Moto & Scooter
Naked Honda 600: Hornet vs CBF-N
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Una versione tranquilla si affianca alla più famosa delle naked sportive. Le distinguono qualche differenza tecnica ed estetica e una ventina di cavalli, ma le sorprese non sono mancate. Ecco il test con un approfondimento tecnico, i rilevamenti e la gall
L’idea è abbastanza semplice nella sua validità: prendi la vecchia Hornet, depotenziala un poco per renderne l’erogazione più lineare, adotta una componentistica buona ma meno pregiata per abbassarne drasticamente il prezzo, rivestila con sovrastrutture sobrie ed una linea di gusto turistico, ed ecco che avrai la CBF-N.
Nata nel 2005 assieme all’attuale Hornet 600, questa moto è in realtà la versione naked della CBF 600 , una concretissima semicarenata che nelle intenzioni dichiarate dal costruttore è pensata per i mototursti del centro-nord Europa.
Viste una accanto all’altra la differente destinazione d’uso è evidente, con la Hornet a far la parte della fun bike grazie ad una linea semplice e piacevole e quelle velleità da vera sportiva date dalla forcella a steli rovesciati adottata per la versione 2005.
Aspirazioni del resto più che legittime visto che c’è chi con questa Honda ci corre davvero.
La CBF-N ricopre alla perfezione il ruolo di seria “commuter basica”, con quella sua aria da onesta lavoratrice infaticabile:è graziosa ma non appassiona certo, caratterizzata da scelte cromatiche misurate e da tutta una serie di soluzioni volte a privilegiare la praticità d’uso.
Insomma, “davanti al bar” vince la Hornet, tanto da far dimenticare che basta smontare il serbatoio e guardare l’ossatura di entrambe per accorgersi che il DNA delle due 600 presenta molti cromosomi in comune.
Una parentela forse anche un po’ scomoda, specialmente per la CBF che paga non poco il minore appeal estetico nel confronto diretto con la sorella.
Del resto è abbastanza comprensibile che di primo acchito, dovendo scegliere tra le due, ci si orienti verso la più frizzante Hornet, che sulla carta promette più divertimento a fronte di un prezzo d’acquisto di 7.490 Euro f.c. , una cifra in linea con il mercato e spesso soggetta a promozioni ed incentivi.
Certo, rispetto alle ultimissime proposte della concorrenza la naked di Tokio comincia a mostrare l’età e segna in particolare un po’ il passo per quanto riguarda la parte ciclistica.
Ma l’immagine sempre piacevole e la qualità costruttiva le permettono di rimanere ancora saldamente in classifica tra le moto più vendute del mercato.
I 6.340 Euro f.c richiesti per la CBF-N rappresentano per contro una proposta veramente allettante: con i soldi spesso necessari per portarsi a casa un maxi scooter si entra in possesso di una validissima moto, di quelle che nell’uso continuano a piacere anche passata l’euforia del nuovo acquisto.
A questo punto è più che lecito chiedersi se i 1.150 Euro che separano queste due moto (una differenza di prezzo pari a circa il 15%) abbiano veramente una ragion d’essere al di là dell’evidenza data dall’estetica più accattivante e dalle soluzioni più raffinate presenti sulla Hornet. Le abbiamo perciò provate entrambe su di un percorso misto collinare e vi anticipiamo che le sorprese sono state parecchie.
Nata nel 2005 assieme all’attuale Hornet 600, questa moto è in realtà la versione naked della CBF 600 , una concretissima semicarenata che nelle intenzioni dichiarate dal costruttore è pensata per i mototursti del centro-nord Europa.
Viste una accanto all’altra la differente destinazione d’uso è evidente, con la Hornet a far la parte della fun bike grazie ad una linea semplice e piacevole e quelle velleità da vera sportiva date dalla forcella a steli rovesciati adottata per la versione 2005.
Aspirazioni del resto più che legittime visto che c’è chi con questa Honda ci corre davvero.
La CBF-N ricopre alla perfezione il ruolo di seria “commuter basica”, con quella sua aria da onesta lavoratrice infaticabile:è graziosa ma non appassiona certo, caratterizzata da scelte cromatiche misurate e da tutta una serie di soluzioni volte a privilegiare la praticità d’uso.
Insomma, “davanti al bar” vince la Hornet, tanto da far dimenticare che basta smontare il serbatoio e guardare l’ossatura di entrambe per accorgersi che il DNA delle due 600 presenta molti cromosomi in comune.
Una parentela forse anche un po’ scomoda, specialmente per la CBF che paga non poco il minore appeal estetico nel confronto diretto con la sorella.
Del resto è abbastanza comprensibile che di primo acchito, dovendo scegliere tra le due, ci si orienti verso la più frizzante Hornet, che sulla carta promette più divertimento a fronte di un prezzo d’acquisto di 7.490 Euro f.c. , una cifra in linea con il mercato e spesso soggetta a promozioni ed incentivi.
Certo, rispetto alle ultimissime proposte della concorrenza la naked di Tokio comincia a mostrare l’età e segna in particolare un po’ il passo per quanto riguarda la parte ciclistica.
Ma l’immagine sempre piacevole e la qualità costruttiva le permettono di rimanere ancora saldamente in classifica tra le moto più vendute del mercato.
I 6.340 Euro f.c richiesti per la CBF-N rappresentano per contro una proposta veramente allettante: con i soldi spesso necessari per portarsi a casa un maxi scooter si entra in possesso di una validissima moto, di quelle che nell’uso continuano a piacere anche passata l’euforia del nuovo acquisto.
A questo punto è più che lecito chiedersi se i 1.150 Euro che separano queste due moto (una differenza di prezzo pari a circa il 15%) abbiano veramente una ragion d’essere al di là dell’evidenza data dall’estetica più accattivante e dalle soluzioni più raffinate presenti sulla Hornet. Le abbiamo perciò provate entrambe su di un percorso misto collinare e vi anticipiamo che le sorprese sono state parecchie.
