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Kawasaki Z900 SE e Z900RS SE: la via della ZETA

Carlo Pettinato
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Abbiamo provato le due “Special Edition” della Z900: base e RS. Componentistica più raffinata per due moto diverse nell’aspetto, ma non nel piacere di guida

Ci sono moto e ci sono leggende. Lampi che durano una stagione e modelli che entrano nell’immaginario degli appassionati. E quando una moto, o meglio una famiglia di moto, vive da mezzo secolo e continua a far innamorare generazioni di motociclisti, siamo per forza dalle parti della leggenda. Una leggenda che nasce in Giappone, ad Akashi, sotto il segno della Z.

50 anni di tradizione

È dal 1972 che Kawasaki porta avanti la tradizione delle Z: dalla mitica 900 Z1, sviluppata a fine Anni 60 per il mercato americano e modificata in corso d’opera per rispondere alla sfida posta dall’arrivo dell’altrettanto mitica Honda CB 750 Four. La lettera Z ha poi attraversato gli Anni 80 con le iconiche GPz, gli Anni 90 con le ZX-R e ZRX, è tornata a splendere solitaria a inizio millennio con la Z750 e Z1000 per giungere ad oggi con la incontenibile Z H2 da 200 cavalli.  Ma nel 2022 non c’è solo lei col suo compressore centrifugo, espressione eccessiva e prorompente di quell’idea iniziale di moto superpotente. Sotto c’è tutta una gamma fatta di naked sportive e delle classiche RS, nelle cilindrate di 900 e 650 cm³, che per celebrare il mezzo secolo di vita si arricchisce di nuove versioni. 
Tutte le moto sono ora disponibili nelle versioni 50th Anniversary dalle livree ispirate alle prime Z1, ma anche con migliorie tecniche qui e lì: perché va bene ricordare i fasti, ma bisogna anche badare al sodo. Cosa da cui Kawasaki non ha mai derogato, come dimostrano le due 900 oggetto di questa prova, che nascono sulla base dell’immortale quattro in linea di Akashi ma con declinazioni molto diverse e arricchite da componentistica più raffinata rispetto alle versioni base. Due versioni SE (Special Edition) che abbiamo incontrato in un luogo speciale, speciale proprio per la famiglia Z: Härkingen, tra le colline svizzere a pochi chilometri dal confine tedesco, dove l’importatore elvetico ha negli anni dato vita ad un vero e proprio museo delle Kawasaki con questa lettera nel nome.

Che cos'hanno di speciale

Al colpo d’occhio le due SE sono immediatamente distinguibili dai corrispettivi modelli standard per le livree e per dettagli comunque ben evidenti. In particolare sulla Z900 SE, che sfoggia un brillante candy lime green su telaio e alcune plastiche, svetta nel suo giallo dorato il nuovo monoammortizzatore Öhlins S46 con regolazione del precarico e del ritorno idraulico; c’è poi una nuova taratura per la forcella Showa rovesciata da 41 mm a tripla regolazione, anche lei con foderi anodizzati oro. E per finire un bel paio di pinze freno anteriori Brembo M4.32 ad attacco radiale, che mordono dischi da 300 mm.  Nessun altro aggiornamento particolare su una moto che ruota sempre attorno allo strepitoso quattro cilindri frontemarcia da 948 cm³ e 125 cavalli a 9.500 giri. La sua gestione non è ride-by-wire, ma affidata a una doppia farfalla: una è comandata via cavo dalla manopola destra e l’altra dalla centralina. Grazie a questo sistema la Z900 SE offre la possibilità di scegliere tra quattro diversi riding mode e il controllo di trazione disattivabile. Sempre assente, purtroppo anche dalla lista degli accessori, l’assistenza alla cambiata.
Modifiche analoghe per la fascinosa 900RS, qui in un’elegante abito nero/giallo con cerchi oro (la storica colorazione “Yellow Ball”): monoammortizzatore Öhlins S46 e pinze Brembo. Qui le modifiche alla forcella si limitano all’anodizzazione oro degli steli, mentre resta invariato l’impianto frenante che già sulla RS standard prevede pinze ad attacco radiale. E anche qui nessuna variazione nel propulsore, ammorbidito rispetto alla Z900: i cavalli restano 111 a 8.500 giri. 
 

Z900 SE: la contemporanea

A livello ergonomico queste Special Edition restano fedeli alle sorelle standard, in effetti non cambiano di una virgola. La Z900 SE dà subito l’impressione di essere una moto compatta e corta. Ma i piloti più alti non temano: la posizione di guida è raccolta ma comunque accogliente anche per chi supera il metro e ottanta, con pedane all’altezza corretta e manubrio vicino ma non troppo. Nonostante il motore non sia un fuscello, la moto tra le gambe è larga il giusto e nessun elemento impedisce o infastidisce i movimenti: sembra proprio di stare “dentro”, non sopra. Migliorabile però la copertura della sella, molto scivolosa e che porta a stare seduti sempre molto avanti; l’imbottitura è tuttavia comoda. Nonostante tutte le migliorie al comparto ciclistico, all’avviamento si capisce subito chi sia il protagonista: al centro della scena rimane il quattro in linea made in Akashi. Al minimo è silenzioso, le vibrazioni sono pressoché nulle, la prontezza di risposta al gas è da riferimento. Sin dai primi metri si fa apprezzare per la sua erogazione morbida, lineare, totalmente priva di incertezze e strappi. Nonostante la rapportatura corta e l’assenza di riparo dall’aria, si viaggia in scioltezza fino ai 120-130 chilometri orari.

