Sbk
Yamaha YZF R6 SS 2003
Abbiamo fotografato, analizzato e alla fine anche provato la R6 che partecipa ufficialmente al Mondiale Supersport
Peccato che a Valencia la corsa verso il podio di Jurgen Van Den Goorbergh e della sua Yamaha R6 sia stata rallentata da una piccolezza come lo spostamento della leva al manubrio del freno posteriore, che gli ha fatto perdere una manciata di secondi e molte posizioni. Peccato, anche perché dietro quello che poteva essere un ottimo risultato (Jurgen era terzo) non ci sono solo le doti del pilota olandese, ma anche le capacità, la tenacia e l’organizzazione degli uomini di una scuderia italianissima, quella della Belgarda, ex importatrice e ora vera e propria filiale italiana della Yamaha, con tanto di sede produttiva (vengono costruite le TT 600 e le Bulldog).
Foto del team a inizio stagione. Al centro si riconoscono Massimo Meregalli e, alla sua destra, Silvano Galbusera (con il pizzo). Di fianco a lui Claudio Consonni.
“Il lavoro di sviluppo della moto a iniezione è appena cominciato, - ci spiega lo stesso Meregalli- eppure i risultati sono già decisamente incoraggianti, anche se a Valencia il diavolo ci ha messo la coda. Però qui a Monza abbiamo ottenuto in prova (quindi senza l’effetto scia –ndr) una velocità di punta di 279 all’ora, il che è un buon segno”. Merito dell’aerodinamica o del motore? “Di entrambi, direi, anche se sono due aspetti su cui stiamo lavorando, perché non siamo ancora all’ottimo. In particolare ci stiamo dedicando alla gestione elettronica del motore, per la quale abbiamo portato via dalla Formula 1 un tecnico molto preparato, Luigi Mascheroni”. Il know-how specifico è importante? “Eccome, abbiamo bisogno di crearci un’esperienza interna sui problemi e le caratteristiche della nostra moto. Pensa che all’inizio la White Power, che ci fornisce l’ammortizzatore e tutto l’interno della forcella (molle e idraulica -ndr), ci voleva mandare un tecnico per effttuare le modifiche che chiedevamo. Poi ha capito che la preparazione del nostro uomo che si dedica alle sospensioni è molto elevata, e ora gestiamo la cosa internamente, con una forma di collaborazione ad alto livello con la WP stessa.”
“Gestire due piloti così diversi come Jurgen e Simone – prosegue Meregalli – non è semplicissimo. Sanna, ad esempio, si adatta di più, e rispetto alle regolazioni con cui eravamo partiti ha fatto solo modifiche di dettaglio. Jurgen invece ha altre esigenze, e ha cambiato molte cose. Per fare qualche esempio, preferisce i semimanubri bassi e non può fare a meno del comando del freno posteriore al manubrio. Non è insomma un pilota che guida una moto in qualsiasi condizione, ma è preciso nelle indicazioni, e molto competente. Per noi è certo più faticoso stargli dietro, ma è anche uno stimolo al miglioramento continuo”.
La moto spogliata mette alla luce alcuni particolari rivelatori, come il radiatore artigianale maggiorato e le connessioni rapide per la tuberia dell’impianto di raffreddamento. Il telaio non subisce alcuna modifica, mentre l’ammortizzatore viene sostituito di sana pianta.
Abbiamo l’occasione di guardare la moto da vicino, perché i piloti stanno provando e i meccanici sono al lavoro. La moto, secondo lo spirito e la lettera del regolamento Supersport, è molto simile alla R6 di serie. A prima vista può addirittura sembrare una moto utilizzata in pista da un appassionato, che le ha semplicemente tolto fanali, targa e specchietti e le ha messo un carenatura racing per non rovinare quella originale in caso di caduta. Ma guardandola un po’ più da vicino le differenze balzano all’occhio, a cominciare dalla cura dei particolari. Come ci dice anche Meregalli, le modifiche sono sensibili ma non stravolgono la motocicletta, anche perché i regolamenti non permettono rivoluzioni. Per fare un esempio, all’interno del motore possono essere toccati solo la testata e il cambio, e anche fuori gli interventi ai componenti principali sono proibiti: anche i cerchi devono restare di serie! L’attenzione è stata dunque dedicata ai dettagli: via tutto ciò che non serve, si è scelto di fare un lavoro di affinamento anche in vista dei ristretti tempi disponibili nelle prove: la pinza posteriore è fissata ad una staffa che rimane vincolata al forcellone per agevolare la sostituzione della ruota, mentre il particolare sistema di fissaggio del parafango anteriore permette di ruotare i foderi della forcella dopo aver sfilato il perno, il che consente di cambiare cerchio e pneumatico senza smontare le pinze, che fanno perdere tempo nel rimontaggio.
