto.
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
È ormai mercoledì, alle 16 la Norröna verrà a riprenderci, ma non al porto di Tórshavn chiuso per i festeggiamenti, bensì a Kollafjordur. C'è allora tempo per un ultimo giro.
Le isole più settentrionali sono raggiungibili con il traghetto locale o attraversando un tunnel sottomarino aperto dal 2006 e percorrendo due rudimentali gallerie scavate nella roccia vulcanica.
Sono molto strette e ci costringono ad accostare nelle piazzole laterali ogni volta che vediamo un veicolo in senso contrario. Gli abitanti invece, per niente intimoriti, sfrecciano a gran velocità!
Vidareidi è l'ultimo paesino che raggiungiamo, all'estremo nord dell'isola di Vidoy: lì mangiamo i nostri panini su una scogliera a picco sul mare.
Lo sguardo spazia all'orizzonte e il pensiero è già diviso tra i ricordi di queste isole dominate dal verde assoluto e la voglia di scoprire cosa l'Islanda abbia in serbo per noi.
Nell'attesa dell'imbarco scambiamo impressioni e consigli con un gruppo di motociclisti olandesi e non manca l'amichevole disputa sulla scelta del percorso: percorrere la Ring Road, la strada perimetrale, in senso orario o antiorario?
Trascorriamo le ore della traversata ripassando l'itinerario e confermiamo l'ipotesi originaria: gireremo l'Islanda in senso orario!
Sono ormai le 9 del mattino del 29 luglio 2010: attracchiamo a Seydisfjordur.
C'è la nebbia, ma temprati dal clima faroese non ci scoraggiamo. E infatti, superato il passo per raggiungere Egilsstadir, dove ci fermiamo per i rifornimenti, esce un sole caldo che ci pare di buon auspicio per l'inizio dell'avventura!
Abbandonata la cittadina seguiamo la 931 che costeggia la sponda occidentale del lago Lagarfljót. L'aria è tersa e si distingue nettamente, anche da sotto la visiera, il profumo della resina.
In questa zona infatti c'è la più vasta area forestale di tutta l'Islanda (e praticamente anche l'unica) che comprende una colonia di larici piantata nel 1938.
Terminato il tratto costiero, l'asfalto sfocia in uno sterrato battuto che ci regala i primi paesaggi lunari e un bel colpo d'occhio sul monte Snaefell.
Poco dopo il bivio per la F910, la pista più impegnativa d'Islanda, e salutati due avventurosi motociclisti svedesi che la imboccano, raggiungiamo la diga di Kárahnjúkar.
La prima cascata che vediamo sull'isola è artificiale, ma l'arcobaleno che genera sul canyon sottostante è comunque bellissimo!
Decidiamo di goderci il resto del pomeriggio di sole e pernottare lungo le rive del lago: c'è un comodo campeggio a Thurshofdavík frequentato da soli locali.
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Il giorno seguente il tempo non è dei migliori. La pioggia sottile e le nuvole basse ci accompagnano lungo la valle di Breiddalur nel nostro tragitto verso la costa e i fiordi orientali.
A Breidalsvík la prima esperienza di rifornimento da un distributore di benzina automatico: capiamo il perché la carta di credito sia fondamentale, senza sarebbe impossibile accedere alla pompa.
D'altro canto l'uso del contante non è poi così agevole: le banche e gli sportelli per il prelievo non sono così numerosi, né facilmente raggiungibili, soprattutto da chi abita nei luoghi più isolati.
Impareremo presto a pagare l'importo anche di un solo euro con la carta e non ci sorprenderemo nel vedere che i bambini pagano le caramelle con una prepagata!
La Ring Road si snoda lungo le insenature: alla nostra destra valli glaciali e montagne, a sinistra vaste spiagge di lava e detriti ci separano dall'oceano.
Poco prima di Höfn deviamo dalla strada asfaltata per affrontare la nostra prima pista: la F980 verso la riserva naturale di Lónsöraefi.
Già dopo i primi km appare veramente come descritto dalla guida: il luogo perfetto per sfuggire al logorio della vita moderna, il silenzio è assoluto e, a parte noi, solo le pecore.
Il programma prevede l'arrivo in serata a Svínafell, lingua del ghiacciaio Vatna, a cui mancano ancora un centinaio di km.
Dati la pioggia e il freddo, seppur a malincuore, lasciamo la pista e torniamo sulla Ring Road.
