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Moto & Scooter

Top & Flop: i gioielli e passi falsi di MV Agusta

Carlo Pettinato
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Top & Flop: i gioielli e passi falsi di MV Agusta
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Top & Flop: i gioielli e passi falsi di MV Agusta

Una storia iniziata nel 1945, costellata di successi sportivi e riesplosa nell’ultimo periodo con la produzione di modelli di grande pregio ed esclusività, ma non esente da qualche buco nell’acqua. Dalla F4 alla mai nata Lucky Explorer 5.5, ecco la nostra selezione

Una storia di prestigio con pochi pari, quella di MV Agusta, nata come Meccanica Verghera Agusta. Basti pensare che tra il 1952 - appena sette anni dalla fondazione - e il 1974, le MV hanno collezionato la bellezza di 75 titoli iridati tra campionati piloti e costruttori. Ma anche negli ultimi 30 anni di storia del marchio, quelli della rinascita dopo l’oblio degli Anni 80, dagli stabilimenti MV sono uscite vere e proprie perle: su tutte, la F4, indiscutibilmente una delle sportive più belle e di classe di tutti i tempi. Così la Brutale, sua controparte naked. In tempi un pochino più recenti, diciamo dopo il 2010, MV si è però resa autrice anche di qualche errore, leggasi Rivale e Brutale 920. Fresca fresca è invece la Lucky Explorer 5.5, presentata ma fortunatamente mai arrivata, un maldestro tentativo di aprire la gamma verso il basso, in una direzione che poco ha a che vedere con il lustro di MV. Ecco la nostra rassegna dei modelli migliori e peggiori nella storia recente del marchio MV Agusta.  

