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Yamaha YZF-R1 e YZF-R1M: la MotoGP targata
di Andrea Padovani
il 02/03/2015 in Anteprime
Sulla pista australiana di Eastern Creek abbiamo provato la nuova Yamaha YZF-R1 nella doppia versione base e M. Tra le giapponesi è sicuramente la sportiva di riferimento e sfida ad armi pari le europee grazie a contenuti tecnologici raffinati e una guida da MotoGP. Già disponibile la versione base a 18.690 euro c.i.m., quasi esaurita la versione M (23.190 euro)
Yamaha YZF-R1 e YZF-R1M: la MotoGP targata
Le curva sinistrosa che immette sul rettilineo principale di Eastern Creek non è tra le più semplici da affrontare. Si arriva da un allungo in cui si spreme la quarta, si scala in terza, si stacca con la moto piegata a destra; quindi si butta la moto a sinistra con il retrotreno scarico che galleggia paurosamente nell’aria. Poi, in piega, si allarga la traiettoria quasi a cercare il cordolo esterno come sponda. In quell’attimo occorre imporsi di aspettare per ributtarsi verso il punto di corda. Poi. proprio lì, quando il ginocchio sfiora l’erba, occorre spalancare il gas con rabbia, senza troppe remore, per volare sul rettilineo successivo. Più facile a dirsi che a farsi quando tra le gambe ci sono 200 CV. Bisogna violentarsi, fidarsi di quello che dicono gli ingegneri… “con questa R1 basta ruotare l’acceleratore, al resto pensa tutto l’elettronica!”.
La nuova Yamaha YZF-R1 nasce così, da un foglio bianco, senza compromesso alcuno; l’unico obiettivo dei progettisti era la prestazione pura , i tempi sul giro. Per raggiungere questo risultato, in Giappone hanno approfittato di tutto il know-how acquisito in anni di MotoGP, travasando su questa sportiva tutta la loro conoscenza. Dimenticate quindi la vecchia R1, con questa la Yamaha entra in una nuova era.
Compatta, affilata, forse non bellissima come altre rivali di categoria, certamente sofisticata e veloce come poche: questa nuova maxi è un concentrato incredibile di soluzioni tecniche ed elettroniche. E stiamo parlando della versione base! Come non bastasse questa, infatti, c’è anche quella “prontogara” battezzata M, ancor più esclusiva e sofisticata. Ma andiamo con ordine…
Prestazioni, velocità, tempi sul giro: per raggiungere questi obbiettivi in Yamaha hanno creato una moto estrema. Il telaio ad esempio è un doppio trave diagonale che "avvolge" letteralmente il quattro cilindri di 998 cc nella parte superiore.
Quest'ultimo è inedito in tutto e per tutto: rimane come in passato l'albero motore "crossplane", con la sequenza degli scoppi "irregolare" (270°-180°-90°-180°), soluzione che garantisce un’erogazione favorevole della coppia e una migliore “connessione” tra comando del gas e risposta del quattro cilindri. Per il resto non c'è nulla in comune. Inediti l'alesaggio e la corsa, la distribuzione (con l'introduzione di bilancieri a dito), le bielle (in titanio e ottenute per "frattura") e il sistema di alimentazione con nuovi iniettori primari e secondari. L'air-box è più grande del 24% ed è dotato di una valvola parzializzatrice per ottimizzare i flussi; i cornetti di aspirazione al suo interno sono ad altezza variabile. Lo scarico (in titanio) è invece dotato della immancabile valvola EXUP. Non manca la frizione antisaltellamento.
La nuova R1 insomma non condivide un bullone con la vecchia: telaio, motore, elettronica, componentistica sono frutto di un progetto nuovo. Massima guidabilità, massima potenza: le dimensioni complessive sono contenutissime, così come il peso. Le quote ciclistiche sono radicali, le sovrastrutture ridotte ai minimi termini. Questa moto è accreditata di una potenza di ben 200 CV, tale da risultare difficile da gestire senza l’aiuto dell’ormai immancabile elettronica.
