La Superveloce 1000 è un'altra cosa rispetto al passato: carbonio ovunque, titanio dove serve, stile barocco ma elegante, non eccessivo. Ecco cosa si prova a stare in sella a una moto da oltre 70mila euro
Guidare una moto con queste caratteristiche è sempre un’emozione. Guidare una moto che vuole essere lo stendardo tecnico, architettonico e tecnologico di una casa con una storicità come MV Agusta è qualcosa che può accadere molto, molto raramente. Certo, già il solo fatto di salire a bordo, impugnare i semi-manubri e dare voce al quattro cilindri in linea è qualcosa che stuzzica tutti i sensi; avere poi davanti un nastro di asfalto completamente libero, disegnato fra curve e controcurve delineate da cordoli, beh, allora tutto diventa ancora più magico. Non è solo una questione di numeri, sebbene i 208 cavalli e i 14.000 giri di per sé varrebbero il prezzo del biglietto. Prezzo davvero da capogiro: 70.700 euro.
IL NUOVO CORSO
La MV Agusta Superveloce 1000 Serie Oro non è semplicemente una moto e non è semplicemente una moto realizzata in pochi preziosissimi esemplari. Segna infatti il nuovo corso di una Casa, segna il ritorno ai motori quattro cilindri sulle sportive carenate, che di fatto sono la bandiera della casa stessa. Segna anche la volontà di guardare avanti con una prospettiva già tentata ma ancora non prolifica, non del tutto almeno: MV e la sportività sono cose indissolubili e un tutt’uno con lo stile, ma le scelte industriali degli ultimi anni hanno un po’ annebbiato il fascino delle creature varesine. Colpa, principalmente, di una sovrapproduzione di serie speciali, poco distanti l’una dall’altra per posizionamento e corredo. E una rete vendita non ancora capillare e audace.
La bandiera KTM piantata a Schiranna dovrebbe cambiare le carte in tavola e questo modello dovrebbe esserne la prova. La Superveloce 1000 invece è altra cosa rispetto al passato: carbonio ovunque, titanio dove serve, stile barocco ma elegante, non eccessivo. E quella verniciatura pazzesca… Foto e video non le rendono piena giustizia, capirete vedendone una dal vivo. Il legame con la F4 750 del 1997, è forte. Si badi bene, non per stile o contenuto, quanto perché entrambe le moto hanno segnato un cambiamento. Avvio, nel primo caso, CTRL ALT CANC- riavvia il sistema- in questo.
MV AGUSTA SUPERVELOCE 1000 SERIE ORO: PRIMO CONTATTO
Salire a bordo, dicevo prima di perdermi nelle parole. Seduto, bel guaio. La difficoltà inizia con il primo sguardo avanti: La placchetta sulla piastra superiore di sterzo, con quel 000/500 stampigliato a chiare lettere, è un monito costante: “non fare stupidate”.
Il senso di responsabilità ti pervade e blocca. Sei sempre seduto su 70mila euro. E se, e se, e se… accendi. Ruggito e tremore, una voce roca ti entra dentro (sì, da lì perché lì si trova il motore), dentro la prima, la seconda, la terza, la quarta - e quante sono - quinta, sesta… decolli. Il borbottare gutturale diventa urlo, ti incolli sul serbatoio con il tappo in alluminio e la cinghia di cuoio.
Arriva la curva. E che ti frega della curva! Questa è una di quelle moto che vogliono il rettilineo. E non perché non sia in grado di scendere in piega e regalare godimento anche lì, no, non è quello, è perché andare dritto, velocissimo, sicuro, basta, è sufficiente, non serve altro per raggiungere vette di piacere che non si discostano molto dall’orgasmo. Tutto è piacere, dal buttare dentro le marce una via l’altra con il quick-shifter che intima al motore di non perdere giri, all’accarezzare la pompa freno e sentire mordere i dischi da parte delle pinze Stylema.
Ma poi la curva arriva e allora giù, e allora dentro. Alt: va detto: le supersportive di oggi, quelle collaudate in pista, scendono più facili e più agili. Lei, la Superveloce, va spinta e tenuta giù. Sembra un po’ lunga e un po’ piatta, in verità. E pure rigidissima. Le sospensioni Öhlins a controllo elettronico sono una garanzia, così come i freni Brembo ma… ma io, pover’uomo, a strapazzarla non sono riuscito. Anche solo immaginare di ripresentarmi ai box con qualcosa da dire che non fosse “tutto ok”, mi lacerava la supponenza.
Ho provato la stessa sensazione qualche tempo fa, con un’altra italiana, bellissima, prestazionalissima, curatissima. Feci il mio, e bastò solo a me. Non scendo in altri particolari e vi lascio con il dubbio.
Uguale con la Superveloce 1000: una bella accelerata in rettilineo, l’urlo suo (magari finto per finirla lì, chissà), l’urlo mio, verissimo. Non ci sarà un’altra occasione, lo so. Ma è un’altra bella cosa da raccontare al bar, vantandosi mostrando le foto e con la piacevolissima consapevolezza di non aver dovuto pagare nulla (di quei 70.700 euro famosi).
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