Anteprime
Triumph Rocket III: go big or go home
Provate sulle strade di Tenerife le nuove Triumph Rocket 3, sia nella versione GT (Gran Turismo) sia in quella R (Roadster). Il risultato? È di quelli che non si dimenticano
Per descrivere la Triumph Rocket 3 bastano pochi semplici numeri: 2.500, come la cilindrata del motore tre cilindri più grande di sempre; 221, come i Nm di coppia brutale sprigionati a 4.000 giri; 167 come i cavalli di cui è dotato questo incrociatore inglese a 6.500 giri.
In un mondo dell’automotive che fa del downsizing la sua religione, a Hinckley non si sono fatti certo problemi ad aumentare la cilindrata di questo motore che, of course, è il cuore e l’anima della Rocket 3. Raffreddato a liquido e con doppio albero a camme in testa, è un tre cilindri in linea montato in maniera longitudinale. Per rendere bene l’idea, è come se oltre la Manica avessero montato tre mono di 800 cc, e anche un po’ di più, uno in fila all’altro. Il risultato finale è straordinario, regale, un mix di maestosità ed eleganza, di abbondanza e muscolosità. Il padrone incontrastato è lui, soprattutto sul lato destro, dove lo scarico ha tre monumentali collettori idroformati che, dopo essere passati nel catalizzatore, sfociano nel silenziatore a tre uscite, con due terminali sul lato destro e uno sul sinistro.
Soprattutto grazie allo scarico, è senza dubbio il destro il lato più intrigante: questa vista laterale, infatti, regala un colpo d’occhio magico, fatto sia di possenza sia di ricercata essenzialità nella zona posteriore, dove la coda corta rende ancora più grande il gigantesco pneumatico da 240 mm a spalla alta.
IL MOTORE
Ma torniamo al cuore, al triple. Che rispetto alla vecchia Rocket ha l’11% di potenza in più e oltre 18 chili in meno, grazie a un profuso lavoro di riduzione delle masse, a partire dai nuovi carter, e ha in più i contralberi di bilanciamento e un nuovo sistema di lubrificazione a carter secco. Utilizzare un motore così esagerato significa stressare tutto il gruppo cambio/frizione/ trasmissione. Ecco quindi una frizione Brembo a coppia assistita, abbinata a un cambio a sei rapporti a ingranaggi elicoidali (che garantisce una presa costante grazie a una maggiore superfice di attrito rispetto a un ingranaggio a denti dritti) e una trasmissione finale a cardano.LA CICLISTICA
Tutto nuovo il telaio in alluminio (che nella zona del cannotto di sterzo è una vera scultura), così come il cardano dalle pregevoli finiture e, stesso discorso, per le sospensioni Showa: al posteriore il mono disassato è completamente regolabile, mentre all’anteriore la forcella è una USD da 47 mm regolabile in compressione ed estensione. Al posteriore la gigantesca gomma è alloggiata in un cerchio forgiato multi razze da 16 pollici (raffinato soprattutto sulla versione GT dove è anche lavorato a macchina), mentre all’anteriore la gomma da 150 mm è imbrigliata in un cerchio da 17 pollici. Parlando di anteriore non si può non citare il ricco impianto frenante Brembo con doppio disco da 320 mm, pinze M4.30 Stylema radiali monoblocco a 4 pistoncini e, immancabile, il Cornering ABS. Quest’ultimo e il Cornering Traction Control “lavorano” grazie al dialogo con la piattaforma inerziale IMU sviluppata insieme a Continental. Insomma, un pacchetto elettronico ricco, a cui si sommano la strumentazione TFT a colori di seconda generazione, quattro riding mode (Road, Rain, Sport e custom), fari anteriori a led con DRL, Hill Hold Control (che permette di gestire al meglio le ripartenze in salita), l’accensione Keyless con il relativo bloccasterzo elettronico e la presa USB da 5V sotto la sella. E se tale opulenza non dovesse bastare, la lunga lista di optional prevede anche il Triumph Shitf Assist (per cambiare senza l’uso della frizione), il sistema integrato GoPro, il My Triumph app e tante altre chicche, oltre ai più di 50 accessori disponibili nel catalogo ufficiale.LE FINITURE
Gli Uomini di Hinckley nell’ultimo periodo ci hanno abituato molto bene in fatto di finiture, soprattutto per come sono bravi a “nascondere” la tecnologia per non inficiare la purezza della linea. Bene: sulla Rocket 3 questo concetto è spostato ancora un po’ più là. Non c’è niente fuori posto, non c’è dettaglio che non sia curato, non c’è pezzo di alluminio che non sia spazzolato o altro particolare che possa sporcare la linea della moto; basta guardare gli inserti in alluminio nella zona bassa della sella, capaci di creare continuità con il telaio, le pedane del passeggero a scomparsa, o la pulizia maniacale nella zona del manubrio, dove tutti cavi elettrici passano all’interno dello stesso.LE DIFFERENZE TRA R E GT
