Moto & Scooter
Belle davvero: Triumph Speed Triple T509
Il quarto appuntamento con le moto che hanno messo tutti d'accordo è con la Triumph Speed Triple T509 del 1997. Una bellezza sghemba, un po' come certe modelle dai tratti irregolari, ma che non lasciano indifferenti; e la moto che riportò prepotentemente il tre cilindri nell'orizzonte del motociclismo
Disruptive è una parola abusata al giorno d’oggi, almeno del mondo del marketing: qualsiasi cosa che esce dal solito tran tran diventa, soprattutto per chi vuole venderci un prodotto (un’idea, un progetto e via discorrendo..) “disruptive”, quindi rivoluzionaria, quindi di rottura, quindi generata e non creata.
Non è sempre vero. E non è sempre vero anche nel mondo delle due ruote. Ci sono però stati, anche nel recente passato, modelli che hanno segnato un solco profondo rispetto a quanto c’era prima. Solco che è diventanto nel tempo cicatrice, e che è ancora lì. Almeno in questo caso.
Parliamo della Triumph Speed Triple T509, arrivata nel 1997. Prima di lei la Speed era tutta fanale tondo, codino squadrato e tradizione inglese. Ma la Ducati Monster già furoreggiava, era difficile farsi notare. La Speed ci riuscì, decretando un nuovo corso per la Casa inglese e nuovi standard per le moto senza carenatura.
Nasceva come una Daytona spogliata, una sportiva senza carena di cui manteneva l'elegantissimo codino e lo scultoreo serbatoio. Ma nessuno ebbe mai alcun dubbio: la Speed era nuda davvero, con tutte le intenzioni lascive e le pericolose conseguenze che ogni nudità comporta. E con tutti i vezzi di una primadonna: lei non era nera, era Jet Black. Non era verde, era Roulette Green, e tu pensavi subito a James Bond al tavolo da gioco.
Le altre naked avevano un faro solo, di solito tondo: lei ne azzardò due, lontani, sovrastati dalla stumentazione. Punto. Uno sguardo che si riconosce subito, sempre e ancora. E non era l’unica novità: bellissimo telaio in alluminio tutto incurvato, bellissimo monobraccio posteriore che regalava un sapore unico al cerchio a tre razze. La Speed era, ed è, corta, tozza, massiccia. Un toro pronto a caricare, con l'aspetto più minaccioso e allucinato che si fosse mai visto su due ruote.
Il serbatoio tondeggiante e ingobbito carica il frontale, il codino la slancia, il tre cilindri le dà corpo. Il triple inglese era già in giro da qualche anno, su moto che però non avevano saputo canalizzarne la carica dirompente. A farlo ci pensò la Speed, perché quando ci salivi sopra capivi che quell'aspetto irriverente non era solo fumo, perché il tiro del motore a iniezione, la sua personalità sonora, erano davvero qualcosa di unico.
E così dopo aver parlato di moto praticamente perfette lasciamo spazio a una moto imperfetta: un po' pesante alla bilancia, con un'impianto di iniezione e un'erogazione ancora da mettere a punto, un'affidabilità ancora non a livello delle migliori. Ma quanto fascino, signori.
La Speed non lascia niente all'immaginazione, si dà per intero a chi la guarda. Bellissima ancora oggi per quel fare da bella e dannata (ora anche d’annata), per quell'essere stata capace di mettere insieme elementi esteticamente incongruenti fra loro (con lo zampino del nostro Carlo Talamo, che ci giocò anche sul fronte pubblicitario) e farne un piatto al tempo stesso semplice e gustosissimo, che ha fatto scuola: in tanti hanno provato a imitarla, nessuno c'è riuscito.
Molti la rimpiangono ancora. E non solo i triumphisti.