Proseguiamo verso Jökulsárlón, la laguna degli iceberg. Grossi massi di ghiaccio si staccano dal ghiacciaio e, scivolando lentamente sull'acqua, raggiungono l'oceano.
Sono già le 20 e sotto il cielo minaccioso non c'è quasi nessuno. Eccoci svelata la magia dell'Islanda: luoghi incantevoli senza orari di chiusura e di cui godere in perfetta solitudine! Arriviamo al campeggio stanchi e infreddoliti.
La bruma scende lungo i pendii del Vatna come in una scena da film, ma qui è tutto vero, freddo compreso!
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Per colazione ci aspetta una bella sorpresa: una grande sala comune riscaldata, dove mangiare con calma e riprendere le forze.
Caricati i bagagli siamo "on the road" in direzione Vík I Mýrdal: la strada scorre lungo le pendici del Vatna, la nebbia non si è alzata del tutto.
Non riusciamo a vedere la più grande calotta glaciale dell'isola, ma la sua imponente presenza è palpabile: l'aria pungente supera giacche e tute termiche.
Attraversiamo i sandar: pianure desertiche e disabitate formate dai detriti portati a valle dai fiumi glaciali e dalle inondazioni.
La prima deviazione della giornata è sulla F206 in direzione del vulcano Laki.
La pista segue le fenditure originatesi dall' eruzione del 1783 e ci colpisce il verde che domina i primi km.
Poco prima di raggiungere la cascata di Fagrifoss, i sistemi di aggancio della valigia sinistra iniziano a cedere per colpa delle vibrazioni e del fondo stradale.
È necessaria una rapida riparazione che, per fortuna, regge ai guadi.
Nel pomeriggio ci ritroviamo immersi in un mare di muschio e licheni: gli arbusti hanno colonizzato i sandar e creato un soffice cuscino ai lati della strada.
Poco prima di Vík I Mýrdal, una sosta nei pressi di un'altura solitaria che, come per magia, sorge da una vasta spiaggia di sabbia nera. Arrivati a destinazione, montato il campo-base e steso, invano, tute e calzini umidi da giorni, ripariamo le valigie. Utilizziamo come rinforzo per gli attacchi i picchetti della tenda in eccesso.
Finalmente, dopo tre giorni di pioggia, ci svegliamo con il sole e le operazioni pre-partenza sembrano subito più semplici!
I paesaggi che si susseguono lungo la Ring Road cambiano rapidamente.
Poco dopo Vík una strada sterrata scende a una spiaggia delimitata da faraglioni e da un gruppo di colonne basaltiche.
Sul lato opposto l'altopiano roccioso di Dyrhólaey: incredibili forze della natura hanno intagliato sul promontorio un enorme arco in pietra, dimora di uccelli marini.
Pochi km più a ovest, sotto il casco, si insinua potente l' odore dello zolfo: ci siamo.
Sono i postumi dell'eruzione dell'Ejyafjalla: tutto è ricoperto da uno strato sottile di ceneri vulcaniche e i turisti più accorti indossano mascherine protettive.
Parcheggiamo la moto per avvicinarci a piedi, come in pellegrinaggio. Giunti alla base ci scappa un sorriso: eccolo il vulcano ribelle!
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Di nuovo in sella il paesaggio cambia ancora. Lungo la strada appaiono campi coltivati e grandi fattorie e in poco tempo siamo sotto una delle cascate più famose d' Islanda: Skógafoss.
L'acqua cade scenograficamente nel vuoto da un salto di circa 60 metri e questa volta dobbiamo "sgomitare" per riuscire a fare una foto.
Imbocchiamo la pista per Thórsmörk e raggiungere l'Ejyafjalla da dietro.
Dopo poco, dalla direzione opposta, appaiono sconsolati due motociclisti che ci consigliano di tornare indietro.
Le abbondanti piogge dei giorni precedenti hanno ingrossato i fiumi e il livello dell'acqua è salito notevolmente.
Proviamo a proseguire: poco più avanti, al terzo guado, una jeep si è incagliata sul fondo sabbioso del fiume. La scelta è davvero obbligata: dietro- front.
Siamo di nuovo sulla Ring Road e superato Hvolsvöllur puntiamo decisamente a nord verso la fattoria Leirubakki.
Questa mette a disposizione, oltre ai posti letto, anche un' area per il campeggio.