Il pannello di controllo della R6 Belgarda è estremamento spartano: contagiri e indicatore a cristalli liquidi della 2D, lo stesso marchio che fornisce il sistema di telemetria. Il pomello nero serve a selezionare diverse curve della mappatura: la prima è la più “reattiva”, la terza la più “morbida” (si usa solo sul bagnato).
Addirittura i tubi dei freni e i cavi del gas sono dotati di innesti rapidi, che permettono di sostituire particolari rotti in una caduta in pochi secondi e, nel caso dei freni, senza nemmeno aver bisogno di spurgare l’impianto! Di fronte a tanta raffinatezza, colpisce il contrasto tra la nobile fibra di carbonio, usata per codone e parafanghi, e la “plebea” fibra di vetro di cui è costituita la carenatura. “La moto è sottopeso –spiega Maio-, siamo a 160 kg, mentre il minimo regolamentare è 167 per tutti. Abbiamo pani di piombo attaccati dove ci stanno, ma stiamo affrontando in modo più razionale il problema”. Una delle strade imboccate è il progressivo abbandono dei materiali superleggeri nella parte anteriore della moto. E’ infatti in corso la realizzazione di un collettore di scarico in acciaio, cosa che comporterà anche un avanzamento e abbassamento del baricentro, anche per cercare di migliorare la distribuzione dei pesi, che ora vale un quasi ottimale 50/50, ma senza pilota a bordo.
I dischi anteriori Braking sono molto apprezzati dalla squadra. Notare il cerchio di serie e il trasduttore di velocità.
Per i freni, la Belgarda si è affidata alla Braking, della quale monta una coppia di dischi anteriori con pista “a placche”, un disegno molto diverso dagli Wave che hanno reso famoso il nome in tutto il mondo. Secondo i tecnici Yamaha si tratta di ottimi componenti: la conformazione minimizza i rischi di distorsione a caldo, e l’elevato numero di spigoli garantisce una costante ravvivatura della superficie delle pastiglie, mentre la fascia frenante dura tutta la stagione; tutt’al più si procede, direttamente in fabbrica, alla “ripassatura” delle superfici delle piste a metà campionato. In tema di frenata ognuno dei due piloti ha le sue preferenze: Sanna adotta pastiglie sinterizzate e un comando piuttosto “corto”, con una escursione della leva limitata per garantire le prontezza, mentre Jurgen preferisce una frenata meno aggressiva (anche se sempre molto potente) e quindi usa una corsa piuttosto lunga sulla leva e pastiglie di mescola organica.
Secondo il regolamento le modifiche ammesse sono molto poche: si possono sostituire gli alberi a camme (ma l’alzata massima deve essere quella di serie), si possono cambiare forma e dimensioni delle valvole (fatti salvi materiale, peso minimo e diametro indicati in fiche), si possono riprofilare i condotti (ma le aggiunte di materiale possono essere ottenute solamente con resina sintetica e non con saldature), si può aumentare il rapporto di compressione.
La presa d’aria dinamica aiuta a mantenere alla pressione atmosferica l’air box, anche mentre il motore gira a regimi elevatissimi e aspira diverse migliaia di litri d’aria al minuto. Dietro si notano le boccette di raccolta degli sfiati e, a sinistra, lo snodo antirottura della leva del freno.
Candele e scarico sono liberi (con il vincolo delle fonometriche), mentre il resto del motore non può essere in alcun modo modificato, a parte i già citati dischi delle frizione e i rapporti del cambio. Chiediamo un po’ di dati al nostro interlocutore: “Per quanto riguarda la potenza siamo intorno ai 135 CV all’albero a un regime di 15.500 – 15.700 giri a seconda del motore. I piloti cambiano appena dopo, intorno ai 15.800, mentre a 16.000 interviene il limitatore.” Prendiamo per buoni questi dati, così come il rapporto di compressione “intorno a 13:1”, anche se sappiamo che nelle corse si tende sempre a “volare bassi” per non scoprire tutte le proprie carte con gli avversari. Ci sono aspetti, infatti, che sono critici e che fanno la differenza, come i giochi di accoppiamento tra i componenti del motore come bronzine e pistoni: a parte una maggiore uniformità di valori, è meglio tenere i giochi stretti o ampi all’interno del campo di tolleranza? “Chest chi tel disi no (traduzione per gli extra-lombardi: questo non te lo dico –ndr), perché è uno degli aspetti più importanti, e la differenza è notevole”. Poi prosegue: “Quello che ti posso dire è che proviamo ogni motore al banco, sia per rodarlo un po’, sia per verificarne le prestazioni. E che stiamo lavorando moltissimo sull’elettronica: per ora stiamo mantenendo aperta la seconda valvola dei corpi farfallati (cioè quella comandata dalla depressione –ndr), ma intanto lo sviluppo della centralina costruita dalla EFI continua in modo indefesso. Stiamo anche provando varie configurazioni di scarico con Termignoni e di trombette di aspirazione. Per quanto riguarda la presa d’aria, invece, ne abbiamo provate diverse, ma la differenza che abbiamo riscontrato tra loro è minima, mentre è notevole il miglioramento rispetto al componente di serie.”
