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Harley-Davidson Pan America 1250, new WILD West

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C’è qualcosa di nuovo nel segmento delle maxienduro. Qualcosa che non si era mai visto, ma che rimanda a una tradizione di gloriosi esploratori di territori selvaggi. Ecco a voi la Pan America, l’Harley che non c’era. E che funziona sorprendentemente bene. In vendita a partire da 16.300 euro

Quando a metà del 2018 Milwaukee annunciò il suo piano “more roads to Harley-Davidson”, fu difficile non rimanere sconcertati. Dopo un secolo di solide custom in acciaio, evolute senza sosta ma con il contagocce, ecco apparire in un colpo solo tre moto elettriche, un paio di power cruiser all’europea mosse da un bicilindrico a liquido da 150 CV e una imponente crossover che sembrava uscita da una scatola di Lego. Seguirono discussioni arroventate sia all’interno che all’esterno dell’azienda, tanto che l’amministratore delegato è stato nel frattempo sostituito e quel programma profondamente riconsiderato. Un punto fermo, però, è rimasto: la Pan America 1250.

Indispensabile

La Pan America è rimasta perché se Harley può fare a meno dell’ennesima cruiser o di un secondo modello elettrico, non può assolutamente rinunciare una crossover se vuole sopravvivere nel medio termine. La sua clientela, affezionatissima ma ormai canuta, è sempre meno disposta ad accettare certe caratteristiche Harley come il peso, le difficoltà in manovra, la versatilità limitata. Una risposta si era già vista con l’unificazione delle gamme Dyna e Softail, diventate molto più guidabili e confortevoli; la Pan America dice ora che dopo un secolo di orgogliosa indipendenza, anche la Casa più conservatrice del mondo si è dovuta piegare alla politica di cui gli asiatici sono maestri, e che anche gli altri occidentali hanno ormai imparato: dare alla gente quello che la gente vuole. E la gente oggi vuole moto comode, versatili, belle da guidare e piene di tecnologia digitale. Al momento il piatto migliore uscito da questi ingredienti sono le crossover, e la Pan America è appunto una crossover “born in the USA”, ma pensata per il mercato globale e non solo per gli ultras delle good vibrations. Sotto un aspetto assolutamente controcorrente c’è quindi una moto che è costruita come una moto europea o giapponese e si comporta come una moto europea o giapponese. Un’affermazione che suonerà blasfema ai puristi del marchio, ma che corrisponde alla cruda verità: la cosa più Harley della Pan America è il look, mentre per tutto il resto le differenze con le concorrenti sono più sfumature che differenze sostanziali.

Superata la “stranezza” iniziale, la proposta Pan America si rivela decisamente interessante. È una moto che davvero apre nuove strade non solo per gli appassionati di H-D, ma anche per nuovi clienti

Ricetta globale

E del resto non era difficile capirlo guardando il progetto di questa moto. Che è basata su un bicilindrico plurivalvole raffreddato a liquido e con cambio in blocco, a V stretta (60°) con perni di manovella sfalsati di 30° per farlo funzionare come un V90, ma soprattutto full ride-by-wire e con distribuzione bialbero in testa assistita da fasatura variabile sia all’aspirazione che allo scarico. Un propulsore pensato per essere leggero e per girare libero anche ad alti regimi, come dimostrano le misure superquadre (105 x 72 mm), i pistoni forgiati in alluminio, gli estesi trattamenti antiattrito, la distribuzione a levette oscillanti, l’alimentazione con due corpi farfallati verticali, il progetto dei carter che può ricordare KTM, le fusioni in alluminio A354 e i coperchi in magnesio. C’è tutto quello che ci si aspetterebbe da un motore moderno: doppia accensione, frizione antisaltellamento assistita, valvole al sodio, due contralberi (uno nel basamento e uno nella testa anteriore, come sul Rotax/Aprilia della prima Caponord), recupero idraulico dei giochi e via dicendo.
Siglato Revolution Max (e non è difficile capire perché), questo motore eroga 150 CV e 127 Nm di coppia, ed è nato per poter essere usato con funzione portante. Come le ultime BMW GS o Ducati Multistrada V4, infatti, sulla Pan America non esiste un vero e proprio telaio ma tre sottosezioni che supportano la forcella, serbatoio e il telaietto. Le sospensioni sono Showa: forcella rovesciata da 47 mm e mono con leveraggi, per 190 mm di escursione assistita, sulla versione Special, dal sofisticato sistema semiattivo EERA. Ruote da 19” anteriore e 17” posteriore, freni Brembo con dischi da 320 mm e pinze monoblocco radiali davanti e un disco singolo posteriore da 280 mm. Abbondanti le quote, con interasse di 1.580 mm (1.504 mm la GS Adventure, 1.525 mm la GS e 1.567 mm la Multistrada V4) e sella posta a ben 868/894 mm; nella media l’inclinazione cannotto posta a 25° e la capienza del serbatoio di 21 litri.
Più che completa anche la dotazione elettronica, che può contare su 5 riding mode più uno personalizzabile (tre sulla Special), controllo di trazione e ABS cornering grazie alla presenza di una piattaforma inerziale; regolabile anche il freno motore. I fari sono full led (e cornering sulla Special), e a gestire il tutto provvede un display touch TFT da 6,8” dalla splendida fattura. Oltre alle sospensioni attive, la versione Special offre il TPMS, il cavalletto centrale, il pedale freno posteriore regolabile, la piastra paramotore e le protezioni tubolari, le manopole riscaldate e l’ammortizzatore di sterzo. Tra le solite tonnellate di optional segnaliamo almeno i cerchi a raggi e, per la Special, la prima mondiale del sistema ARH di Showa che abbinato alle sospensioni attive abbassa automaticamente fino a 5 cm il corpo moto quando ci si ferma.