I MODELLI TOP

Le punte di diamante di casa MV, va riconosciuto, sono davvero nell’olimpo del motociclismo. La F4 può a pieno diritto essere considerata un capolavoro, altrettanto può dirsi della Brutale mentre la Turismo Veloce, se non altrettanto indimenticabile, è un tentativo ben riuscito di portare lo spirito del marchio in territori diversi da quelli della sportività classica.
F4 750
Arrivò nel 1998, quattro anni dopo la Ducati 916, e sconvolse di nuovo il mondo delle moto sportive in quanto a design ed esclusività. Figlia sempre di Massimo Tamburini, era nata sulle ceneri della Cagiva F4, un prototipo mai finalizzato con il motore che poi divenne della F4 infilato in una ciclistica e un’estetica derivate dalla C594 da GP. Quando il quattro cilindri venne dirottato sul marchio MV Agusta, Tamburini si immaginò una sportiva completamente diversa nello stile e nella tecnica, entrata di diritto nel ristretto elenco di motociclette immortali tanto che la sua linea è ancora oggi perfettamente attuale. La MV F4 ha talmente tanto da raccontare che non si sa da dove iniziare: forse con la F del nome, che sta per Ferrari. Il propulsore fu infatti sviluppato con il contributo dei motoristi di Maranello, per rispondere allo strapotere giapponese: un quattro in linea 750 cc con soluzioni di pregio come le valvole radiali (tipiche dei motori Ferrari di allora) e il cambio estraibile. Ci sono poi il telaio misto (traliccio in acciaio e alluminio), lo scultoreo forcellone monobraccio, i cerchi a stella, gli inconfondibili 4 terminali a “canne d’organo” sotto al codone, il faro anteriore a diamante e la livrea rosso e argento con cerchi oro, a richiamare le gloriose MV dei tempi di Giacomo Agostini. Ogni elemento della F4 è un gioiello e ha fatto storia. Nel 2004 la cilindrata crebbe a 1.000 cc, i cavalli passarono da 137 a 166 per poi salire a 180, 200 e i 212 della versione RC del 2019, l’ultima prima dello stop alla produzione. Dal 1998 al 2019 la moto è rimasta quasi la stessa, mentre nel 2010 è stata presentata la sorella minore F3 a 3 cilindri, di fatto una copia aggiornata della F4, ancora oggi splendida.
Brutale 750
Quasi all’altezza di sua maestà F4, sta la Brutale. Se la prima è una colonna portante della storia delle supersportive, quest’ultima riveste pari ruolo nel mondo naked. Ancora figlia del centro ricerche Cagiva CRC e di Massimo Tamburini, la Brutale riprendeva numerosi elementi tecnici dalla F4 e come questa si poneva ad un livello altissimo: al momento del lancio, la Serie Oro limitata a 300 esemplari era prezzata vicina ai 60 milioni di lire, cifra da capogiro oggi ma ben di più allora. Mai nome fu più azzeccato per una motocicletta, spinta dal 4 cilindri da 750 cc in una versione appena addolcita, con 108 cavalli a 12.000 giri e 68 Nm a 10.500. Tra il motore della Brutale e quello della F4 c’erano infatti numerose differenze, tra cui i condotti d’aspirazione, le valvole, il rapporto di compressione, l’asse a camme d’aspirazione, mappatura, albero motore e molto altro. Identici invece il telaio, sempre una struttura ibrida con un traliccio in acciaio e piastre laterali in alluminio, il forcellone sempre monobraccio, le sospensioni (forcella Marzocchi da 50 mm) e i freni (dischi da 310 mm e pinze a 6 pistoncini) e anche i cerchi, sempre della spettacolare foggia a stella. Rispetto alla F4, la Brutale abbandonava le 4 canne d’organo in favore di uno scarico 4-in-2 con doppio terminale sovrapposto, perché la differente impostazione di guida, da cui derivava un bilanciamento dedicato, non lasciava sufficiente spazio tra codone e ruota posteriore. La Brutale infatti non era semplicemente una F4 spogliata, ma una moto progettata a 360°, come esigeva Tamburini. Interessante anche la storia dietro il particolare disegno del fanale "alllungato": è ispirato, su richiesta di Claudio Castiglioni, ai fari anteriori della Porsche 911 "993".
Turismo Veloce 800
Presentata nel 2013, arrivò in vendita solo nel 2015, ma per molti anni è stata di fatto il modello più centrato della gamma varesina: razionale, guidabile, versatile. La Turismo Veloce è una crossover stradale e sportiveggiante compatta, indovinata nella linea e nella formula,in un periodo storico che sta premiando questo genere di moto, sulla falsariga di BMW S 1000 XR e Yamaha Tracer 9. È mossa da una versione addomesticata del valido 3 cilindri 800 con albero controrotante, dalla sonorità sempre magica; la scheda tecnica parla di 110 cavalli poco oltre i 10.000 giri e di 80 Nm appena sopra i 7.000, per un peso contenuto in 190 kg a secco. Buona la dotazione ciclistica: numerose componenti attingono alla tradizione recente di casa MV, come il telaio ibrido a traliccio in acciaio avvitato a piastre in alluminio, il forcellone monobraccio e il bello scarico con, di nuovo, le tre canne d’organo in basso sul lato destro della moto. Il frontale riprende fedelmente quello della F3, ma squadra che vince non si cambia. Di livello anche la dotazione elettronica: la Turismo Veloce è stata la prima MV a offrire le sospensioni semiattive, e fra le prime a proporre anche la efficace frizione semiautomatica S.C.S. Ma la Turismo Veloce non è soltanto bella guida: tra i suoi punti forti troviamo anche elementi che la rendono effettivamente azzeccata per viaggiare, ovvero ciò che una crossover dovrebbe saper fare bene: consumi ragionevoli, poche vibrazioni, discreta protezione aerodinamica, valigie intelligentemente integrate nella sagoma e tutti gli ausili alla guida che si possano desiderare. La prima MV moderna a svolgere bene il non facile compito di portare il marchio su territori inesplorati.