Qui si apre un capitolo davvero ampio e complesso. Il sistema di gestione è ovviamente imperniato sulla centralina che amministra tutti i controlli, tutti regolabili in base alla richieste del pilota: stiamo parlando del Power Delivery mode (PWR), ovvero la modalità con cui si aprono le valvole a farfalla dell’alimentazione che determina anche la potenza massima erogata, del traction control (TCS), dell’antimpennata (LIF) e dell’ABS (di tipo “cornering”, in grado di funzionare anche alle massime inclinazioni). Ai sistemi di gestione elencati ne vanno aggiunti altri due non certo secondari: lo Slide Control system (SCS) e le sospensioni “elettroniche2 (installate però solo sulla R1M). Il primo – una novità nel segmento delle sportive - è il sistema che gestisce la derapata in accelerazione in uscita di curva, il secondo invece varia in tempo reale la taratura idraulica del mono e della forcella Ohlins (la R1 base monta tradizionali elementi KYB) in funzione dello stile di guida e delle caratteristiche della pista.
Tutta l’elettronica della nuova R1 non funzionerebbe in maniera così raffinata se la centralina non ricevesse informazioni dall’IMU (Inertial Measurement Unit), la piattaforma inerziale che per la prima volta su una moto stradale è del tipo a sei assi: questa fornisce informazioni sulle accelerazioni e sulle velocità angolari, dati che sono elaborati dalla centralina in concomitanza con quelli provenienti dalle ruote e dal motore. In questo contesto esclusivo risultano quasi secondari il Launch Control e il quick shift (quest’ultimo funziona però solo in inserimento e non in scalata… purtroppo) montati di serie.
Compatta, affilata, forse non bellissima come altre rivali di categoria, certamente sofisticata e veloce come poche: questa nuova maxi è un concentrato incredibile di soluzioni tecniche ed elettroniche. E stiamo parlando della versione base! Come non bastasse questa, infatti, c’è anche quella “prontogara” battezzata M, ancor più esclusiva e sofisticata. Ma andiamo con ordine…
Prestazioni, velocità, tempi sul giro: per raggiungere questi obbiettivi in Yamaha hanno creato una moto estrema. Il telaio ad esempio è un doppio trave diagonale che "avvolge" letteralmente il quattro cilindri di 998 cc nella parte superiore.
Quest'ultimo è inedito in tutto e per tutto: rimane come in passato l'albero motore "crossplane", con la sequenza degli scoppi "irregolare" (270°-180°-90°-180°), soluzione che garantisce un’erogazione favorevole della coppia e una migliore “connessione” tra comando del gas e risposta del quattro cilindri. Per il resto non c'è nulla in comune. Inediti l'alesaggio e la corsa, la distribuzione (con l'introduzione di bilancieri a dito), le bielle (in titanio e ottenute per "frattura") e il sistema di alimentazione con nuovi iniettori primari e secondari. L'air-box è più grande del 24% ed è dotato di una valvola parzializzatrice per ottimizzare i flussi; i cornetti di aspirazione al suo interno sono ad altezza variabile. Lo scarico (in titanio) è invece dotato della immancabile valvola EXUP. Non manca la frizione antisaltellamento.
La nuova R1 insomma non condivide un bullone con la vecchia: telaio, motore, elettronica, componentistica sono frutto di un progetto nuovo. Massima guidabilità, massima potenza: le dimensioni complessive sono contenutissime, così come il peso. Le quote ciclistiche sono radicali, le sovrastrutture ridotte ai minimi termini. Questa moto è accreditata di una potenza di ben 200 CV, tale da risultare difficile da gestire senza l’aiuto dell’ormai immancabile elettronica.