Estetica: tra il serio e il faceto
Scattante e colorata, sportiva e guizzante, giovane e trendy… si potrebbe continuare a lungo su questa falsariga per definire la Honda Hornet, il best seller della Casa di Tokio che dal 1998 è tra le moto preferite dai centauri italiani.
La versione attuale risale al 2003 quando ha ricevuto un restyling estetico volto ad rinfrescare le linee guida del progetto originario.
Il codone diventa più alto ed appuntito, il caratteristico terminale che passa accanto alla sella riceve un’uscita a taglio diagonale e di gusto hi-tech, il disegno del fanale a doppia lampada si è fatto movimentato sull’onda della moda iniziata dalla MV Agusta Brutale e, dulcis in fundo, nel 2005 è arrivato un avantreno tutto nuovo con l’adozione della forcella a steli rovesciati.
Un aspetto proprio “cattivo” insomma, che però comincia a mostrare qualche ruga di fronte alle nuove proposte del mercato, specialmente la Kawasaki Z750 e la Suzuki GSR
La Hornet rimane comunque una motocicletta piacevole nell’immagine, forte soprattutto del suo equilibrio generale.
Piacevole a vedersi anche la strumentazione mista analogico-digitale, completa per informazioni e di lettura facile: il piccolo computer di bordo con schermo a cristalli liquidi presenta le funzioni di tachimetro con due contachilometri parziali e il totale oltre che riportare il livello della benzina.
La CBF-N invece rappresenta alla perfezione l’ideale di moto basica e funzionale, anche se non si fa mancare qualche ricercatezza stilistica, specialmente nel gruppo ottico posteriore che integra gli indicatori di direzione ed è caratterizzato da un design semplice ma personale.
Lo scarico basso (identico a quello della versione carenata) è per contro caratterizzante e ben realizzato, con una finitura lucida ed un’uscita che simula piacevolmente un diametro maggiore del reale a conferire un pizzico di aggressività.
L’aspetto da moto “tranquilla” piace ma non entusiasma: conoscendo la versione semicarenata si nota subito la derivazione da quest’ultima, specialmente nel rapporto di proporzioni e forme tra anteriore e posteriore che manca un po’ di coerenza stilistica a causa delle linee più squadrate del serbatoio rispetto alle rotondità del codone.
Lungi dall’apparire dimessa, la CBF-N risente però più di altre moto delle scelte cromatiche e se nella versione grigio chiaro/grigio scuro in nostro possesso può apparire fin troppo anonima, nella colorazione nera-grigia è sicuramente più accattivante.
Abbastanza completa anche in questo caso la strumentazione, che è totalmente analogica: manca però dell’indicatore del livello carburante, del computer di bordo e soprattutto del sistema H.I.S.S, quell’ Honda Ignition Security System presente sulla Hornet con la funzione di antifurto e che si avvale di un blocco elettronico che impedisce l'avvio del motore se non con le due chiavi originali.
Sei piccole spie poste tra i due strumenti comunicano tutte le informazioni necessarie a gestire la CBF mentre sono uguali gli indicatori di direzione, i blocchetti elettrici, (completi di pulsante per le quattro frecce), i comandi a manubrio e quelli a pedale.
Per entrambe è disponibile un vano sottosella in grado di contenere un antifurto a U: quello della CBF è più ampio e regolare mentre quello della Hornet richiede un po’ di “occhio” per essere sfruttato completamente.
Inoltre sulla CBF sono presenti sella e manubrio regolabili: una possibilità di cucirsi al meglio addosso la moto tramite semplici operazioni su registri sella e riser, operazioni che però la Casa consiglia di far eseguire alla rete ufficiale.
La versione attuale risale al 2003 quando ha ricevuto un restyling estetico volto ad rinfrescare le linee guida del progetto originario.
Il codone diventa più alto ed appuntito, il caratteristico terminale che passa accanto alla sella riceve un’uscita a taglio diagonale e di gusto hi-tech, il disegno del fanale a doppia lampada si è fatto movimentato sull’onda della moda iniziata dalla MV Agusta Brutale e, dulcis in fundo, nel 2005 è arrivato un avantreno tutto nuovo con l’adozione della forcella a steli rovesciati.
Un aspetto proprio “cattivo” insomma, che però comincia a mostrare qualche ruga di fronte alle nuove proposte del mercato, specialmente la Kawasaki Z750 e la Suzuki GSR
La Hornet rimane comunque una motocicletta piacevole nell’immagine, forte soprattutto del suo equilibrio generale.
Piacevole a vedersi anche la strumentazione mista analogico-digitale, completa per informazioni e di lettura facile: il piccolo computer di bordo con schermo a cristalli liquidi presenta le funzioni di tachimetro con due contachilometri parziali e il totale oltre che riportare il livello della benzina.
La CBF-N invece rappresenta alla perfezione l’ideale di moto basica e funzionale, anche se non si fa mancare qualche ricercatezza stilistica, specialmente nel gruppo ottico posteriore che integra gli indicatori di direzione ed è caratterizzato da un design semplice ma personale.
Lo scarico basso (identico a quello della versione carenata) è per contro caratterizzante e ben realizzato, con una finitura lucida ed un’uscita che simula piacevolmente un diametro maggiore del reale a conferire un pizzico di aggressività.
L’aspetto da moto “tranquilla” piace ma non entusiasma: conoscendo la versione semicarenata si nota subito la derivazione da quest’ultima, specialmente nel rapporto di proporzioni e forme tra anteriore e posteriore che manca un po’ di coerenza stilistica a causa delle linee più squadrate del serbatoio rispetto alle rotondità del codone.
Lungi dall’apparire dimessa, la CBF-N risente però più di altre moto delle scelte cromatiche e se nella versione grigio chiaro/grigio scuro in nostro possesso può apparire fin troppo anonima, nella colorazione nera-grigia è sicuramente più accattivante.
