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MotoGP: l'era del pilota-cyborg
La provocazione: i piloti-personaggio, alla Valentino Rossi, non ci sono più. Il futuro della MotoGP rischia di essere popolato da noiosissimi "androidi" su due ruote, incapaci di coinvolgere il pubblico e farci sbadigliare davanti alla TV. È così? Voi come la pensate? Dite la vostra
Forse non l'abbiamo ancora capito, ma rimpiangeremo ancora a lungo Valentino Rossi. Lunga vita (biologica e sportiva) al campione di Tavullia, al pilota che più di ogni altro ha dato lustro e visibilità al Motomondiale negli ultimi 20 anni.
Anche perché, tra una guasconata e l'altra, un festeggiamento post vittoria e conferenze stampa in cui a condurre i giochi è sempre stato lui, Valentino è il sale della MotoGP. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano, perché ancora oggi è lui l'uomo che fa notizia, sia che vinca sia che perda.
Adesso però la musica sta cambiando. Il passaggio generazionale è in atto da tempo e non si è ancora concluso. Valentino Rossi ha 38 anni compiuti e non potrà correre per sempre in moto. Ma dopo di lui, il diluvio. Stiamo entrando – anzi, siamo già entrati – in una nuova stagione. Quella dove, al posto dei piloti che allo spessore sportivo affiancano quello umano del personaggio, trovano spazio i piloti-cyborg.
L'incarnazione di questa nuova figura di pilota 2.0, motociclista evoluto oltre i livelli della perfezione, è Maverick Vinales. Il pilota spagnolo ha dominato le prime due gare della stagione, sfoggiato un bagaglio tecnico eccellente, eppure fuori dalla pista è incapace di calarsi in una dimensione che sia "altro" dalla moto. Tutto, nel suo esordio sulla Yamaha, è stato convenzionale, dai festeggiamenti sul podio (né troppo né poco pronunciati) alle dichiarazioni piuttosto piatte in conferenza stampa. Maverick, superstar in pista, ha svolto con puntiglio il suo compitino da dipendente Yamaha, rilasciando le dichiarazioni standard che ricordano molto quelle dei calciatori che, negli anni ’80 e ’90, dopo la partita sfoggiavano il repertorio decotto dei "siamo contenti di avere vinto" oppure "il mister ha sempre ragione".
Intendiamoci bene, nessuno vuole dei guitti su due ruote. Il circo è un'altra disciplina. Però è evidente che l'eccessiva professionalizzazione della figura del pilota tende sempre di più a prevalere sul lato giocoso e passionale della moto.
Che interesse può avere, per il pubblico della MotoGP, un futuro che vede in pista androidi tanto talentuosi quanto poco coinvolgenti come Vinales, Marquez e Lorenzo, incapaci di far parlare di sé al di fuori dei fine settimana di gara?
Forse è un processo irreversibile e inevitabile, ma è una realtà con cui dobbiamo fare i conti. E che la stessa Dorna dovrebbe incominciare a prendere in considerazione. Anche perché il rischio principale è quello di una fuga di pubblico da un campionato "monopilota" e ispanocentrico, popolato da figure con pochissimo appeal mediatico. Meno audience significa diritti televisivi che perdono valore e, come conseguenza indiretta, investitori e sponsor che cercheranno un altro canale dove piazzare i propri investimenti.
A modo suo, Valentino dopo Loris Capirossi e Max Biaggi ha aiutato il Motomondiale a uscire dalla nicchia e ad aprirsi al mondo, trasformandosi (anche) in spettacolo. Non ricadiamo nella sindrome della tartaruga. A rimettere la testa dentro al guscio e tornare a essere sport di nicchia ci vuole un attimo.
E voi, come la vedete? Dite la vostra lasciando un commento a questo articolo.
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