Qui si apre un capitolo davvero ampio e complesso. Il sistema di gestione è ovviamente imperniato sulla centralina che amministra tutti i controlli, tutti regolabili in base alla richieste del pilota: stiamo parlando del Power Delivery mode (PWR), ovvero la modalità con cui si aprono le valvole a farfalla dell’alimentazione che determina anche la potenza massima erogata, del traction control (TCS), dell’antimpennata (LIF) e dell’ABS (di tipo “cornering”, in grado di funzionare anche alle massime inclinazioni). Ai sistemi di gestione elencati ne vanno aggiunti altri due non certo secondari: lo Slide Control system (SCS) e le sospensioni “elettroniche2 (installate però solo sulla R1M). Il primo – una novità nel segmento delle sportive - è il sistema che gestisce la derapata in accelerazione in uscita di curva, il secondo invece varia in tempo reale la taratura idraulica del mono e della forcella Ohlins (la R1 base monta tradizionali elementi KYB) in funzione dello stile di guida e delle caratteristiche della pista.
Tutta l’elettronica della nuova R1 non funzionerebbe in maniera così raffinata se la centralina non ricevesse informazioni dall’IMU (Inertial Measurement Unit), la piattaforma inerziale che per la prima volta su una moto stradale è del tipo a sei assi: questa fornisce informazioni sulle accelerazioni e sulle velocità angolari, dati che sono elaborati dalla centralina in concomitanza con quelli provenienti dalle ruote e dal motore. In questo contesto esclusivo risultano quasi secondari il Launch Control e il quick shift (quest’ultimo funziona però solo in inserimento e non in scalata… purtroppo) montati di serie.
In pista
Il rettilineo di Eastern Creek dura un lampo, giusto il tempo di scalare due marce e buttarsi dentro al primo curvone da quarta, a oltre 200 km/h, dopo il traguardo. La nostra esperienza con la R1 inizia dalla versione base che fin dai primi giri si dimostra una moto estrema, per piloti veri ed esperti. Non dà molta confidenza questa maxi, un po’ per la posizione di guida caricata sul davanti e caratterizzata da semimanubri piuttosto stretti ed angolati, un po’ per la taratura rigida delle sospensioni scelta per il test sulla pista Australiana, in molti tratti sconnessa.
Sta di fatto che prendere il ritmo giusto non è facile… occorre qualche turno per lasciarsi andare, comprendere la moto e le sue reazioni. L’R1 è infatti una scheggia in inserimento, talmente tanto veloce che spesso ci si ritrova a dover correggere la linea per non curvare sul cordolo. Allo stesso modo cambia traiettoria con rapidità e naturalezza disarmanti e le varianti diventano una formalità da affrontare senza sforzo alcuno. Solo alle massime inclinazioni, dove la pista magari si presenta un po’ sconnessa, abbiamo registrato un certo nervosismo dello sterzo e una larvata tendenza ad allargare dalla traiettoria ideale quando si cerca di chiudere la linea. Nulla di irreparabile, però, visto che sono bastati un paio di ritocchi alla taratura della forcella (un paio di giri in meno di precarico) e al mono per migliorare decisamente la situazione: la moto infatti risulta molto sensibile alle regolazioni e la strada imboccata con questo setting è sembrato da subito quella giusta. Anche perché le gomme installate sulla R1 base certo non aiutano: le Bridgestone Battlax RS10R (pneumatico sportivo stradale) offrono un grip sì elevato, ma non all’altezza delle prestazioni “super” della moto. Di questo ce ne siamo resi conto di lì a poche ore una volta testate le V02 slick sulla R1M.
Il motore invece è da pelle d’oca. La risposta nella mappa più cattiva - la 1 del PWR - sulle prime risulta fin troppo aggressiva tanto che abbiamo presto optato per la 2, leggermente meno decisa alle piccole aperture del gas, quando si riprende in mano l’acceleratore a centro curva. Il resto è puro spettacolo: l’erogazione è piena e lineare anche ai medi, l’allungo deciso e imperioso. Il quattro cilindri è un uragano a livello di spinta, ed è gestito da una elettronica già a un ottimo livello di messa a punto. Basta avere il coraggio di tenere aperto in uscita di curva. L’intervento del traction è molto discreto, il sistema che permette di derapare ben tarato, l’antimpennata non proprio dolcissimo come quello di alcune rivali (leggi Aprilia RSV4…) ma comunque efficientissimo.