Abbastanza completa anche in questo caso la strumentazione, che è totalmente analogica: manca però dell’indicatore del livello carburante, del computer di bordo e soprattutto del sistema H.I.S.S, quell’ Honda Ignition Security System presente sulla Hornet con la funzione di antifurto e che si avvale di un blocco elettronico che impedisce l'avvio del motore se non con le due chiavi originali.
Sei piccole spie poste tra i due strumenti comunicano tutte le informazioni necessarie a gestire la CBF mentre sono uguali gli indicatori di direzione, i blocchetti elettrici, (completi di pulsante per le quattro frecce), i comandi a manubrio e quelli a pedale.
Per entrambe è disponibile un vano sottosella in grado di contenere un antifurto a U: quello della CBF è più ampio e regolare mentre quello della Hornet richiede un po’ di “occhio” per essere sfruttato completamente.
Inoltre sulla CBF sono presenti sella e manubrio regolabili: una possibilità di cucirsi al meglio addosso la moto tramite semplici operazioni su registri sella e riser, operazioni che però la Casa consiglia di far eseguire alla rete ufficiale.
La tecnica: due ricette, stesso arrosto
Andando a guardare sotto le sovrastrutture si scopre ben presto che l’anima delle due Honda è la medesima.
Le caratterizza un collaudato quattro cilindri in linea frontemarcia raffreddato a liquido, con distribuzione bialbero e sedici valvole che, per i pochi che ancora non lo sapessero, è proprio quello che equipaggiava la vecchia e valida CBR 600 F del ’98.
Un motore certamente “sano” ma un po’ “vecchia scuola” dunque, che non presenta raffinatezze progettuali ormai consuete sulle moto di ultima generazione come l’iniezione elettronica o soluzioni tese all’accentramento delle masse quali ad esempio l’alloggiamento del cambio in posizione centrale-rialzata.
I 96,5 CV della Hornet e i 77,5 della CBF sono comunque delle potenze più che sufficienti per questa tipologia di mezzo e vengono erogati, con le dovute differenze, in maniera abbastanza regolare su tutta la curva.
I due step di potenza sono dovuti principalmente all’adozione di differenti carburatori (da 36 mm a valvola piatta tipo CV per la Hornet, da 34 mm a valvola piatta tipo VP per la CBF), dalla rivisitazione dei condotti di aspirazione sulla CBF, da un differente rapporto di compressione e da specifica fasatura dell’accensione.
L’affinamento del propulsore sulla Hornet vede l’adozione di una mappatura separata dell'accensione fra i cilindri interni ed esterni ad offrire una migliore linearità e prontezza, mentre sulla CBF i progettisti si sono concentrati in particolare sull’erogazione della coppia ai bassi e ai medi regimi. Differenti anche le rapportature interne del cambio, più corte sulla CBF; tuttavia, la Hornet ha un dente in più di corona.
Sei marce per entrambe, frizione multidisco in bagno d’olio con comando meccanico e finale a catena completano il quadro della trasmissione.
Anche passando alla ciclistica sono molte le similitudini, a partire dal telaio che per entrambe è un semplice monotrave superiore in acciaio a sezione rettangolare.
La differenza più evidente sta nella forcella anteriore, a steli tradizionali da 41 mm sulla CBF mentre dal 2005 per la Hornet è arrivata una più sportiva forcella a steli rovesciati (sempre da 41 mm) priva però della possibilità di regolazione.
Dietro è praticamente identico per entrambe il forcellone a sezione rettangolare servito da un monoammortizzatore regolabile nel precarico e che nelle due versioni differisce per qualche millimetro di escursione oltre che per taratura idraulica.
L’impianto frenante per i due modelli è forte di tre dischi: davanti il diametro è il medesimo (296 mm), sono flottanti per la Hornet e fissi per la CBF, e sono lavorati da pinze a due pistoncini.
Al posteriore è la naked turistica ad avere un disco di maggior diametro (240 mm contro 220).
L’ultima importante differenza è data dalla misura della gomma posteriore, 180/55 – 17 per la Hornet mentre la meno pretenziosa CBF si fa bastare un 160/60 - 17.
Entrambe le 600 rispondono alla normativa Euro 2 grazie al sistema di immissione d’aria AIS volto a migliorare la combustione dei gas fin nel condotto di scarico.
Per i neopatentati è disponibile la sola Hornet in versione 25 kW.
Le caratterizza un collaudato quattro cilindri in linea frontemarcia raffreddato a liquido, con distribuzione bialbero e sedici valvole che, per i pochi che ancora non lo sapessero, è proprio quello che equipaggiava la vecchia e valida CBR 600 F del ’98.
Un motore certamente “sano” ma un po’ “vecchia scuola” dunque, che non presenta raffinatezze progettuali ormai consuete sulle moto di ultima generazione come l’iniezione elettronica o soluzioni tese all’accentramento delle masse quali ad esempio l’alloggiamento del cambio in posizione centrale-rialzata.
I 96,5 CV della Hornet e i 77,5 della CBF sono comunque delle potenze più che sufficienti per questa tipologia di mezzo e vengono erogati, con le dovute differenze, in maniera abbastanza regolare su tutta la curva.
I due step di potenza sono dovuti principalmente all’adozione di differenti carburatori (da 36 mm a valvola piatta tipo CV per la Hornet, da 34 mm a valvola piatta tipo VP per la CBF), dalla rivisitazione dei condotti di aspirazione sulla CBF, da un differente rapporto di compressione e da specifica fasatura dell’accensione.
L’affinamento del propulsore sulla Hornet vede l’adozione di una mappatura separata dell'accensione fra i cilindri interni ed esterni ad offrire una migliore linearità e prontezza, mentre sulla CBF i progettisti si sono concentrati in particolare sull’erogazione della coppia ai bassi e ai medi regimi. Differenti anche le rapportature interne del cambio, più corte sulla CBF; tuttavia, la Hornet ha un dente in più di corona.
Sei marce per entrambe, frizione multidisco in bagno d’olio con comando meccanico e finale a catena completano il quadro della trasmissione.