Mentre montiamo la tenda sentiamo che la terra è calda: siamo sopra una zona geologicamente molto attiva e la conferma arriva con la scoperta della Viking Pool, una piscina naturale di acqua termale.
Ci godiamo un bagno rilassante con vista sul vulcano Hekla.
Leirubakki è il punto di partenza ideale per raggiungere le sorgenti termali di Landmannalaugar.
Ci fermiamo a fare benzina nell'unico distributore nel raggio di 250 km, poi imbocchiamo la F208 che (stando alla cartina...) non dovrebbe presentare fiumi da guadare.
Requisito essenziale visto che piove ancora… Guadi non ce ne sono, ma il percorso è tutt'altro che facile. Ci sono grosse buche scavate dalle ruote dei fuoristrada, lunghi tratti sabbiosi dove si rischia di affondare e si è levato un forte vento che affatica nella guida.
Le montagne di riolite sono a malapena visibili sotto la nebbia, però è ugualmente uno spettacolo vedere i coraggiosi che si immergono nei torrenti come entrassero in una comoda vasca da bagno!
Sulla via del ritorno un banco di sabbia provoca la nostra prima caduta!
La moto e le valigie ne escono indenni, noi solo un po' scossi.
Decidiamo allora di investire in una notte al caldo: esclusi hotel e guesthouse per i prezzi elevati, troviamo un bungalow disponibile nel campeggio di Selfoss.
Cena abbondante, una buona dormita, stivali e calzini finalmente asciutti rinfrancano lo spirito!
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Siamo pronti per una nuova giornata: il programma prevede il tour del "Circolo d'oro", un itinerario molto battuto dai turisti, ma immancabile.
La prima perla è la cascata di Gullfoss che si getta in una gola profonda con un doppio salto.
Stori Geysir la seconda tappa: è un'area geotermale con pozze di acqua bollente, fumarole e le famose colonne di acqua che escono con forza dal sottosuolo.
È Geysir infatti che ha dato il nome a tutti gli altri geyser del mondo.
Oggi è diventato inattivo, ma Strokkur, che nasce lì di fianco, regala ogni pochi minuti uno zampillo alto dai 15 ai 30 metri.
Nel tardo pomeriggio arriviamo al parco nazionale di Thingvellir, il luogo più importante della storia d'Islanda fin dalla colonizzazione vichinga.
La pianura di Thingvellir si trova al confine tra la zolla europea e quella americana ed è percorsa da creste e spaccature della crosta terrestre.
Impressionante il rift dell'Almannagjá lungo cui si snoda un sentiero che percorre l'intera lunghezza della valle.
A sera inoltrata arriviamo a Reykjavík, dove ci aspetta un bell'hotel a due passi dal centro.
La città è la capitale più settentrionale del mondo e il suo nome, "baia fumosa", le è stato attribuito dal primo colonizzatore dell'isola, colpito dal vapore sprigionato dalle bocche geotermali della campagna circostante.
Oggi Reykjavík è invece detta "la città senza fumo" grazie all'uso della sola energia geotermica per il riscaldamento.
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Per un giorno torniamo alla civiltà. Passeggiamo lungo il porto godendoci il sole e il viavai dei pescherecci. Nelle stradine del centro l'atmosfera è rilassata e i negozietti tipici invitano a fare acquisti.
Ci limitiamo a qualche cartolina e all'adesivo di rito: le valigie della moto non permettono di più! La mattina seguente, dopo un rapido controllo della moto, abbandoniamo il sud dell'isola: i deserti centrali dell'Islanda ci attendono.
La strada 35, che attraversa l'interno, inizia subito dopo Gullfoss e termina a Blönduós 200 km più a nord.
Fino a Hveravellir è un susseguirsi di buche e salti che provocano, in sequenza, il cedimento dei supporti dell'altra valigia e la rottura dello specchietto destro.
Ancora una volta i picchetti ci vengono in aiuto e di nuovo "l'officina" è davvero d'eccezione: il panorama è mozzafiato.
Siamo sul punto più elevato della pista, nel deserto tra due calotte glaciali: il Langjökull e l'Hofsjökull. Mentre siamo all'opera, assistiamo al passaggio di una mandria di cavalli in transito da nord a sud.
Abbiamo sempre pensato che attraversare l'Islanda fosse una grande impresa, ed è incredibile vedere che per gli abitanti non si tratta che di semplice routine.