Il segreto è nell'armonia

La perfetta accoppiata propulsore-cambio (che seppur privo di quickshifter è corto e preciso negli innesti) rende la Z900 davvero di una versatilità disarmante. Si presta alla guida sportiva così come alla marcia rilassata senza battere ciglio. Lo switch mentale del pilota, questo sì, è l’unica variazione necessaria per passare dall’una all’altra. Grazie alla pastosità e alla progressione del quattro cilindri si può guidare quasi come se la trasmissione fosse automatica, anche e soprattutto tra le curve di montagna. È sufficiente scegliere un rapporto e mantenerlo, sfruttando la progressione dai 1.500 giri fino al limitatore. Per capirci, tra i tornanti, magari non proprio tra i più stretti, si riesce a girare in quinta. E vi sorprenderà scoprire quante marce dovrete scalare una volta arrivati ad un semaforo! Tenere una marcia (o due) in più annulla anche il lieve effetto on/off alla prima apertura del gas, che rende preferibile adottare una guida fluida piuttosto che nervosa. Nonostante a livello ciclistico la Z900 SE si confermi una moto corta e reattiva, in realtà è ben bilanciata nell’assetto e offre un bellissimo compromesso tra comfort e precisione per la guida su strada. Sulla Special Edition mono e forcella guadagnano ancora in scorrevolezza, assorbono bene le sconnessioni pur continuando a mantenere la moto composta sugli avvallamenti affrontati a velocità sostenuta. Apprezzabile anche lo step compiuto dall’impianto frenante: le nuove pinze radiali Brembo sono più pronte senza risultare aggressive, e aumentando la pressione sulla leva lo stop arriva più rapido di prima.
 

Z900RS SE: la classica

La Z900RS si basa su alcuni elementi meccanici della Z900 ma si differenzia per molti altri, ed è molto più lontana dalla sorella “contemporanea” di quanto in casa Yamaha la XSR900 lo sia dalla MT-09. Per capirci, questa Kawasaki è più un diverso modello che non una variante estetica: cambiano non solo le sovrastrutture ma anche il telaio, per ospitare il diverso serbatoio, e il telaietto posteriore. Variano di conseguenza le quote, con un interasse più lungo di 15 mm. Sembrano ancora più curate anche le finiture, davvero di livello… giapponese, con una verniciatura precisa e consistente, che ha tutta l’aria di dover durare in eterno. Il propulsore riceve, oltre a modifiche di intonazione, anche una nuova “pelle” esterna, con alette che richiamano quelle dei vecchi “Z” raffreddati ad aria. All’interno del quattro cilindri si registrano poi variazioni in tema di fasatura e alzata delle valvole, rapporto di compressione, anticipo e rapportatura del cambio, più lunga; diversi anche impianto di aspirazione e scarico. Il tutto per donare alla RS un carattere distintivo e più in linea con una modern classic: qualche cavallo in meno ma il medesimo picco di coppia, e a un regime nettamente inferiore.

Due motori da sogno

Tutte queste differenze fanno sì che salendo in sella venga da pensare che la Z900RS SE non abbia proprio nulla in comune con la Z900 SE, e in effetti le diverse sovrastrutture e le modifiche ciclistiche variano sensibilmente l’ergonomia e la posizione di guida. Si sente subito che la moto è più lunga, in sella si sta seduti più distesi, il manubrio è più lontano e più largo e la distanza tra pedane e piano sella è maggiore. In tre parole: è più grande. La sella è più alta e imbottita: qui si sta sopra la moto, non dentro, e tutta l’impostazione è votata più al comfort di marcia che alla sportività, con un carico sull’avantreno decisamente inferiore. Bella e nostalgica la strumentazione con i due strumenti circolari a lancette, mentre l’elettronica è la stessa della Z900. Per il propulsore valgono tutte le lodi già cantate a quello della Z900 SE, ma le modifiche dei tecnici giapponesi sono tutt’altro che inavvertibili. Sempre da riferimento in quanto a fluidità ed elasticità, questa versione del quattro in linea è un po’ più piena ai bassi a fronte di una minore propensione all’allungo. Anche per via dei rapporti più lunghi, appare un po’ meno rapido a salire di giri, comportamento del resto adeguato al carattere di una moto meno aggressiva e più godibile a 360° della Z900, per quanto quest’ultima sia già estremamente sfruttabile. Non ci si faccia però trarre in inganno dalla veste classica, perché questo quattro cilindri resta assai performante e la RS, se vuole, sa tirare fuori gli artigli anche senza bisogno di riding mode. 

Più simili di quanto sembri

Discorso analogo per la ciclistica: l’impostazione di guida è come detto più comoda e meno raccolta, ma non per questo impacciata se si vuole aumentare il ritmo. E venendo allo specifico della SE, anche qui l’upgrade a freni e sospensioni non fa mancare proprio nulla, con una piacevole morbidezza del retrotreno che non diventa mai imprecisione nella risposta. Nel complesso un modello che oltre all’estetica, riuscita al 100%, non si fa mancare contenuti tecnici di qualità, che si riflettono sia a livello di erogazione che di handling.  Queste Special Edition non stravolgono di certo il concetto di moto veloci ma versatili che sono, al di là del diverso aspetto, sia la Z900 che la Z900RS. Le differenze estetiche sono anzi maggiori di quelle dinamiche su queste due moto di alto livello, premiate dal mercato ormai da molti anni e che in versione SE diventano ancora più efficaci ed esclusive. A un prezzo sempre molto competitivo per la Z900 SE venduta a 11.640 euro chiavi in mano; sensibilmente più costosa la Z900RS SE, venduta a 14.090 euro.
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