Anche passando alla ciclistica sono molte le similitudini, a partire dal telaio che per entrambe è un semplice monotrave superiore in acciaio a sezione rettangolare.
La differenza più evidente sta nella forcella anteriore, a steli tradizionali da 41 mm sulla CBF mentre dal 2005 per la Hornet è arrivata una più sportiva forcella a steli rovesciati (sempre da 41 mm) priva però della possibilità di regolazione.
Dietro è praticamente identico per entrambe il forcellone a sezione rettangolare servito da un monoammortizzatore regolabile nel precarico e che nelle due versioni differisce per qualche millimetro di escursione oltre che per taratura idraulica.
L’impianto frenante per i due modelli è forte di tre dischi: davanti il diametro è il medesimo (296 mm), sono flottanti per la Hornet e fissi per la CBF, e sono lavorati da pinze a due pistoncini.
Al posteriore è la naked turistica ad avere un disco di maggior diametro (240 mm contro 220).
L’ultima importante differenza è data dalla misura della gomma posteriore, 180/55 – 17 per la Hornet mentre la meno pretenziosa CBF si fa bastare un 160/60 - 17.
Entrambe le 600 rispondono alla normativa Euro 2 grazie al sistema di immissione d’aria AIS volto a migliorare la combustione dei gas fin nel condotto di scarico.
Per i neopatentati è disponibile la sola Hornet in versione 25 kW.
Qualche curva tra Milano e Piacenza
di Fabio Cormio
Quando parliamo di Hornet, in genere si crea il caos. La moto più venduta degli ultimi anni divide i pareri: da una parte i motociclisti duri e puri, che ne criticano il telaio non proprio specialistico, e dall’altra il pubblico medio che ne apprezza le linee sinuose, la cavalleria nutrita e un’estetica sempre aggiornata.
Il vero problema della Hornet è la concorrenza: Yamaha FZ6, Suzuki GSR e Kawasaki Z750 sono veloci quanto e più della nuda Honda e spesso offrono qualcosa di più in termini di dotazioni ciclistiche.
Lo stesso non può essere detto della CBF: sempre nuda, sempre quattro cilindri, sempre 600, ma senza pretese di sportività.
Differenze vere con la Hornet? Un po’ di allungo in meno (ma si superano i 200 orari), una strumentazione meno completa, gomme di serie meno performanti, con la posteriore da 160 e un’estetica da understatement, non sgradevole ma un po’ anonima.
Il tutto giustificato da un risparmio sul listino di 1.150 euro, destinati peraltro a crescere dal concessionario perché sulla CBF si spuntano sconti interessanti.
Ma come vanno davvero le due moto? Obiettivamente vanno bene entrambe: le abbiamo provate tra Lombardia ed Emilia, tra Val Tidone e Penice per essere precisi.
Ci siamo quindi trovati di fronte a situazioni diverse: il traffico e le tangenziali per uscire dalla città, che hanno visto a proprio agio entrambi i modelli, ma dove a stupire è soprattutto la CBF, che col baricentro basso è agile come una piuma.
Anche nelle curve ad ampio raggio nella campagna del lodigiano – e ancor di più nella salita verso il Penice – si è fatta apprezzare la spinta ai bassi e ai medi della sembra addirittura superiore a quella della rivale in casa e invoglia a pennellare le curve.
In sintesi, dà la sensazione di lasciarsi sfruttare completamente.
Lo stesso discorso vale per lo sconnesso: le sospensioni dalla taratura leggermente più morbida sembrano anche più scorrevoli e la moto in generale pare più comunicativa.
La Hornet invece non sempre mantiene le promesse fatte da quella livrea sgargiante e dall’impostazione sportiva: è certamente possibile una guida allegra, si frena più forte, in appoggio c’è più superficie di gomma e le pedane più alte permettono inclinazioni maggiori, ma se si cercano gli ingressi di forza e le aperture di gas a moto molto inclinata si devono mettere in conto un comportamento poco omogeneo del monoammortizzatore e flessioni del telaio tipiche di una moto economica.
Quando parliamo di Hornet, in genere si crea il caos. La moto più venduta degli ultimi anni divide i pareri: da una parte i motociclisti duri e puri, che ne criticano il telaio non proprio specialistico, e dall’altra il pubblico medio che ne apprezza le linee sinuose, la cavalleria nutrita e un’estetica sempre aggiornata.
Il vero problema della Hornet è la concorrenza: Yamaha FZ6, Suzuki GSR e Kawasaki Z750 sono veloci quanto e più della nuda Honda e spesso offrono qualcosa di più in termini di dotazioni ciclistiche.
Lo stesso non può essere detto della CBF: sempre nuda, sempre quattro cilindri, sempre 600, ma senza pretese di sportività.
Differenze vere con la Hornet? Un po’ di allungo in meno (ma si superano i 200 orari), una strumentazione meno completa, gomme di serie meno performanti, con la posteriore da 160 e un’estetica da understatement, non sgradevole ma un po’ anonima.
Il tutto giustificato da un risparmio sul listino di 1.150 euro, destinati peraltro a crescere dal concessionario perché sulla CBF si spuntano sconti interessanti.
Ma come vanno davvero le due moto? Obiettivamente vanno bene entrambe: le abbiamo provate tra Lombardia ed Emilia, tra Val Tidone e Penice per essere precisi.
Ci siamo quindi trovati di fronte a situazioni diverse: il traffico e le tangenziali per uscire dalla città, che hanno visto a proprio agio entrambi i modelli, ma dove a stupire è soprattutto la CBF, che col baricentro basso è agile come una piuma.
Anche nelle curve ad ampio raggio nella campagna del lodigiano – e ancor di più nella salita verso il Penice – si è fatta apprezzare la spinta ai bassi e ai medi della sembra addirittura superiore a quella della rivale in casa e invoglia a pennellare le curve.
In sintesi, dà la sensazione di lasciarsi sfruttare completamente.