Raggiungiamo Hveravellir con le sue vasche multicolore e rimaniamo affascinati da una strana formazione conica che emette un flusso costante di vapore.
Ci fermiamo per il pranzo e scambiamo qualche battuta con un motociclista islandese che sta percorrendo la 35 nel senso opposto.
Ci spiega che le cattive condizioni della strada sono dovute alle scarse piogge, il terreno non si è ammorbidito a sufficienza per permettere la manutenzione della pista dopo l'inverno.
Ci guardiamo increduli: può piovere più di così?
La seconda metà della pista è decisamente più scorrevole: è un largo sterrato che ci porta fino a Blönduós.
Il paesaggio si è fatto più dolce e grazie ai raggi del sole radente tutto sembra anche più "morbido". Trascorriamo la notte a Hvammstangi, dove la ragazza del campeggio ci guarda stupita: non ha mai visto un italiano!
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Non può che iniziare così la nostra esplorazione dei fiordi occidentali: la regione più remota d'Islanda.
La prima tappa è la più dura e le condizioni meteo battono ogni record negativo registrato finora.
Piove ininterrottamente, le nuvole sono bassissime, il vento è implacabile.
Anche le strade ci mettono del loro: è sconosciuto il concetto di tornante.
La strada fangosa si inerpica quasi in verticale, con pendenze del 16 % sui pendii dei fiordi per poi scendere dritta verso l'oceano disseminato di scogli.
I pochi fuoristrada che passano suonano il clacson per incoraggiarci.
La giornata dovrebbe chiudersi nel campeggio di Patreksfjördur: quando arriviamo il primo pensiero va alla doccia calda, ma l'illusione svanisce presto.
C'è solo una spianata battuta dal vento e un prefabbricato con lavandini e wc.
Nonostante la stanchezza e il freddo decidiamo di proseguire fino a Tálknafjördur e i nostri sforzi sono ripagati.
Il campeggio sfrutta i servizi di una scuola: ampia cucina, riscaldamento e acqua calda a volontà! È mezzanotte passata quando divoriamo un meritato piatto di pasta... E dopo la tempesta torna il sereno.
Il giorno seguente è una giornata bellissima, non possiamo chiedere di meglio.
Oggi ci aspettano le scogliere della penisola di Látrabjarg: facciamo a ritroso un pezzo della strada di ieri, ma questa volta vedendo il panorama!
Imbocchiamo la 612 costeggiando lo scafo di un peschereccio arrugginito.
È una sterrata a picco sul mare che risale il fiordo fino ad arrivare al faro più occidentale d'Europa. Lungo il tragitto ci colpiscono due vaste spiagge di sabbia… dorata e acqua turchese.
Non fosse per la temperatura dell'aria verrebbe da pensare di essere in un paradiso tropicale!
Ben presto appaiono le scogliere che si innalzano da 40 a 400 m sul livello del mare: lo stridio degli uccelli è assordante, ma ci fermiamo per un incontro ravvicinato con i pulcinella di mare.
Sono così vicini che allungando la mano si potrebbero toccare! A malincuore lasciamo questo posto incantevole e i buffi pennuti e riprendiamo la marcia verso nord.
La strada 60 ci regala uno spettacolo continuo: la vista sui fiordi è impagabile e la cascata di Dynjandi è la più scenografica mai vista finora.
Si apre in un largo ventaglio da una scarpata rocciosa alta 100 m per cadere direttamente nell'oceano. Superiamo Thingeyri e arriviamo a Isafjördur a sera inoltrata.
Prima di piantare la tenda una breve deviazione fino a Bolungarvík, la meta più settentrionale del nostro viaggio: oltre 66° di latitudine nord, a un passo dal Circolo Polare Artico.
E infatti c'è la neve!
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Il tempo sembra dalla nostra: anche oggi c'è il sole.
Imbocchiamo la 61 in direzione sud, la strada segue ogni insenatura del fiordo più ampio della regione: l'Isafjarthardjúp.
Sul lato orientale inizia la penisola disabitata di Hornstrandir, dove non ci sono strade e gli animali regnano incontrastati.
Anche noi facciamo un incontro sperato, ma inaspettato: quello con le foche!