Avremmo invece preteso qualcosina di più dal cambio e dai freni. Il primo si è rivelato solo “normale”, senza pregi o difetti, ma manca del quick shift in scalata: provato una volta (su Ducati e BMW), non se ne farebbe più a meno… Anche i freni non ci sono sembrati all’altezza della qualità globale: mancano un po’ di mordente e di feeling… seppur assistiti da un ABS la cui presenza è quasi inavvertibile.
Volete il massimo dalla R1? Allora procuratevi una “M”. Libidine pura. L'esclusività della YZF-R1M trova riscontro nei dettagli di pregio come la carenatura in carbonio e il serbatoio in alluminio spazzolato, lo stesso trattamento superficiale riservato al forcellone. Rispetto alla versione base cambia anche la misura del pneumatico posteriore (200/55-ZR17 al posto del 190/55). Nel pacchetto racing della "M" è compreso anche un corso di guida sportiva con piloti Yamaha.
La R1M è dotata anche di un sistema di acquisizione dati denominato Yamaha Communication Control Unit: il CCU (dotato di WiFi) impiega i sensori della moto, la centralina e un GPS per registrare tutta una serie di parametri analizzabili a posteriori mediante delle App dedicate. Tra questi i tempi sul giro, la velocità, l'apertura del gas, l'angolo di piega, le traiettorie in pista. le App citate consentono anche di variare i alcuni parametri di funzionamento, come i riding mode, la taratura delle sospensioni elettroniche o il traction control.
Nella versione "M" le sospensioni di serie lasciano il posto a quelle a gestione elettronica Öhlins (ERS - Electronic Racing Suspension). La piattaforma inerziale IMU e i vari sensori della moto dialogano costantemente con la SCU (Suspension Control Unit) che a sua volta adegua in tempo reale la taratura idraulica della forcella e del mono allo stile di guida e alle condizioni della pista. Il funzionamento delle sospensioni può essere gestito mediante la maschera di configurazione del cruscotto secondo "tendenze" preimpostate o usando tarature fisse.
Ma come va questa moto? Le Ohlins a controllo elettronico sono meravigliose quanto a funzionamento e sensibilità: offrono una scorrevolezza sulle asperità da riferimento e gestiscono alla meraviglia i trasferimenti di carico. La stabilità in piega è elevatissima, così come la precisione, senza che nulla venga perso in termini di maneggevolezza. In tutto questo un contributo fondamentale arriva dalle Bridgestone V02 slick, capaci di esaltare le prestazioni di questa moto, portandola ad un livello da vera SBK. Ora non resta che metterla vicina alle altre maxi sportive e capire quanto vale. La sfida si fa infuocata!
Il rettilineo di Eastern Creek dura un lampo, giusto il tempo di scalare due marce e buttarsi dentro al primo curvone da quarta, a oltre 200 km/h, dopo il traguardo. La nostra esperienza con la R1 inizia dalla versione base che fin dai primi giri si dimostra una moto estrema, per piloti veri ed esperti. Non dà molta confidenza questa maxi, un po’ per la posizione di guida caricata sul davanti e caratterizzata da semimanubri piuttosto stretti ed angolati, un po’ per la taratura rigida delle sospensioni scelta per il test sulla pista Australiana, in molti tratti sconnessa.
Sta di fatto che prendere il ritmo giusto non è facile… occorre qualche turno per lasciarsi andare, comprendere la moto e le sue reazioni. L’R1 è infatti una scheggia in inserimento, talmente tanto veloce che spesso ci si ritrova a dover correggere la linea per non curvare sul cordolo. Allo stesso modo cambia traiettoria con rapidità e naturalezza disarmanti e le varianti diventano una formalità da affrontare senza sforzo alcuno. Solo alle massime inclinazioni, dove la pista magari si presenta un po’ sconnessa, abbiamo registrato un certo nervosismo dello sterzo e una larvata tendenza ad allargare dalla traiettoria ideale quando si cerca di chiudere la linea. Nulla di irreparabile, però, visto che sono bastati un paio di ritocchi alla taratura della forcella (un paio di giri in meno di precarico) e al mono per migliorare decisamente la situazione: la moto infatti risulta molto sensibile alle regolazioni e la strada imboccata con questo setting è sembrato da subito quella giusta. Anche perché le gomme installate sulla R1 base certo non aiutano: le Bridgestone Battlax RS10R (pneumatico sportivo stradale) offrono un grip sì elevato, ma non all’altezza delle prestazioni “super” della moto. Di questo ce ne siamo resi conto di lì a poche ore una volta testate le V02 slick sulla R1M.