Lo stesso discorso vale per lo sconnesso: le sospensioni dalla taratura leggermente più morbida sembrano anche più scorrevoli e la moto in generale pare più comunicativa.
La Hornet invece non sempre mantiene le promesse fatte da quella livrea sgargiante e dall’impostazione sportiva: è certamente possibile una guida allegra, si frena più forte, in appoggio c’è più superficie di gomma e le pedane più alte permettono inclinazioni maggiori, ma se si cercano gli ingressi di forza e le aperture di gas a moto molto inclinata si devono mettere in conto un comportamento poco omogeneo del monoammortizzatore e flessioni del telaio tipiche di una moto economica.
Su strada: curve e sorprese
Sia la Hornet che la CBF fanno parte di quella categoria di moto che devono “farsi capire” nel giro di pochi chilometri: destinate ad un pubblico larghissimo, infatti, hanno l’ingrato compito di dover accontentare tutti senza spaventare chi ha poca esperienza e senza far sbadigliare chi invece ha già fatto scorrere parecchio asfalto sotto le ruote.
Entrambe non deludono le aspettative e non appena raggiunta la corretta temperatura di esercizio (la CBF ci mette un po’ a scaldarsi) si può ruotare la manopola del gas fiduciosi di avere sempre una cospicua dose di cavalli a disposizione.
In città sono agili da portare, entrambe svicolano bene in colonna grazie ad uno stretto raggio di sterzata. Il 4 in linea in entrambe le “declinazioni” è sufficientemente vivace anche ai regimi più bassi e non va tenuto necessariamente in tiro per seguire gli stop and go del traffico urbano, complice la frizione dal comportamento esemplare sulle due moto in ogni condizione di esercizio e morbidissima nell’azionamento (più sulla Hornet che sulla CBF).
La CBF, un pelo più bassa di seduta, si presta bene anche a quella parte dell’utenza femminile che deve fare i conti con l’altezza della sella, mentre la Hornet è per vocazione più alta e caricata in avanti.
Sostanziale pareggio in città, dunque, con la CBF che si rivela un pelo più pratica grazie alla sella più ampia (ma un po’ duretta), alla taratura un po’ più morbida del mono e alla possibilità di fissare più facilmente una rete elastica grazie alle maniglie del passeggero ed agli appositi ganci sui fianchi del codone (il passeggero salendo in sella stia attento a questi ultimi: facile e doloroso sbatterci contro con l’interno coscia).
La Hornet per contro, senza pagare troppo in praticità, è però più divertente, più scattante e guizzante grazie alla differente posizione in sella. Uscendo dal contesto urbano si può cominciare ad apprezzare le doti di allungo dei due propulsori che, con le dovute differenze, non si fanno pregare nell’elargire divertimento.
Le marce più corte della CBF e soprattutto l’attenzione progettuale per l’erogazione ai bassi fanno sì che questa moto cominci a spingere con convinzione già dai 4.000 giri indicati, regime in cui la Hornet sta ancora ragionando sul da farsi.
Addirittura nella prova sorpasso da 80-130 km/h nel rapporto più alto (eseguita nel nostro centro prove di Vairano) la naked turistica si è rivelata più pronta della Hornet
Morbida e incisiva, la piccola 600 raggiunge i piani alti del suo contagiri molto rapidamente ma senza particolari acuti, con un’erogazione un po’impersonale e che tende a stemperarsi sempre più, fino a sedersi attorno agli 11.500 giri indicati.
Intendiamoci, in sesta ciò vuol dire qualcosa di molto vicino ai 200 km/h indicati: ci si arriva in un attimo ma senza particolare emozione.
Il positivo rovescio della medaglia è dato dalla facilità di questo motore, che oggettivamente offre prestazioni di tutto rilievo senza mai mettere in soggezione nemmeno il più imbranato dei neofiti.
In curva si può accelerare in qualsiasi momento senza temere reazioni improvvise, sui tornanti si può dare gas anche un po’ sottocoppia senza incorrere in spegnimenti o strappi, ma si ha anche sufficiente potenza per intraprendere qualsiasi sorpasso senza rischiare di trovarsi a metà del guado col motore impiccato.
Il tutto coadiuvato da una ciclistica sostanzialmente neutra. Leggermente sottosterzante, (ma aumentare il precarico molla al posteriore può diminuire questa tendenza) la CBF è rassicurante e permette discese in piega progressive ed un comportamento in percorrenza assolutamente neutro.
Le sospensioni svolgono alla perfezione il duplice compito di sostegno e di ammortizzamento e mostrano il loro limite solo andando a cercare la prestazione estrema.
Una moto perfettamente equilibrata, insomma, che ha nel suo pregio anche il suo limite. E’ facile da sfruttare al 100% (o almeno è facile avere quest’impressione…), è semplice riuscire ad andare abbastanza svelti, ma le reazioni sempre composte, misurate e prevedibili alla fine filtrano un po’ il divertimento.
A ritmi stradali, anche un po’ sostenuti, la Hornet è sicuramente più divertente grazie alle specifiche soluzioni ciclistiche. Inoltre si sta più caricati in avanti e ci si sente più padroni della situazione. Molto rapida a scendere in piega grazie anche alle coperture Michelin (in questa prova invece delle più turistiche Pilot Road di serie avevamo a disposizione delle più performanti Pilot Power), rimane stabile e prevedibile, almeno finché l’andatura non si fa spedita.
Il motore della Hornet è più vivace agli alti regimi: con i 1.500 giri in allungo (circa) in più rispetto alla CBF, stacca quest’ultima nelle prove di ripresa, ma ai medi è più pigro e nei transitori paga un po’ di questa mancanza di coppia.
Però se viene tenuto correttamente tra i 7.000 ed i 12.000 giri, offre prestazioni notevoli ed in linea con la concorrenza, con un’ entrata in coppia ben avvertibile ma sempre facile e soprattutto divertente da gestire.