Uno dei connettori rapidi delle tubazioni dei freni, che permette di sostituire le pompe di comando senza dover spurgare l’impianto.
Fa molta differenza, inoltre, il cambio a rapporti ravvicinati, che è stato studiato direttamente dalla Belgarda e permette di avere a disposizione tre o quattro rapporti per ogni marcia, mentre la frizione è stata rivista a livello di dischi, per scongiurare bruciature in partenza. Anche l’alternatore è libero: si può montare quello che si vuole, con il solo vincolo che la moto deve essere in grado di avviare il motore senza aiuto esterno, dopo la gara; la Belgarda ne monta uno più sottile a rotore interno, il che permette di ridurre l’inerzia dell’albero motore a cui è vincolato, di assorbire meno potenza durante il funzionamento e di impiegare un carter fuso in terra meno ingombrante, coi relativi vantaggi per la luce a terra nelle curve a sinistra.
Infilo la tuta e il casco, mentre i meccanici stanno scaldando la moto di Van Den Goorbergh. L’occasione di provare una delle migliori moto del mondiale in un tempio della velocità come Monza è qualcosa di esaltante, anche se ovviamente la regola n°1 è che non si deve assolutamente cadere… Me li prestate voi i soldi per rimetterla a posto? Parto e via, infilo le marce una dietro l’altra (cambio racing: prima in alto, corsa corta e innesti precisi) e comincio a prenderci un po’ di affiatamento intanto che rodo le gomme nuove: la posizione di guida è più raccolta di quella di serie, più caricata in avanti, ma non è scomoda, anche per il fatto che Jurgen ed io abbiamo all’incirca la stessa altezza, e forse è anche grazie a questo che il parabrezza si dimostra abbastanza protettivo e ci si può abbassare bene dietro il trasparente.
Dopo un paio di giri, si può cominciare a tirare un po’ di più: il motore, regolare anche se non particolamente brillante ai bassi regimi, comincia a spingere intorno ai 10.000 (regime che possiamo considerare medio!), quando cambia timbro di aspirazione e scarico e si mostra già molto sensibile al comando del gas. Ma è poco dopo i 12.000 che esce il vero carattere di questa R6: un ululato roco che si trasforma in un fischio ad altissima frequenza e che proietta in avanti il pilota con una sorta di allegria a salire di giri veramente eccezionale: senza cali né picchi, il motore distende tutti i suoi giri con estrema naturalezza, e si arriva a vedere i 16.000 senza affanni. Alla staccata in fondo al rettilineo dei box freni e sospensioni svolgono egregiamente il loro lavoro: la moto è stabile, la forcella morbida voluta da Jurgen agevola il trasferimento di carico, mentre il minimo piuttosto alto riduce i tentativi di serpeggiamento del retrotreno.
In questo frangente Jurgen usa molto il freno posteriore per controllare l’aderenza della ruota, mentre io preferisco concentrarmi sulle caratteristiche della ciclistica in ingresso di curva: cambiare traiettoria a freni tirati non è semplice, perché l’effetto autoraddrizzante è notevole. Per questo conviene frenare forte con la moto ancora dritta, poi rilasciare gradatamente il freno per non perturbare l’assetto e intanto inserirsi in curva con decisione.La moto segue fedelmente gli input, senza movimenti strani, né reazioni brusche; Anzi, basta solo qualche curva per trovare il coraggio di utilizzare in pieno il grip delle gomme e la notevole luce a terra. Ma quando il gioco si fa duro, soprattutto in curve veloci come il Curvone o tecniche come la Parabolica, la R6 si mostra sincera, stabile e molto comunicativa: mentre tu guardi il mondo inclinato di 50° venirti incontro a 200 allora e il cuore batte forte, lei sembra quasi tranquilla, mentre frulla a 15.000.
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