Moto & Scooter
Scalare l’Everest ma in moto e in Italia, si può davvero fare: Moto Everest
"Ti cala senza filtri, senza interessi, senza consigli all’interno di un luogo sconosciuto, ti fa andare dove non viene suggerito di andare"
La prima volta non si scorda mai, il primo percorso del Moto Everest parte e arriva su uno dei passi più famosi d’Italia per i motociclisti. Il Passo della Raticosa è luogo di partenza e arrivo per Roberto Ungaro e Marco Boni che a bordo delle Kawasaki Versys 650 e Versys 1000 SE hanno raggiunto in un giorno gli 8.848 m di dislivello positivo.
Non si tratta solo di guidare, l’esperienza del Moto Everest nasce da casa, nel nostro caso di fronte a un computer, con la mappa è decisamente più difficile. Prima di partire bisogna organizzare l’itinerario che rispetti le regole elencate sul sito di Dueruote, e realizzarlo nei dintorni del Passo della Raticosa non è stato una passeggiata. Ci siamo affidati a programmi come Google Maps, Garmin Connect e Osmand che combinati ci hanno permesso di trovare strade percorribili in moto e soprattutto valutare i parametri di distanza e dislivello positivo, l’ultimo è il più importante.
Potrebbe sembrare facile trovare la strada migliore ma non conoscendo il territorio è facile imbattersi in strade non percorribili, nonostante il programma di navigazione le dia come opzione, e non si può esagerare in termini di chilometri. Questo perché non si passa praticamente mai su strade statali; perciò, la velocità media in alcuni punti può risultare davvero bassa facendo perdere parecchio tempo.
Il consiglio che possiamo dare è quello di fare una scelta che stia in a metà tra chilometri e tempo disponibili per la sfida, così da avere un po’ di margine in caso di problemi riscontrati durante il viaggio. E soprattutto partire con le dita incrociate! Non si sa mai quello che si può trovare in 400 km di strade mai percorse.
Una volta scelto il tracciato si parte per registrare la traccia GPX. Si può fare sia con i moderni navigatori, noi abbiamo usato un Garmin Montana 700, oppure esistono applicazioni per lo smartphone in grado di farlo, un esempio è Navirally.
Sinceramente non ci aspettavamo di trovarci a proprio agio nell’affrontare questa sfida. Non siamo due veri viaggiatori e invece non sapevamo a cosa stessimo andando in contro.
La cosa più strana è dover cercare un percorso che un motociclista mai penserebbe di fare. Nell’immaginario di un biker le opzioni sono solitamente due: un percorso che vada da A a B oppure attraversare le strade con i migliori panorami. Nel caso del Moto Everest la questione cambia, perché è vero che il tragitto avrà un inizio e una fine ma bisogna fare i conti con le regole della sfida che ti portano a disegnare a mano libera la traccia sulla cartina.
Partendo dal Passo della Raticosa non è stato facilissimo far combaciare il tutto, non ci sono monti elevati da quelle parti e in più abbiamo deciso di percorrere un anello (partenza e arrivo nello stesso punto), perciò aperta la mappa abbiamo iniziato a modificare le strade che il navigatore proponeva per scegliere quelle viette con pendenze al di sopra della media per guadagnare in termini dislivello positivo. Tutto questo ci ha portato in mezzo all’inaspettato, ci siamo infilati dentro il territorio in quei luoghi spesso evitati perché normalmente non portano da nessuna parte e invece per noi erano fondamentali. Il Moto Everest ti porta a scoprire il vero ignoto ed è difficile trovarsi in un luogo noto ma si fa la scoperta inaspettata di quei piccoli punti dimenticati dal mondo, affascinanti per il loro essere incontaminati.
Ed è questa l’essenza della sfida, non si tratta solo di raggiungere la vetta e i già moto viaggiatori lo sanno. Spesso è proprio il viaggio la parte che rimane impressa.
A margine si fanno poi i conti con lo stare in moto davvero tanto tempo, in alcuni casi per vincere la sfida potrebbe essere necessario viaggiare ore senza soste per rientrare nelle 12 ore massime. Se poi si aggiunge il rischio di trovare strade chiuse o deviazioni bisogna essere in grado di adattarsi e modificare il percorso in poco tempo. A noi, ad esempio, è capitato di trovare una strada in cui l’asfalto a un certo punto finiva ma non è stato un problema, anzi ha alimentato la nostra avventura e c’è da dire che le Versys, nonostante non nascano per l’off-road, se la sono cavata discretamente sulle strade bianche.
Se capita di non vivere disavventure non c’è troppo da raccontare, è un lungo viaggio alla fine, ma come dicevamo con un sapore diverso dall’uscita classica della domenica. Arrivi in fondo al percorso che sei stanco per tutte le ore passate in moto ma è soddisfacente perché sai di esserti conquistato gli 8.848 m di dislivello positivo, perciò hai effettivamente scalato l’Everest.
Ovvio, qui non c’è bisogno di bombole d’ossigeno però avere un obiettivo dà quel pizzico di adrenalina in più mentre guidi, sai che devi arrivare alla fine per un motivo preciso.
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