Harley-Davidson Pan America 1250, new WILD West
C’è qualcosa di nuovo nel segmento delle maxienduro. Qualcosa che non si era mai visto, ma che rimanda a una tradizione di gloriosi esploratori di territori selvaggi. Ecco a voi la Pan America, l’Harley che non c’era. E che funziona sorprendentemente bene. In vendita a partire da 16.300 euro
Indispensabile
La Pan America è rimasta perché se Harley può fare a meno dell’ennesima cruiser o di un secondo modello elettrico, non può assolutamente rinunciare una crossover se vuole sopravvivere nel medio termine. La sua clientela, affezionatissima ma ormai canuta, è sempre meno disposta ad accettare certe caratteristiche Harley come il peso, le difficoltà in manovra, la versatilità limitata. Una risposta si era già vista con l’unificazione delle gamme Dyna e Softail, diventate molto più guidabili e confortevoli; la Pan America dice ora che dopo un secolo di orgogliosa indipendenza, anche la Casa più conservatrice del mondo si è dovuta piegare alla politica di cui gli asiatici sono maestri, e che anche gli altri occidentali hanno ormai imparato: dare alla gente quello che la gente vuole. E la gente oggi vuole moto comode, versatili, belle da guidare e piene di tecnologia digitale. Al momento il piatto migliore uscito da questi ingredienti sono le crossover, e la Pan America è appunto una crossover “born in the USA”, ma pensata per il mercato globale e non solo per gli ultras delle good vibrations. Sotto un aspetto assolutamente controcorrente c’è quindi una moto che è costruita come una moto europea o giapponese e si comporta come una moto europea o giapponese. Un’affermazione che suonerà blasfema ai puristi del marchio, ma che corrisponde alla cruda verità: la cosa più Harley della Pan America è il look, mentre per tutto il resto le differenze con le concorrenti sono più sfumature che differenze sostanziali.Superata la “stranezza” iniziale, la proposta Pan America si rivela decisamente interessante. È una moto che davvero apre nuove strade non solo per gli appassionati di H-D, ma anche per nuovi clienti
Ricetta globale
E del resto non era difficile capirlo guardando il progetto di questa moto. Che è basata su un bicilindrico plurivalvole raffreddato a liquido e con cambio in blocco, a V stretta (60°) con perni di manovella sfalsati di 30° per farlo funzionare come un V90, ma soprattutto full ride-by-wire e con distribuzione bialbero in testa assistita da fasatura variabile sia all’aspirazione che allo scarico. Un propulsore pensato per essere leggero e per girare libero anche ad alti regimi, come dimostrano le misure superquadre (105 x 72 mm), i pistoni forgiati in alluminio, gli estesi trattamenti antiattrito, la distribuzione a levette oscillanti, l’alimentazione con due corpi farfallati verticali, il progetto dei carter che può ricordare KTM, le fusioni in alluminio A354 e i coperchi in magnesio. C’è tutto quello che ci si aspetterebbe da un motore moderno: doppia accensione, frizione antisaltellamento assistita, valvole al sodio, due contralberi (uno nel basamento e uno nella testa anteriore, come sul Rotax/Aprilia della prima Caponord), recupero idraulico dei giochi e via dicendo.Indovinata la posizione in sella, più in stile GS che Multistrada, quindi più “sopra” che “dentro” il corpo moto; nella posizione più alta la sella sfiora i 900 mm, un valore da enduro vera
Born to run
Se al termine di questa descrizione vi siete dimenticati che stiamo parlando di una moto di Milwaukee, salire in sella non ve lo ricorderà di certo. Sì, sui bracciali ci sono i classici pulsantoni neri e la cura delle finiture e della verniciatura è tipicamente Harley; ma una volta avviato il motore inizia, un viaggio tutto nuovo: zero vibrazioni e una voce di scarico diversa, marcata ma a dire il vero non particolarmente personale, visto che i “V90-equivalenti” sono ormai diffusi. Oltre alla voce, il motore Revolution Max non ha particolarità evidenti nel comportamento se non una castagna che fa sembrare corta la rapportatura: in modalità Sport spinge fortissimo e porta in un lampo a 200 km/h, quasi senza vibrazioni ma con una risposta al limite del brusco; forse proprio per attenuare questo aspetto si è optato per un’escursione del comando gas lunghissima. Indovinata la posizione in sella, più in stile GS che Multistrada, quindi più “sopra” che “dentro” il corpo moto; nella posizione più alta la sella sfiora i 900 mm – una quota da Enduro – ed è quasi a filo serbatoio e parafango posteriore. Probabilmente dipende anche dal grande sviluppo verticale del motore, ma di fatto è una sistemazione davvero efficace quando si guida in fuoristrada, pur se riduce un po’ la protezione aerodinamica nonostante il cupolino regolabile in altezza.Non pesantissima in assoluto, forse per via di un’avancorsa un po’ abbondante a passo d’uomo la Pan America trasmette un po’ di pesantezza di sterzo; ma appena si mette la seconda si trasforma in una moto davvero gustosa
Se parliamo di off-road da West americano, con le veloci piste battute che in fondo sono la destinazione naturale di moto di queste proporzioni, allora questa nuova H-D se la gioca sicuramente con le migliori del segmento