Ci fosse un manuale del marketing, la MV Agusta LXP Orioli sarebbe l’esempio principe. Una lectio magistralis per aspiranti laureati. Volumi, colori e sponsor (presunti) di un’epoca d’oro, animati da un cuore a 3 cilindri che, di fuoristrada, ha visto forse solo la polvere degli scaffali su cui è stato - eventualmente - appoggiato prima di essere montato. Serie limitata, prezzo stellare (30.900 euro chiavi in mano), debutto ancor prima che venga presentata (da qui a pochissimo) la serie normale. E, pare, tutti venduti sulla carta i 500 pezzi disponibili.
Se non è arte questa…
MV AGUSTA LXP ORIOLI: COM'E' FATTA
La MV Agusta LXP Orioli è fatta in modo tutto sommato convenzionale, perché nel mondo Adventouring è più difficile stupire rispetto alla strada (si pensi cos’è stata la F4 e la Brutale…). Ruota da 21”, ed è stata pensata così fin dall’inizio, non è mai stata messa in dubbio per la 19”. Telaio perimetrale per la parte alta, a doppia culla chiusa in basso. È in acciaio, unendo tubi tondi a piastre forgiate. Telaietto posteriore a vista, a traliccio, e smontabile: molto Off. Serbatoio importante, 20 litri, che si collega a una carena protettiva ma poco invasiva alla vista, grazie al sapiente uso di plexiglas (anche fumé). 220 kg a secco dichiarati, ma sulla nostra bilancia sono 255 col pieno (125 ant. e 130 post.). Sospensioni Sachs regolabili, escursione ruota di 210 mm (ant/post), luce a terra di 230 mm, mozzi ricavati dal pieno e cerchi Takasago top di gamma con brevetto Bartubeless. Freni Brembo, con pinze radiali monoblocco Stylema ad attacco radiale. Sella a 850/870 mm da terra.
Riguardo al motore, il 3 cilindri non è la maggiorazione dell’800 cc, ma un progetto completamente ripensato. 931 cc, si è lavorato più sulla corsa che sull’alesaggio, per limitare gli ingombri ma soprattutto per ottenere più coppia (81 x 60,2). È meno super quadro di altri motori MV, raggiunge la ragguardevole potenza di 124 CV a 10.000 giri, ma il suo potenziale è maggiore. I circuiti di acqua e olio sono stati riprogettati, il cambio è sempre estraibile, ma dal lato opposto rispetto all’800. Quick shifter up e down, gestione elettronica Eldor, valvola elettronica allo scarico.
UNA SUPERBIKE COL MANUBRIO ALTO
La seduta è naturale, con un’ergonomia tipica da adventour: braccia semi distese, manubrio rialzato (e abbastanza dritto), punte dei piedi che toccano entrambe a terra (per una statura media). I fianchi però non sono stretti, la cover della sella in simil-alcantara è bellissima (e molto racing), ma grippa molto, e quindi lì ci si siede e lì si sta (conseguenza anche di una cavità dello schiumato marcata). La sensazione è di stare in sella a qualcosa di importante, di maxi. E di non leggero. I blocchetti sono affollati di tasti, ci vuole un po’ di tempo per impararli. Quello del clacson è infulcrato in modo tale che occorre alleggerire il palmo dalla manopola per azionarlo. TFT da 7” ben leggibile.
Appena accesa si riconosce la voce del 3 cilindri MV, rumorosa, graffiante, poco piacevole finché si rimane al minimo (si trasformerà invece agli alti…). Messa la prima, colpisce il primo attacco del gas, perché la risposta di coppia sembra debole e la gestione poco coerente. È sempre stato il punto debole di MV questo aspetto, qui la situazione è migliorata, ma non del tutto. Non si ha il “gas in mano”, non si parzializza con facilità, non si è invitati alla guida in souplesse (per esempio nel traffico di città, dove tra l’altro si ha a che fare con un cambio contrastato che rende la vita difficile per trovare il folle).
Insomma, prevale una certa ruvidità che non te le fa amare finché vai a spasso. Oltrepassando i 3-4 mila giri, invece, la schiena inizia a farsi sentirsi, e da lì è un crescendo continuo, lineare, meraviglioso. Il cambio marcia tra 5-6 mila giri (o 6-7 mila) è il punto G nell’utilizzo di questa moto. Avviene uno scoppio, un cambio ti tonalità, un qualcosa che hai sentito solo nel mondo racing o nelle Hypercar da centinaia di migliaia di euro. È una droga quel momento, non riesci più a farne a meno. E sei assistito da un avantreno sincero, piantato, poco svelto a scendere in piega ma progressivo, rassicurante, affidabile. È uno dei migliori 21” provati su asfalto, pur se le Bridgestone AX41 sono molto tassellate (per il disegno aggressivo che hanno, fanno miracoli sul bitume). Oltretutto, la protezione dall’aria è totale (solo le vibrazioni agli alti regimi disturbano un po’).
IL FUORISTRADA NON E' IL SUO PANE
Insomma, il veloce è il suo pane: puoi spingere perché la taratura è sostenuta, ci sono pochi cambi di carico, e l’attacco della frenata è tanto invitante... Ti senti, paradossalmente parlando, su una sportiva, ma con una seduta da cucina, eretta. Un cortocircuito (lucida follia). Ecco il punto. A passeggio le preferiresti una moto che costa un quarto (o quasi), nei guidati da terza/quarta e in su, possibilmente di asfalto liscio, non vorresti più scendere. In fuoristrada? Non è il suo habitat. Ingombri e pesi maxi, pedane un po’ avanzate e quella gestione del gas nel primo attacco, la rendono un elefante in cristalleria. Non ha corpo ai bassi regimi, lo cerchi ma non c’è, poi arriva un urlo che, a gestirlo, devi aver vinto almeno una Dakar. Ma forse nemmeno quella…
Ecco, se la sua storia fosse nel manuale del marketing, dovrebbero arrivare a leggerla fino in fondo gli aspiranti laureati. Il suo colpo d’occhio è un colpo al cuore, ma l’utilizzo può riservare molte sorprese. Anche se, alla fine, contano i numeri. E lì, lei ha vinto. Tot pezzi fatti, tot pezzi venduti. È il mercato, bellezza.
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