Accostiamo a lato strada per scendere sugli scogli e vederle più da vicino: sonnecchiano al sole e ogni tanto qualcuna si tuffa per poi tornare goffamente ad asciugarsi. Restiamo incantati a osservarle per quasi un'ora.
L'Islanda ci ha fatto perdere il senso del tempo, ormai, il solo ritmo che conta è quello della natura.
Il tratto di strada tra Holmavík e Brú si snoda lungo colline cosparse di fattorie e piccole chiese; sulle spiagge sono accatastati al sole tronchi e pezzi di legno.
In quest'isola dove l'assenza di alberi è quasi totale, si tratta di doni preziosi arrivati via mare da chissàdove…
Senza accorgercene siamo di nuovo sulla Ring Road e in poco tempo guadagniamo la meta: Blönduós dove ci fermiamo per la notte.
Da Blönduós ad Akureyri ci sono circa 70 km, la strada è scorrevole e raggiungiamo la seconda città per grandezza in poco tempo.
Akureyri sorge sulla testa di un lungo fiordo, ai piedi di montagne innevate, ma lungo il porto ci sono giardini verdi e aiuole fiorite.
Nel pomeriggio, prima di arrivare a Húsavík, visitiamo un'altra cascata: quella di Godafoss, la cascata degli dei.
Arriviamo a Húsavík abbastanza presto: c'è tutto il tempo per fare una lavatrice, preparare la cena e individuare l'imbarco per il whale-watching di domani.
La partenza è fissata per le 9.45 dal molo, il mare è piatto e il cielo plumbeo.
La "caccia" non è molto fortunata, o almeno non è così spettacolare come fanno credere le foto dei volantini pubblicitari.
La fama della città, nota come la capitale europea del whale-watching, ci sembra un po' immeritata. Avvistiamo qualche focena e un paio di balenottere poco socievoli.
Al termine del giro l'equipaggio offre cioccolata calda e biscotti tipici: i Kleina.
Nel pomeriggio ci dedichiamo all'esplorazione dei dintorni e scopriamo una minuscola vasca termale sulla sommità della scogliera.
Rientrati in campeggio si fa strada una triste consapevolezza: il nostro viaggio sta volgendo al termine. Aspettiamo il buio guardando la bruma che lentamente ricopre la baia.
Far Oer e Islanda: le regine dell'Atlantico
Ci reimmettiamo sulla Ring Road: l'ultimo giorno d'Islanda è proprio arrivato, ma l'isola ha deciso di salutarci "col botto"!
Il sole è caldo e ci aspetta la perla indiscussa dell'intera regione nord orientale: il lago Mývatn col suo particolare ecosistema e la zona vulcanica circostante.
La strada 1 costeggia le rive del "lago dei moscerini" e si dipana tra campi di lava nerissimi, da lontano si distingue chiaramente la sagoma del Hverfell.
Si tratta di un cratere vulcanico alto ca. 500 m dalla cui sommità si ha un bel colpo d'occhio sul paesaggio circostante: in particolare sul campo di lava di Dimmuborgir, meta di numerose escursioni organizzate.
Poco oltre le zone geotermali di Bjarnaflag e Námafjall con pozze ribollenti e soffioni. Ci fermiamo a mangiare in una piazzola con vista sulla valle e sul bacino magmatico di Hverir dalle bellissime tonalità ocra.
Lasciato alle spalle il Mývatn, la Ring Road taglia decisamente verso l'interno: si susseguono deserti sabbiosi e lunghi tratti di rocce nere, tipico paesaggio da cartolina e brochure turistica.
Man mano che ci avviciniamo alla nostra destinazione iniziano a riaffiorare i torrenti, i colori cambiano e virano dal grigio al blu e al verde in un vero e proprio ritorno alla vita.
A Egilsstadir facciamo provviste per il viaggio di ritorno e piantiamo la tenda per l'ultima volta. Buonanotte Islanda!
Con gesti ormai meccanici smontiamo il campo e carichiamo la moto: direzione Seydisfjördur. Ci imbarchiamo e questa volta riusciamo ad assistere alla partenza. La Norröna si stacca in un lento addio dalla banchina, solcando le acque tranquille del fiordo.
E' il 18 agosto quando varchiamo il garage di casa. Il termometro segna 28° C: ci sembra impossibile aver passato le ultime settimane a mangiare cioccolata per mantenerci caldi. Ma la polvere nera che abbiamo negli stivali è reale… Ce l'abbiamo fatta!
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