Francia
Quando l’asfalto racconta una STORIA!
Sulle strade del Tour de France per la Suzuki GSX-S1000GT Experience, un viaggio tra panorami spettacolari e curve infinite
E i francesi che si incazzano. In qualche modo sono nate qui le parole della canzone di Paolo Conte. Col de l’Izoard, 15 luglio 1948. Gino Bartali ribalta un Tour de France che sembrava perso. Nella tappa da Cannes a Briancon mette in riga i francesi. E negli anni a seguire la solfa sarà la stessa: le imprese di Coppi, Bartali e Magni relegheranno i ciclisti transalpini al ruolo di perdenti. Finché, una batosta dopo l’altra, il pubblico francese si incazzerà e, poco sportivamente, proverà a menare i corridori italiani.
Zazzarazzà, zazzarazzà, zazzara zarazza zà: il ritornello di Conte mi rigira sotto il casco mentre ci arrampichiamo verso i 2.360 metri del Col de l’Izoard. La moto è buona, il cielo blu, il panorama spettacolare: ci sono tutti i presupposti per essere di buon umore.
Un viaggio nel viaggio
Gli strabilianti pinnacoli calcarei dell’Izoard (speriamo che un geologo non legga questo pezzo) sono alle spalle. A un bivio Barbara si ferma. “Facciamo anche il Vars?”. Non era in programma, saranno un’ottantina di km in più. Bastano due sguardi per capire che abbiamo tutti voglia. E allora via, verso il Col du Vars. Il gruppetto è affiatato. C’è una bella atmosfera a questa GSX-S1000GT Experience. Marco di Suzuki Italia tira il gruppo, la collega Barbara, che ha disegnato il giro, chiude. Di mezzo, cinque giornalisti di varie testate. Un trenino di sette moto che va su e giù sulla Route Des Grandes Alpes. Non è la solita prova dei consueti “press test”. Questa GSX-S1000GT l’abbiamo già guidata tutti, già rilevata, già messa in comparativa. Quindi non c’è quell’ansia dello scoop, quelle scene da inviati di guerra che telefonano il pezzo in occasione dei lanci di un nuovo modello. I social? Sì, poi li faremo. Ma con calma. Non ci sono nemmeno da imparare a memoria tutte le modalità dell’elettronica, i settaggi e tutte quelle robe lì che dopo andranno descritte ai lettori. Quasi una vacanzina. E allora via, motore, spariamoci quest’ottantina di chilometri di pieghe supplementari.
Compagna di viaggio, la Suzuki GSX-S1000GT
La moto, del resto, invoglia. Facile, rotonda, agile, svelta. Tutta da godere in un percorso curvilineo come questo. Sembra una naked da quanto è immediata. Ma c’è dell’altro. Il 21 e il 22 luglio sono i giorni della settimana più calda della storia (il termometro di bordo segna 39°) e per fortuna la GSX-S1000GT non scalda il pilota. In un momento storico in cui alcune molto le butteresti giù dalla rupe perché ti cuociono, questa è una buona notizia. Non l’unica. Un velocissimo fondovalle e la successiva ascesa al Col de Lautaret, con le sue ampie curve a raggio costante e visuale libera, mettono in luce una stabilità da sportiva. Curvone veloce, la metti giù e lei sta lì. L’avevamo già appurato nell’autostrada che ci aveva portato verso il col del Monginevro, il passo da cui abbiamo lasciato l’Italia per entrare in Francia. Nella tirata da casello a casello avevamo anche notato una protezione del plexi che all’inizio lascia così così. A 120 km/h protegge bene il busto, mentre il casco resta fuori. Non è male, però da una GT ci si aspetterebbe di più. Ma non si poteva far regolabile, è la domanda che tutti facciamo? Evidentemente no. La buona notizia è però che al crescere della velocità, anche a ritmi da autobahn tedesche, la protezione rimane costante. Quindi alla fine si può filare via spediti, senza stancarsi. Tra gli accessori c’è un plexi maggiorato, più alto di 7 cm e più “verticale”.