Quello che invece lascia un po’ perplessi è la ciclistica di questa moto che fa qualche scherzo di troppo quando si va a cercarne il limite.
Il telaio è sempre quello da che la moto è stata presentata: fa il suo dovere ma non è mai stato un esempio di rigidità estrema e i quasi 20 cavalli che separano le due Honda sono forse la misura perfetta per far la differenza tra un comportamento equilibrato ed uno un po’ bizzoso.
Anche il monoammortizzatore fatica un po’ a tenere il ritmo del motore e delle ottime prestazioni delle più recenti coperture sportive e così capita che, tra telaio e sospensioni, nelle curve in appoggio si inneschi qualche vistoso pompaggio.
Idem dicasi per la forcella rovesciata, che offre un comportamento decisamente migliore della precedente unità tradizionale ma che resta ancora eccessivamente morbida e cedevole.
Specie in staccata, dove si gradirebbe un po’ più di sostegno e dove il fondocorsa è sempre in agguato.
Facilissima e piacevole da portare a spasso, la Hornet si rivela piuttosto impegnativa nella guida sportiva e la cosa lascia un po’ di amaro in bocca perché è risaputo che con interventi minimi alle sospensioni il quadro muta notevolmente.
Qualche reazione scomposta se si cerca il limite, dunque, ma con un po’ di pratica la situazione rimane sempre ampiamente sotto controllo e sarebbe fuori luogo parlare di pericoli o rischi. Il fatto è che non è così semplice sfruttare su strada la vera potenzialità della Hornet e, tra motore appuntito e ciclistica un filo sottodimensionata, si lascia sempre qualche cavallo di troppo a riposare nella stalla.
E così, anche a far cantare i motori, al di fuori di una pista le due moto tengono facilmente lo stesso ritmo e la differenza di potenza e di dotazioni finisce col… non far la differenza.
Questo anche in frenata, dove i dischi fissi della CBF non sfigurano affatto rispetto ai semiflottanti della Hornet: entrambe offrono un’ottima prestazione, potente e modulabile e resistente alla fatica.
La trasmissione, identica per entrambe nello schema, ha un funzionamento da manuale: il cambio non ne sbaglia una e si può quasi usare senza frizione sia in scalata che salendo di marcia.
Il risultato è un sostanziale pareggio tra le due sorelle che conti alla mano e alla luce delle novità della concorrenza dovrebbe far suonare un campanello di allarme in casa Honda: che sia venuto il momento di dare davvero una rinfrescata alla parte tecnica della pur graziosa Hornet?
Entrambe non deludono le aspettative e non appena raggiunta la corretta temperatura di esercizio (la CBF ci mette un po’ a scaldarsi) si può ruotare la manopola del gas fiduciosi di avere sempre una cospicua dose di cavalli a disposizione.
In città sono agili da portare, entrambe svicolano bene in colonna grazie ad uno stretto raggio di sterzata. Il 4 in linea in entrambe le “declinazioni” è sufficientemente vivace anche ai regimi più bassi e non va tenuto necessariamente in tiro per seguire gli stop and go del traffico urbano, complice la frizione dal comportamento esemplare sulle due moto in ogni condizione di esercizio e morbidissima nell’azionamento (più sulla Hornet che sulla CBF).
La CBF, un pelo più bassa di seduta, si presta bene anche a quella parte dell’utenza femminile che deve fare i conti con l’altezza della sella, mentre la Hornet è per vocazione più alta e caricata in avanti.
Sostanziale pareggio in città, dunque, con la CBF che si rivela un pelo più pratica grazie alla sella più ampia (ma un po’ duretta), alla taratura un po’ più morbida del mono e alla possibilità di fissare più facilmente una rete elastica grazie alle maniglie del passeggero ed agli appositi ganci sui fianchi del codone (il passeggero salendo in sella stia attento a questi ultimi: facile e doloroso sbatterci contro con l’interno coscia).
La Hornet per contro, senza pagare troppo in praticità, è però più divertente, più scattante e guizzante grazie alla differente posizione in sella. Uscendo dal contesto urbano si può cominciare ad apprezzare le doti di allungo dei due propulsori che, con le dovute differenze, non si fanno pregare nell’elargire divertimento.
Le marce più corte della CBF e soprattutto l’attenzione progettuale per l’erogazione ai bassi fanno sì che questa moto cominci a spingere con convinzione già dai 4.000 giri indicati, regime in cui la Hornet sta ancora ragionando sul da farsi.
Addirittura nella prova sorpasso da 80-130 km/h nel rapporto più alto (eseguita nel nostro centro prove di Vairano) la naked turistica si è rivelata più pronta della Hornet
Morbida e incisiva, la piccola 600 raggiunge i piani alti del suo contagiri molto rapidamente ma senza particolari acuti, con un’erogazione un po’impersonale e che tende a stemperarsi sempre più, fino a sedersi attorno agli 11.500 giri indicati.
Intendiamoci, in sesta ciò vuol dire qualcosa di molto vicino ai 200 km/h indicati: ci si arriva in un attimo ma senza particolare emozione.
Il positivo rovescio della medaglia è dato dalla facilità di questo motore, che oggettivamente offre prestazioni di tutto rilievo senza mai mettere in soggezione nemmeno il più imbranato dei neofiti.
In curva si può accelerare in qualsiasi momento senza temere reazioni improvvise, sui tornanti si può dare gas anche un po’ sottocoppia senza incorrere in spegnimenti o strappi, ma si ha anche sufficiente potenza per intraprendere qualsiasi sorpasso senza rischiare di trovarsi a metà del guado col motore impiccato.
Il tutto coadiuvato da una ciclistica sostanzialmente neutra. Leggermente sottosterzante, (ma aumentare il precarico molla al posteriore può diminuire questa tendenza) la CBF è rassicurante e permette discese in piega progressive ed un comportamento in percorrenza assolutamente neutro.
Le sospensioni svolgono alla perfezione il duplice compito di sostegno e di ammortizzamento e mostrano il loro limite solo andando a cercare la prestazione estrema.
