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Royal Enfield Himalayan 450: è lei l’erede della Yamaha XT? +VIDEO+
E’ semplicissima e robusta, ha la ruota da 21” davanti, funziona alla grande su strada ma permette anche di avventurarsi fuori. A modo suo, è una versione moderna della mitica moto di Yamaha
Il concetto, piuttosto che la funzione. È più importante dire cos’è, piuttosto che come va. Perché la nuova Himalayan è qualcosa che non c’era più. “Un pistone soltanto, ruota da 21”, corpo stretto e dall’andamento orizzontale, sospensioni che consentono di andare oltre l’asfalto”. Bingo. È, testuale, l’attacco del video collegato a quest’articolo. Dove, a esempio del passato di questa tipologia, c’è la mamma di tutte le Enduro, la Yamaha XT 500 (1975-1989). Se ci pensate bene, sono molto simili tra loro nella filosofia. Solo la bilancia le separa alla nascita (50 kg di differenza, a svantaggio della nuova arrivata).
IL NUOVO CORSO DI ROYAL ENFIELD
Bravi questi indiani: pur volendo dichiaratamente continuare a fare moto economiche, hanno virato verso quello che loro chiamano "affordable premium", il premium alla portata di tutti. Per farlo hanno preso teste pensanti europee (fra le quali l’ingegner Paolo Brovedani, ex Aprilia), hanno ripensato, modernizzato e allargato la gamma, hanno creato un centro stile in UK e sono andati all’attacco dei nostri mercati. Il risultato è lì da vedere, con 7.544 pezzi immatricolati in Italia nel 2023 (con una crescita annua di quasi il 5%).
ROYAL ENFIELD HIMALAYAN 450: EVOLVERSI SENZA RINNEGARE
Torniamo a lei: ha mantenuto l’originalità iniziale (con quel marchio di fabbrica che è la protezione tubolare), ma si è evoluta in tutto (guadagnando potenza, guidabilità e tecnologia). Premetto che non ho mai provato la vecchia Himalayan (è arrivata nella mia parentesi automobilistica a Quattroruote), ma colleghi mi dicono che la nuova Himalayan 450 è di un altro pianeta. È passata da poco più di 20 CV a 44 (40 Nm, di cui il 90% già disponibile a 3.000 giri), ha guadagnato il raffreddamento ad acqua, una forcella rovesciata Showa con steli da 43 mm, il link posteriore e 200 mm di escursione (anteriore e posteriore). La seduta è bassa, 825 mm, portabile a 845 mm. Optional c’è anche la sella unica, in stile fuoristradistico, così come cerchi con raggi tangenziali (quindi con gomme tubeless).
ROYAL ENFIELD HIMALAYAN 450: LA SEMPLICITA' FATTA MOTO
È votata alla semplicità e alla robustezza questa moto, c’è tanto metallo, gli assemblaggi sono basici e non ci sono vezzi estetici che implicano elementi estetici da dover poi raccordare tra loro. Lei è “pura” e sembra vantarsi di questo, anzi ne fa un segno distintivo. Il serbatoio da 17 litri è in lamiera, con l’unione dei gusci a vista, come si usava una volta; il telaio in acciaio è a culla aperta, lasciando così spazio per il passaggio dello scarico basso (scelta poco Off), che viene protetto da una robustissima piastra.
Il forcellone è chilometrico, il disco posteriore è importante, fa quasi il verso con quello anteriore che, essendo singolo, è molto ben dimensionato. La bilancia è inflessibile di fronte a questi materiali e queste scelte progettuali: 198 kg dichiarati, col 90% di benzina. È tanto per una monocilindrica. Ma se prima una Royal la pensavi come la moto spartana e indistruttibile utilizzata dal contadino indiano (che spesso non possiede l’auto), oggi questa moto ha ben altre velleità.
Anzi, ha chicche tutte sue, come la connessione senza fili dello smartphone allo strumento circolare TFT, per visualizzarci Google Maps. Basta registrarsi attraverso una App specifica. E questo, a meno di 6.000 euro, perché attacca così il listino dell’Himalayan (da 5.900 a 6.500 euro). Incredibile… Paura di scaricare il telefono navigando per lungo tempo? C’è la presa di ricarica ancorata al manubrio. Altro che moto dei poveri… Lei è un concetto tutto suo, che può dividere, quello sì. O la si ama o la si odia.
ROYAL ENFIELD 450: COME VA
Il manubrio è bello largo e leggermente angolato, in stile flat track, non è vicinissimo ed è meno rialzato rispetto alla sella se confrontato con le sedute delle Adventure di oggi (e questo la assimila molto alla storica XT). Fianchi stretti, buon raggio di sterzo, blocchetti elettrici particolari, ma funzionali. Bisogna solo abituarsi. Due mappe motore, no controllo di trazione, ABS disinseribile al posteriore. Avviamento rumorosetto, poi timbrica tipica da mono.
Accarezzando la leva della frizione il regime sale automaticamente di un zic (è l’elettronica di oggi, bellezza…) e questo scongiura improvvisi spegnimenti in partenza. Pronti via non c’è chissacché di spinta, vuoi perché siamo abituati alle 450 di oggi, che sono dei mono da gara, o perché magari abbiamo guidato i mono di una volta (più copiosi in basso).
Lei è diluita fino a 3.000 giri, poi arriva una bella botta di coppia, c’è tutto al centro dell’erogazione, e in alto è inutile insistere, perché non è un motore frazionato e perché le vibrazioni diventano elevate. Stai lì al centro di regime, passeggi con gusto, ascolti il pistone che fa il suo. Bella sensazione, appunto perduta. Se stai sotto i 3.000 seghetta un po’, borbotta, non scalcia perché l’elettronica contiene il tutto, ma non c’è linearità e morbidezza. Il cambio è abbastanza contrastato, pur senza risultare duro. Ecco, diciamo che viaggiare a 100 km/h è la morte sua, perché ti stabilizzi a 5.000 giri e tutto fila liscio. Oltre ci va, ma avverti che esci dalla comfort zone (leggasi vibrazioni).
COME UNA VOLTA
Il 21” anteriore regala progressione e non certo rapidità, chi non è abituato può giudicare pesante e lenta davanti questa moto, ma è più una sensazione che un dato di fatto. Prese le misure, va via bene, devi condurla con decisione e lei esegue. Sospensioni (non regolabili) tarate sul rigido, perfette su asfalto (perché contengono i cambi di carico pur senza diventare poco confortevoli), meno in fuoristrada perché trasmettono in modo evidente le asperità. Non sono, per intenderci, il “burro” delle dual giapponesi, che filtrano alla perfezione l’Off ma risultano un po’ mollaccione su asfalto.
Bella frenata, ottimo mordente ma sempre gestibile, ABS non troppo invasivo. Il piccolo plexi allevia l’aria sul busto e in parte sulle spalle. Fa più di quel che penseresti guardandolo. Il passeggero sta seduto comodo e non troppo rialzato rispetto a chi guida.
In Off? Ti avventuri, come ti avventuravi con una XT. Non la guidi da cattivo, in piedi sulle pedane, perché il manubrio è poco rialzato, le gomme sono poco aggressive e le sospensioni abbastanza secche, ma vai ovunque. E questo è il suo bello. Perché è una vera Dual, come le moto di una volta. Semplici, sincere, versatili. Non tutto è perduto.
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