Indovinata la posizione in sella, più in stile GS che Multistrada, quindi più “sopra” che “dentro” il corpo moto; nella posizione più alta la sella sfiora i 900 mm, un valore da enduro vera

Born to run

Se al termine di questa descrizione vi siete dimenticati che stiamo parlando di una moto di Milwaukee, salire in sella non ve lo ricorderà di certo. Sì, sui bracciali ci sono i classici pulsantoni neri e la cura delle finiture e della verniciatura è tipicamente Harley; ma una volta avviato il motore inizia, un viaggio tutto nuovo: zero vibrazioni e una voce di scarico diversa, marcata ma a dire il vero non particolarmente personale, visto che i “V90-equivalenti” sono ormai diffusi. Oltre alla voce, il motore Revolution Max non ha particolarità evidenti nel comportamento se non una castagna che fa sembrare corta la rapportatura: in modalità Sport spinge fortissimo e porta in un lampo a 200 km/h, quasi senza vibrazioni ma con una risposta al limite del brusco; forse proprio per attenuare questo aspetto si è optato per un’escursione del comando gas lunghissima. Indovinata la posizione in sella, più in stile GS che Multistrada, quindi più “sopra” che “dentro” il corpo moto; nella posizione più alta la sella sfiora i 900 mm – una quota da Enduro – ed è quasi a filo serbatoio e parafango posteriore. Probabilmente dipende anche dal grande sviluppo verticale del motore, ma di fatto è una sistemazione davvero efficace quando si guida in fuoristrada, pur se riduce un po’ la protezione aerodinamica nonostante il cupolino regolabile in altezza.

Non pesantissima in assoluto, forse per via di un’avancorsa un po’ abbondante a passo d’uomo la Pan America trasmette un po’ di pesantezza di sterzo; ma appena si mette la seconda si trasforma in una moto davvero gustosa

Abbiamo guidato solo la Special, e le sospensioni elettroniche Showa si confermano pazzesche. Hanno un range molto ampio, riuscendo ad essere rigidissime nella versione Sport e morbidissime in fuoristrada; unita a una variazione altrettanto ampia di erogazione e freno motore con i riding mode, rendono la Pan America la moto che abbiamo provato che cambia più carattere tra un mode e l’altro. Lato ciclistico, senti che è un po’ diversa dalle concorrenti solo nelle prime curve, specie se vai piano. Non pesantissima in assoluto (242 kg in ordine di marcia, 253 kg la Special), forse per via di un’avancorsa un po’ abbondante (108 mm) a passo d’uomo la Pan America trasmette un po’ di pesantezza di sterzo; ma appena si mette la seconda si trasforma in una moto davvero gustosissima. In particolare sul misto guidato, dove la combinazione tra la spinta del motore e l’eccellenza del comparto sospensioni la rendono un’autentica goduria, specie nella mappa Touring che stempera la rabbia del 1250 americano conservando però la capacità di limitare i trasferimenti di carico del sistema EERA, che in certe occasioni sembra quasi un Telelever. E anche nello stretto, come ad esempio nei tornanti, la senti forse un po’ lunga ma mai pesante.

Se parliamo di off-road da West americano, con le veloci piste battute che in fondo sono la destinazione naturale di moto di queste proporzioni, allora questa nuova H-D se la gioca sicuramente con le migliori del segmento

Non teme l’off-road

Anche in fuoristrada la Pan America si difende niente male: peccato per le leve al manubrio “da Harley”, molto grosse e che rendono difficile guidare azionandole con un dito o due come si fa di solito; viceversa, le pedane sono un po’ piccole se si guida con gli stivali. In generale comunque l’amalgama tra telaio, sospensioni elettroniche, motore e trasmissione funziona bene anche qua: abbiamo fatto un percorso non particolarmente complesso, ma senza riscontrare alcun limite se non il neo del peso piazzato un po’ in alto. Poi certo: con 250 kg tra le gambe, come con tutte le maxi devi fare attenzione a non spostare troppo il peso fuori dall’impronta a terra, perché dopo fatichi a riprenderla. Ma se parliamo di off-road da West americano, con le veloci piste battute che in fondo sono la destinazione naturale di moto di queste proporzioni, allora questa nuova H-D se la gioca sicuramente con le migliori del segmento. Soprattutto, la Pan America centra l’obiettivo della versatilità, che è già veramente al top: sa essere comoda e paciosa per i passisti, feroce per chi vuole limare le pedane e a suo agio anche in off-road. È tutto quello che non ti aspetti da un’Harley, ma è pur sempre un’Harley nel colpo d’occhio. È bella? È brutta? Il giudizio estetico lo darà la storia, come è avvenuto per altre moto di rottura come la Monster o la GS; di sicuro è diversa, originale, fatta molto bene e funziona molto bene. Costruita come una moto mainstream, costa anche come una moto mainstream: si parte da 16.300 euro, 18.700 euro la Special, prezzi bassi in assoluto per una moto con queste dotazioni, e addirittura stracciati rispetto ai livelli Harley. Superata la “stranezza” iniziale, la proposta Pan America si rivela quindi decisamente interessante. È una moto che davvero apre nuove strade non solo per gli appassionati di H-D, ma anche per nuovi clienti.
Harley-Davidson Pan America 1250, new WILD West
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