Il motore invece è da pelle d’oca. La risposta nella mappa più cattiva - la 1 del PWR - sulle prime risulta fin troppo aggressiva tanto che abbiamo presto optato per la 2, leggermente meno decisa alle piccole aperture del gas, quando si riprende in mano l’acceleratore a centro curva. Il resto è puro spettacolo: l’erogazione è piena e lineare anche ai medi, l’allungo deciso e imperioso. Il quattro cilindri è un uragano a livello di spinta, ed è gestito da una elettronica già a un ottimo livello di messa a punto. Basta avere il coraggio di tenere aperto in uscita di curva. L’intervento del traction è molto discreto, il sistema che permette di derapare ben tarato, l’antimpennata non proprio dolcissimo come quello di alcune rivali (leggi Aprilia RSV4…) ma comunque efficientissimo.
Avremmo invece preteso qualcosina di più dal cambio e dai freni. Il primo si è rivelato solo “normale”, senza pregi o difetti, ma manca del quick shift in scalata: provato una volta (su Ducati e BMW), non se ne farebbe più a meno… Anche i freni non ci sono sembrati all’altezza della qualità globale: mancano un po’ di mordente e di feeling… seppur assistiti da un ABS la cui presenza è quasi inavvertibile.
Volete il massimo dalla R1? Allora procuratevi una “M”. Libidine pura. L'esclusività della YZF-R1M trova riscontro nei dettagli di pregio come la carenatura in carbonio e il serbatoio in alluminio spazzolato, lo stesso trattamento superficiale riservato al forcellone. Rispetto alla versione base cambia anche la misura del pneumatico posteriore (200/55-ZR17 al posto del 190/55). Nel pacchetto racing della "M" è compreso anche un corso di guida sportiva con piloti Yamaha.
La R1M è dotata anche di un sistema di acquisizione dati denominato Yamaha Communication Control Unit: il CCU (dotato di WiFi) impiega i sensori della moto, la centralina e un GPS per registrare tutta una serie di parametri analizzabili a posteriori mediante delle App dedicate. Tra questi i tempi sul giro, la velocità, l'apertura del gas, l'angolo di piega, le traiettorie in pista. le App citate consentono anche di variare i alcuni parametri di funzionamento, come i riding mode, la taratura delle sospensioni elettroniche o il traction control.
Nella versione "M" le sospensioni di serie lasciano il posto a quelle a gestione elettronica Öhlins (ERS - Electronic Racing Suspension). La piattaforma inerziale IMU e i vari sensori della moto dialogano costantemente con la SCU (Suspension Control Unit) che a sua volta adegua in tempo reale la taratura idraulica della forcella e del mono allo stile di guida e alle condizioni della pista. Il funzionamento delle sospensioni può essere gestito mediante la maschera di configurazione del cruscotto secondo "tendenze" preimpostate o usando tarature fisse.
Ma come va questa moto? Le Ohlins a controllo elettronico sono meravigliose quanto a funzionamento e sensibilità: offrono una scorrevolezza sulle asperità da riferimento e gestiscono alla meraviglia i trasferimenti di carico. La stabilità in piega è elevatissima, così come la precisione, senza che nulla venga perso in termini di maneggevolezza. In tutto questo un contributo fondamentale arriva dalle Bridgestone V02 slick, capaci di esaltare le prestazioni di questa moto, portandola ad un livello da vera SBK. Ora non resta che metterla vicina alle altre maxi sportive e capire quanto vale. La sfida si fa infuocata!
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