Moto & Scooter
La fine della PASSIONE, il trionfo della ragione
Le moto più desiderate non sono più le belve ipertecnologiche ma medie tranquille, assennate e alla portata di tutte le tasche. Il mondo moderno è diventato così ragionevole?
A 18 anni rinunciai ad acquistare un’utilitaria, che mi avrebbe drasticamente semplificato la vita, per investire in una Ducati Supersport. Del resto molti dei miei amici avevano nel box una Fiat Punto e una Suzuki GSX-R – di solito con l’Arai Quasar di Kevin Schwantz – o una Ford Fiesta e una Honda CBR900RR con la tuta Nankai di Mick Doohan. Non eravamo eroi: eravamo normali appassionati ed era normale spendere la maggior parte dei nostri scarsi averi nella nostra passione.
È da anni che si parla del mutamento antropologico del motociclista, sempre più bianco di capelli e sempre meno propenso al teppismo. Così in copertina non vanno più le belve da 200 e passa CV, perché la gente ormai si appassiona alla Honda NC750X o alla Guzzi V7, moto ragionevoli nelle quali investire cifre ragionevoli. Nessuno fa più debiti per una supersportiva, anzi per nessun genere di moto: non è necessariamente un male, ma comunque la cosa ha conseguenze profonde.
Guardo la classifica delle vendite di questo 2021 e mi chiedo dove siano finiti i normali appassionati. Tolte le maxi crossover (BMW R 1250 GS / Adventure, Honda Africa Twin, Ducati Multistrada V4), i cui proprietari dubito abbiano nel box una Fiat 500 o una Ford Fiesta, le altre bestseller sono tranquille medie da viaggio, assennate e non particolarmente prodighe di adrenalina. La prima moto “passionale”, la Yamaha MT-09, è diciottesima e vende poco più della Benelli Imperiale, da cui mi aspettavo poche decine di pezzi mentre veleggia verso le 1.000 immatricolazioni.
Negli Anni 80/90 la competizione tra le 125 mise le ali alla crescita delle Case italiane, in una corsa a proporre moto sempre più raffinate e costose. I ragazzi volevano solo quelle e di rado ripiegavano su modelli meno sofisticati, talmente mal visti che in certi casi era meglio andare a piedi. Oggi, forse perché il livello di sofisticazione raggiunto è persino eccessivo, vincono al contrario le moto meno complicate: dalla formula del successo di mercato esce la tecnologia ed entrano la facilità di approccio e il prezzo: non è una formula favorevole all’Italia e nemmeno al Giappone.
I giapponesi comunque si stanno sintonizzando su questa lunghezza d’onda, e ormai anche gli europei: KTM con le piccole mono, Ducati con le Scrambler, Aprilia con le 660. Il prezzo conta, ma non è solo una questione di costi: è che le superpotenze e le supertecnologie sembrano di colpo diventate inutili. Non che i 124 CV della CBR900RR del 1992 servissero: erano inutili anche allora, solo che adesso l’incantesimo sembra svanito e abbiamo un bel dire che la moto è innanzitutto passione. A guardare i dati di vendita, sembrerebbe innanzitutto ragione.