Se nella mente degli uomini Triumph la R è una roadster muscolosa mentre la GT è una cruiser ad alte prestazioni, all’atto pratico le due moto si differenziano per non poche cose: la R monta un manubrio “flat bar”, la GT un più turistico “beach bar” e un piccolo plex; anche la seduta, più comoda sulla GT, sulla R è più alta (773 mm vs 750 mm). Diversa anche la posizione delle pedane, più avanzate e con tripla regolazione orizzontale sulla GT (-25 mm/0/+25 mm); verticale, invece, la regolazione delle stesse sulla R (0/-15 mm). Anche i colori cambiano: nero per entrambe, la R è disponibile anche in rosso mentre la GT in grigio/nero/rosso.COME VANNO LA “R” e la “GT”
Abbiamo provato le nuove Triumph Rocket 3 lungo le strade di Tenerife per circa 200 km, per cui con asfalto in buone condizioni e dal grande grip, panorami mozzafiato e curve di ogni tipo. Prendere contatto con la Rocket 3 è una vera e propria esperienza: da fermo sorprende, perché quando la alzi dal cavalletto non senti la maestosità dei suoi 300 kg abbondanti in ordine di marcia. La prima che ho avuto il piacere di inforcare è la più turistica GT, con pedane avanzate, manubrio ampio e rivolto all’indietro e una sella capace di creare un piacevole “scalino contenitivo” con la seduta del passeggero. Chiave in tasca e pollice destro sullo switch dell’avviamento: il gigantesco triple si mette in moto. Nonostante un timbro di scarico fin troppo educato, è evidente che sotto le proprie chiappe stia pulsando qualcosa di sconosciuto, sia per dimensione sia per carattere. Prima dentro, si va. Dopo una breve strada di raccordo ad alto scorrimento, dove la Rocket 3 viaggia spedita, iniziamo ad arrampicarci lungo i neri nastri di asfalto che portano verso la cima del vulcano Teide. Ed è qui che “misuriamo” la moto. Iniziamo ad accelerare, ad entrare in sintonia con il triple: la curiosità è alta, anche perché ad ogni colpo di gas lui risponde con vemenza, ma senza quella violenza che ti aspetteresti da un “duemilaecinque” montato dentro al telaio di una moto. Lui c’è, presentissimo, ma a sorprendere non è tanto la potenza pura quanto l’immensa coppia, che teletrasporta da A a B ad ogni accelerata, mentre si è accompagnati da un sound meccanico presente e libidinoso a livello di aspirazione e di meccanica ma che avremmo desiderato più “ignorante” allo scarico. È una bomba questo bialbero, che per come “gira” sembra ricordare alcuni motori automobilistici: spinge fino ai 6.000 giri, ma la vera libidine è tutta tra i 2.500 e i 4.500, dove cilindrata e coppia scrivono un piccolo trattato su quanto sia bella la purezza della meccanica. In questo regime il motore è pieno oltre ogni limite, traboccante di esuberanza ma comunque gestibile. La bravura degli uomini Triumph nella progettazione e produzione di questa moto è stata quella di rendere tutto armonico e di costruire una ciclistica in linea con le caratteristiche di questo motore.
La Rocket 3 infatti è una moto che va assecondata nella guida, una di quelle creature che ama essere condotta in maniera morbida e gentile, che non vuole essere strapazzata con violenza: se portata a spasso così, lei ti concede tutto. Oltre al dritto il suo pane sono i lunghi curvoni veloci, dove una volta trovata la linea lei sta lì, piantata a terra come un treno su un binario. In generale, anche nei destra/sinistra affrontati raccordano le curve la Rocket 3 è sincera, basta arrivare al giusto feeling con l’avantreno, cosa che con una gomma da 150 mm all’anteriore non è così immediato come avviene con moto dalla gommatura meno “estrema”.
Aumentando il ritmo, invece, la Rocket 3 diventa più impegnativa per tre motivi: ha tanto peso, tanti cavalli e un avantreno che quando la guida inizia farsi più incazzata tende ad allargare un po’ la traiettoria. In queste condizioni richiede un po’ di perizia e di esperienza, perché fare correzioni in curva con una moto da oltre 300 chili e dal lungo interasse non è semplice. Abbiamo portato la Rocket 3 anche ad andature che non si conciliano propriamente a questo concept, che non è certo nato per aggredire le curve in maniera iper aggressiva: forzando molto nel misto stretto, soprattutto sulla versione GT, il feeling con l’avantreno diminuisce un po’; migliore invece la situazione sulla R, dove la posizione in sella permette di caricare e di “sentire” di più l’avantreno, sia grazie al manubrio più basso e avanzato sia alle pedane molto più arretrate rispetto alla versione GT.
Detto questo, se non si forza troppo la guida dà parecchia soddisfazione ed è anche svelta: da gusto, perché oltre al motore il pacchetto frizione/cambio/trasmissione è qualcosa di sublime, soprattutto se si pensa che ha l’onere di imbrigliare un motore gigantesco e tutte le prestazioni che si porta dietro. E poi da gusto perché nonostante la massa per fermarsi basta un dito, e questo vuol dire sicurezza: l’anteriore Brembo è qualcosa di divino, abbina una grande potenza a un ottimo feeling con la leva, mentre al posteriore è necessario usare un po’ di dolcezza visto che l’ABS interviene di frequente. Altro plus, per quel che riguarda gusto e piacere di guida, arriva dalle sospensioni, di qualità, che regalano comfort e sostegno.