I MODELLI FLOP

Nonostante le tante traversie societarie, sono davvero pochi i modelli che MV Agusta non ha imbroccato nella sua storia moderna. Tra questi, si possono citare la Rivale, motard fuori tempo massimo, la indomabile Brutale 920 e la mai nata Lucky Explorer 5.5.
Rivale / Stradale
Fu, dal 2013 al 2019, il tentativo sfortunato di proporre una specie di motardona stradale a tre cilindri, quando il genere era già in declino. Provò invano ad insinuarsi nel segmento della Ducati Hypermotard, nata però quando il motard era ancora di moda e capace nel tempo di crearsi una propria schiera di fedeli. Nonostante la bella linea disegnata da Adrian Morton, l'accoppiata Rivale/Stradale non risultò però convincente, forse perché una motard a tre cilindri era davvero troppo lontana dal concetto originale del genere. La Rivale era una supermoto fatta e finita, la Stradale era un allestimento più turistico, con cupolino e borse laterali, l’equivalente all’incirca di una KTM Duke GT. Entrambe avevano molto, anche a livello tecnico, della sorella Brutale, ma incasellate in un segmento differente da quello delle naked tradizionali le rese incompiute. La scheda tecnica parlava di 125 cavalli a 12.000 giri e 84 Nm a 8.600 giri erogati dal valido tre cilindri frontemarcia, incastonato in un telaio vicino a quello della Brutale (traliccio in acciaio + piastre laterali in alluminio), quest’ultimo abbinato al classico forcellone monobraccio e a una forcella rovesciata Marzocchi con steli da 43 mm e mono Sachs, entrambi completamente regolabili. Impianto frenante al top della categoria, con dischi anteriori da 320 mm e pinze Brembo radiali. Sulla carta non mancava nulla ma, forse anche per un prezzo superiore alla media, i risultati commerciali furono decisamente scarsi: le vendite rasentarono lo zero in qualunque salsa si tentasse di proporre la formula.
Brutale 920
Nata nel 2011 come tentativo di portare la Brutale fuori dalla nicchia delle supernaked di lusso in cui si era infilata (e oggi al contrario perseguita con convinzione), la 920 rinunciava ad alcuni elementi di grande pregio per contenere i costi: niente cerchi forgiati, via la frizione antisaltellamento e pure le pinze freno anteriori Brembo monoblocco. La 920 fu anche protagonista dei primi tentativi di de-brutalizzare la moto, con una sella più bassa, un’ergonomia meno caricata sui polsi e un angolo di sterzo più aperto, oltre a un motore meno superquadro ottenuto riducendo l’alesaggio del 990, quindi almeno teoricamente meno propenso a girare alto. Ma con un’elettronica ancora ridotta, i 129 cavalli (al posto dei 144 della 1090) erogati a 10.500 giri dal 4 cilindri a valvole radiali erano comunque tutt’altro che addomesticati, e nonostante la buona maneggevolezza, la Brutale 920 restava una moto esigente, non comoda, con poco sterzo e afflitta da un marcato on/off all’apertura del gas e da vibrazioni agli alti regimi.  L’estetica era la stessa – riuscitissima – delle sorelle che l’avevano preceduta, con il particolare gruppo ottico anteriore, l’inconfondibile serbatoio e tutto il resto (spettacolare forcellone monobraccio e doppio terminale di scarico sulla destra), ma non bastò. Il suo peccato più grave, però, era quello di non essere né carne (esclusiva come la stratosferica 1090 RR) né pesce (davvero comoda e abbordabile), e finì per vendere pochissimo.
Lucky Explorer 5.5
Un flop tutto sommato virtuale: e per fortuna, diremmo. Dopo essere (ri)partita a fine Anni 90 con un chiaro posizionamento premium, MV Agusta ha avuto negli anni tentennamenti e oscillazioni, cedendo più volte alla tentazione di allargare verso il basso il suo pubblico per incrementare le vendite, come ad esempio con le 675, la Brutale 920 e le versioni Rosso. Tentativi che sono risultati comunque accettabili fino a quando, ad Eicma 2021, non è apparsa la Lucky Explorer 5.5. Se poteva passare la sorella 9.5, crossover premium a lungo agognata e mossa da una versione evoluta del “Trepistoni” 800, lo stesso non poteva dirsi della sorellina minore: sviluppata in collaborazione con la cinese QJ, era alla fine poco più di una Benelli TRK ricarrozzata e dotata dell’ultima versione del twin cinese. Un’operazione francamente inaccettabile per un marchio che, almeno negli ultimi 25 anni di vita, ha sempre fatto dell’esclusività e del pregio di soluzioni e materiali il proprio biglietto da visita. Apprezzabile l’impegno, le sinergie e tutto quel che si vuole, ma pensare di mettere sotto il tetto "Motorcycle Art" una moto del genere è apparso subito un azzardo che rischiava di minare la credibilità del marchio. Confermata a EICMA 2022, la Lucky Explorer 5.5. è poi scomparsa con l’ingresso nell’assetto societario di KTM, che di problemi di volumi di vendita non ne ha e ha subito cassato il progetto per le ragioni di cui sopra, puntando con decisione a rafforzare i prodotti premium, in una direzione che sarà sempre più chiara nei prossimi anni. Come dire: un flop mancato è sempre meglio di un flop.

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