Una moto perfettamente equilibrata, insomma, che ha nel suo pregio anche il suo limite. E’ facile da sfruttare al 100% (o almeno è facile avere quest’impressione…), è semplice riuscire ad andare abbastanza svelti, ma le reazioni sempre composte, misurate e prevedibili alla fine filtrano un po’ il divertimento.
A ritmi stradali, anche un po’ sostenuti, la Hornet è sicuramente più divertente grazie alle specifiche soluzioni ciclistiche. Inoltre si sta più caricati in avanti e ci si sente più padroni della situazione. Molto rapida a scendere in piega grazie anche alle coperture Michelin (in questa prova invece delle più turistiche Pilot Road di serie avevamo a disposizione delle più performanti Pilot Power), rimane stabile e prevedibile, almeno finché l’andatura non si fa spedita.
Il motore della Hornet è più vivace agli alti regimi: con i 1.500 giri in allungo (circa) in più rispetto alla CBF, stacca quest’ultima nelle prove di ripresa, ma ai medi è più pigro e nei transitori paga un po’ di questa mancanza di coppia.
Però se viene tenuto correttamente tra i 7.000 ed i 12.000 giri, offre prestazioni notevoli ed in linea con la concorrenza, con un’ entrata in coppia ben avvertibile ma sempre facile e soprattutto divertente da gestire.
Quello che invece lascia un po’ perplessi è la ciclistica di questa moto che fa qualche scherzo di troppo quando si va a cercarne il limite.
Il telaio è sempre quello da che la moto è stata presentata: fa il suo dovere ma non è mai stato un esempio di rigidità estrema e i quasi 20 cavalli che separano le due Honda sono forse la misura perfetta per far la differenza tra un comportamento equilibrato ed uno un po’ bizzoso.
Anche il monoammortizzatore fatica un po’ a tenere il ritmo del motore e delle ottime prestazioni delle più recenti coperture sportive e così capita che, tra telaio e sospensioni, nelle curve in appoggio si inneschi qualche vistoso pompaggio.
Idem dicasi per la forcella rovesciata, che offre un comportamento decisamente migliore della precedente unità tradizionale ma che resta ancora eccessivamente morbida e cedevole.
Specie in staccata, dove si gradirebbe un po’ più di sostegno e dove il fondocorsa è sempre in agguato.
Facilissima e piacevole da portare a spasso, la Hornet si rivela piuttosto impegnativa nella guida sportiva e la cosa lascia un po’ di amaro in bocca perché è risaputo che con interventi minimi alle sospensioni il quadro muta notevolmente.
Qualche reazione scomposta se si cerca il limite, dunque, ma con un po’ di pratica la situazione rimane sempre ampiamente sotto controllo e sarebbe fuori luogo parlare di pericoli o rischi. Il fatto è che non è così semplice sfruttare su strada la vera potenzialità della Hornet e, tra motore appuntito e ciclistica un filo sottodimensionata, si lascia sempre qualche cavallo di troppo a riposare nella stalla.
E così, anche a far cantare i motori, al di fuori di una pista le due moto tengono facilmente lo stesso ritmo e la differenza di potenza e di dotazioni finisce col… non far la differenza.
Questo anche in frenata, dove i dischi fissi della CBF non sfigurano affatto rispetto ai semiflottanti della Hornet: entrambe offrono un’ottima prestazione, potente e modulabile e resistente alla fatica.
La trasmissione, identica per entrambe nello schema, ha un funzionamento da manuale: il cambio non ne sbaglia una e si può quasi usare senza frizione sia in scalata che salendo di marcia.
Il risultato è un sostanziale pareggio tra le due sorelle che conti alla mano e alla luce delle novità della concorrenza dovrebbe far suonare un campanello di allarme in casa Honda: che sia venuto il momento di dare davvero una rinfrescata alla parte tecnica della pur graziosa Hornet?
Due parole sulla forcella rovesciata
La forcella a steli rovesciati (" upside-down" per gli esterofili e "u.d." per i concisi) non è un’invenzione recente. Per esempio, era utilizzata dalla Moto Guzzi per le sue monocilindriche del dopogerra (Airone, Astore, Falcone…) e in seguito da una moltitudine di ciclomotori, tra i quali i più diffusi erano i Garelli Eureka e Gulp (ma ci furono anche i Demm, i Guzzi Chiù, i Ducati Brio…).
Insomma, il concetto era già stato ideato, però per arrivare alla sua applicazione nel campo delle forcelle teleidrauliche (quelle, cioè, in cui lo smorzamento avviene per mezzo di un fluido) bisogna aspettare la metà degli anni ’80, quando le potenze e il peso delle moto da fuoristrada, non disgiunte dalle massacranti prove di velocità e durata in terra africana, allora molto di moda, fecero sentire la necessità di una sospensione anteriore che coniugasse le lunghe escursioni necessarie con una rigidità alla torsione superiore.
Infatti, a parità di diametro degli steli il fodero di grande diametro serrato nelle piastre di sterzo offriva una rigidità a flessione e torsione molto superiore con un incremento di peso estremamente contenuto e ovviamente compensabile riducendo i diametri…. Lo stesso motivo per cui questo schema si è imposto anche nelle competizioni su pista.
Se la base tecnica fu subito definita senza problemi, all’inizio e per alcuni anni si dovette però far fronte a piccoli ma impegnativi aspetti secondari, come la tenuta, la scorrevolezza e la protezione degli steli.
Il problema della tenuta dei paraolio emerse subito ed era dovuto al fatto che il punto di maggior flessione dello stelo era lo stesso punto in cui il labbro del paraolio avrebbe dovuto assicurare una tenuta perfetta, mentre gli steli in posizione tradizionale hanno il punto di massima flessione in corridpondenza della pistra inferiore dello sterzo.
La soluzione inizialmente adottata fu quella di aumentare il carico elastico del labbro, e se questo aiutò la tenuta andò però a svantaggio della scorrevolezza, così importante per il feling del pilota e il comfort dell’utente di tutti i giorni.