Sulle orme (ripide) del Tour
Eravamo rimasti al Col dl Lautaret, che è un vero crocevia della Route des Grandes Alpes. Abbiamo lasciato alle spalle l’Izoard, e se proseguissimo dritti andremmo verso l’Alp d’Huez. Ma noi svoltiamo a destra per arrampicarci sul versante sud del Galibier. Qui, una settimana fa era un macello. Su tutte le salite che vengono toccate dal Tour De France, la gente si apposta nei camper, a bordo strada, anche dieci giorni prima del passaggio della gara. E sta lì, tra un giro in bici e una grigliata, ad aspettare il grande giorno. E il Galibier, percorso in questa edizione addirittura in entrambi i versanti, non ha fatto eccezione. Anzi. Sulla strada ci sono le scritte che inneggiano ai campioni. Pinot, Bardet, Pogacar… Le leggono anche gli amatori che a migliaia ripercorrono queste salite intrise di leggenda, colpo di pedale dopo colpo di pedale. La Route des Grandes Alpes è allo stesso tempo un inferno e un paradiso per i ciclisti. Dedicati a loro sono i cartelli sui grandi passi che a ogni chilometro indicano quanto manca alla vetta, la quota e – soprattutto – la pendenza media del prossimo chilometro. Andiamo su tranquilli. La strada è stretta stretta stretta, i tornanti molto chiusi. Nessun problema per la GSX-S1000GT, grazie anche al manubrio largo e in pezzo unico. Una scelta che dà agilità senza nessuna controindicazione: l’ergonomia è semplicemente perfetta, con il busto appena reclinato in avanti ma non troppo, quel che serve per non affaticare la schiena. Non scenderei mai da questa moto. Non saprei invece il giudizio di un eventuale passeggero: anche per il secondo l’ergonomia è perfetta e riposante, ma la sella a salirci sopra appare un po’ strettina. Nella lista degli accessori ci piacerebbe una “sella comfort” per passeggero. Magari anche un portapacchi e un bauletto, per completare la capacità di carico (di serie ci sono le due valigie da 36 litri l’una) nel caso di lunghe vacanze in coppia.
Suzuki 1000: un motore infinito
Siamo in vetta al Galibier, 2.642 metri sul livello del mare. Noi abbiamo percorso il versante sud, ma il più amato di ciclisti è quello nord: 18 km di ascesa, affrontati per la prima volta al Tour de France nel 1911. Ancora oggi è una salita mostruosa, figuriamoci con quelle bici e con quei rapporti. Tanto che il vincitore di quell’anno, Gustave Garrigou, definì gli organizzatori del Tour dei “banditi”. Né più, né meno.
L’asfalto della discesa verso Valloire in alcuni punti non è buono, e questo mette in luce sospensioni dalla taratura davvero a punto. Mai secche sullo sconnesso, assorbono tutto rendendo questa moto una vera GT. E, come del resto tutta la ciclistica, allo stesso tempo offrono prestazioni assolutamente adeguate anche quando si alza il ritmo.
Ci beviamo in un sorso il Col du Telegraphe e siamo già proiettati verso il Moncenisio. Larghi tornantoni da orecchie per terra dove la GSX-S mostra un anteriore che le crossover se lo sognano. Una sicurezza totale in appoggio, un feeling sopraffino. Del resto, se questa è una moto 100% stradale, avrà pur qualche vantaggio rispetto alle maxienduro? E poi qui è uno spettacolo godersi il suo motorone, un quattro cilindri da 152 CV, forte, dolcissimo e vellutato allo stesso tempo. Un’erogazione lunga, infinita, che su queste strade di montagna è un piacere. Metti una marcia e via, pennellando le curve con un filo di gas. E se c’è da cambiare, c’è un quickshifter da riferimento mondiale.
Viaggio nel tempo
Quando arrivo in cima al Moncenisio, mi ritrovo tirato dalla giacchetta un po’ di qui e un po’ di là, tra la tentazione di continuare quella esaltante sessione di guida e la voglia di guardare l’altopiano verde smeraldo che mi circonda. Ascolto il consiglio che spesso mi dà mia moglie nei nostri viaggi in moto. “Fai una cosa alla volta, se devi guardare il paesaggio, fermati”. Mi fermo. Intorno a me il silenzio. Per un attimo mi rivedo ragazzo degli Anni 90. Quando non ero ancora stato nel deserto e non me ne fregava niente di andare a impolverarmi sulle strade sterrate. Le mie vacanze erano macinare chilometri in Europa con potenti moto stradali. Ricordo una tirata unica di 1.200 km da San Sebastian a Milano. Capitali europee una dietro l’altra, passi di montagna, autostrade, curvilinei nastri d’asfalto costieri. Poi mi stuzzicava anche la guida sportiva, come tutti i venticinquenni avevo il testosterone alto. Quei motociclisti ci sono ancora e questa moto è per loro. Piacere assoluto.
Barbara arriva negli specchi, mi ridesta dal mio stato di trance. Mi fa segno di dare gas: tra foto, riprese video e stand up siamo andati un po’ lunghi con la tabella di marcia. D’altra parte, quando ci sono certi paesaggi, meglio una foto in più che una in meno. O no? Ecco il lago del Moncenisio, il ristorante ci aspetta. Avevamo prenotato. Siamo un’ora e mezza in ritardo. Speriamo i francesi non si incazzino.
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