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La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 07/10/2021 in Moto & Scooter
La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione
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Le moto più desiderate non sono più le belve ipertecnologiche ma medie tranquille, assennate e alla portata di tutte le tasche. Il mondo moderno è diventato così ragionevole?

A 18 anni rinunciai ad acquistare un’utilitaria, che mi avrebbe drasticamente semplificato la vita, per investire in una Ducati Supersport. Del resto molti dei miei amici avevano nel box una Fiat Punto e una Suzuki GSX-R – di solito con l’Arai Quasar di Kevin Schwantz – o una Ford Fiesta e una Honda CBR900RR con la tuta Nankai di Mick Doohan. Non eravamo eroi: eravamo normali appassionati ed era normale spendere la maggior parte dei nostri scarsi averi nella nostra passione.
 

La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione

È da anni che si parla del mutamento antropologico del motociclista, sempre più bianco di capelli e sempre meno propenso al teppismo. Così in copertina non vanno più le belve da 200 e passa CV, perché la gente ormai si appassiona alla Honda NC750X o alla Guzzi V7, moto ragionevoli nelle quali investire cifre ragionevoli. Nessuno fa più debiti per una supersportiva, anzi per nessun genere di moto: non è necessariamente un male, ma comunque la cosa ha conseguenze profonde.

Guardo la classifica delle vendite di questo 2021 e mi chiedo dove siano finiti i normali appassionati. Tolte le maxi crossover (BMW R 1250 GS / Adventure, Honda Africa Twin, Ducati Multistrada V4), i cui proprietari dubito abbiano nel box una Fiat 500 o una Ford Fiesta, le altre bestseller sono tranquille medie da viaggio, assennate e non particolarmente prodighe di adrenalina. La prima moto “passionale”, la Yamaha MT-09, è diciottesima e vende poco più della Benelli Imperiale, da cui mi aspettavo poche decine di pezzi mentre veleggia verso le 1.000 immatricolazioni.

La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione

Negli Anni 80/90 la competizione tra le 125 mise le ali alla crescita delle Case italiane, in una corsa a proporre moto sempre più raffinate e costose. I ragazzi volevano solo quelle e di rado ripiegavano su modelli meno sofisticati, talmente mal visti che in certi casi era meglio andare a piedi. Oggi, forse perché il livello di sofisticazione raggiunto è persino eccessivo, vincono al contrario le moto meno complicate: dalla formula del successo di mercato esce la tecnologia ed entrano la facilità di approccio e il prezzo: non è una formula favorevole all’Italia e nemmeno al Giappone.
 

La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione

I giapponesi comunque si stanno sintonizzando su questa lunghezza d’onda, e ormai anche gli europei: KTM con le piccole mono, Ducati con le ScramblerAprilia con le 660. Il prezzo conta, ma non è solo una questione di costi: è che le superpotenze e le supertecnologie sembrano di colpo diventate inutili. Non che i 124 CV della CBR900RR del 1992 servissero: erano inutili anche allora, solo che adesso l’incantesimo sembra svanito e abbiamo un bel dire che la moto è innanzitutto passione. A guardare i dati di vendita, sembrerebbe innanzitutto ragione.

La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione
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