La soluzione fu infine trovata in boccole di supporto dei paraolio flottanti, in grado di seguire meglio le inevitabili deformazioni dello stelo e dunque di garantire la tenuta riducendo in modo cospicuo la “stretta” del labbro intorno allo stelo.
La protezione dello stelo dagli urti fu un altro problema che si pose subito, anche perché all’interno delle forcella rovesciata l’olio sta ovviamente a contatto con il paraolio, e qualsiasi irregolarità creatasi sulla superficie dello stelo porterebbe immediatamente a perdite copiose.
La soluzione non potevano essere i pratici soffietti in gomma da sempre utilizzati per il motivo che avrebbero ineterferito con il disco freno e le sue alte temperature, per cui nel fuoristrada furono adottate delle protezioni rigide vincolate ai foderi.
Ancora oggi, comunque, la forcella tradizionale mantiene il suo pregio nella scorrevolezza, mentre la forcella a steli rovesciati garantisce una superiore resistenza alle deformazioni.
Insomma, il concetto era già stato ideato, però per arrivare alla sua applicazione nel campo delle forcelle teleidrauliche (quelle, cioè, in cui lo smorzamento avviene per mezzo di un fluido) bisogna aspettare la metà degli anni ’80, quando le potenze e il peso delle moto da fuoristrada, non disgiunte dalle massacranti prove di velocità e durata in terra africana, allora molto di moda, fecero sentire la necessità di una sospensione anteriore che coniugasse le lunghe escursioni necessarie con una rigidità alla torsione superiore.
Infatti, a parità di diametro degli steli il fodero di grande diametro serrato nelle piastre di sterzo offriva una rigidità a flessione e torsione molto superiore con un incremento di peso estremamente contenuto e ovviamente compensabile riducendo i diametri…. Lo stesso motivo per cui questo schema si è imposto anche nelle competizioni su pista.
Se la base tecnica fu subito definita senza problemi, all’inizio e per alcuni anni si dovette però far fronte a piccoli ma impegnativi aspetti secondari, come la tenuta, la scorrevolezza e la protezione degli steli.
Il problema della tenuta dei paraolio emerse subito ed era dovuto al fatto che il punto di maggior flessione dello stelo era lo stesso punto in cui il labbro del paraolio avrebbe dovuto assicurare una tenuta perfetta, mentre gli steli in posizione tradizionale hanno il punto di massima flessione in corridpondenza della pistra inferiore dello sterzo.
La soluzione inizialmente adottata fu quella di aumentare il carico elastico del labbro, e se questo aiutò la tenuta andò però a svantaggio della scorrevolezza, così importante per il feling del pilota e il comfort dell’utente di tutti i giorni.
La soluzione fu infine trovata in boccole di supporto dei paraolio flottanti, in grado di seguire meglio le inevitabili deformazioni dello stelo e dunque di garantire la tenuta riducendo in modo cospicuo la “stretta” del labbro intorno allo stelo.
La protezione dello stelo dagli urti fu un altro problema che si pose subito, anche perché all’interno delle forcella rovesciata l’olio sta ovviamente a contatto con il paraolio, e qualsiasi irregolarità creatasi sulla superficie dello stelo porterebbe immediatamente a perdite copiose.
La soluzione non potevano essere i pratici soffietti in gomma da sempre utilizzati per il motivo che avrebbero ineterferito con il disco freno e le sue alte temperature, per cui nel fuoristrada furono adottate delle protezioni rigide vincolate ai foderi.
Ancora oggi, comunque, la forcella tradizionale mantiene il suo pregio nella scorrevolezza, mentre la forcella a steli rovesciati garantisce una superiore resistenza alle deformazioni.
Prestazioni rilevate
* rilevamenti effettuati sulla nostra pista di Vairano (Pv)
Dati tecnici
Honda Hornet 600
Motore: 4 cilindri in linea trasversali 4 tempi, raffreddamento a liquido; alesaggio per corsa 65x42,5 mm; cilindrata 599,9 cc; rapporto di compressione 12:1. Distribuzione bialbero a camme in testa con comando a catena e 4 valvole per cilindro. Alimentazione a carburatori, diametro 36 mm. Capacità serbatoio carburante 17 litri (di cui 3,3 di riserva). Lubrificazione a carter umido.
Trasmissione: primaria ad ingranaggi, finale a catena (42/15). Frizione multidisco in bagno d’olio e comando meccanico. Cambio sei marce.
Ciclistica: telaio monotrave superiore in acciaio; sospensione anteriore, forcella rovesciata da 41 mm, escursione ruota 125 mm; sospensione posteriore, forcellone con monoammortizzatore regolabile nel precarico, escursione ruota 128 mm. Cerchi: anteriore 17M/C x MT3.5”, posteriore 17M/C x MT5.5”. Pneumatici: anteriore 120/70-ZR17, posteriore 180/55-ZR17. Freni: anteriore a doppio disco flottante in acciaio da 296 mm e pinze a 2 pistoncini, posteriore a disco singolo in acciaio da 220 mm e pinza a singolo pistoncino.
Dimensioni (mm) e peso: lunghezza 2.100, larghezza 710, altezza sella 790, interasse 1.420. Peso a secco 178 kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 71 kW (96,5 CV) a 12.000 giri, coppia 63 Nm (6,42 kgm) a 9.500 giri.
Honda CBF-N 600
Motore: 4 cilindri in linea trasversali 4 tempi, raffreddamento a liquido; alesaggio per corsa 65x42,5 mm; cilindrata 599,9 cc; rapporto di compressione 11,6:1. Distribuzione bialbero a camme in testa con comando a catena e 4 valvole per cilindro. Alimentazione a carburatori, diametro 34 mm. Capacità serbatoio carburante 19 litri (di cui 3 di riserva). Lubrificazione a carter umido.
Trasmissione: primaria ad ingranaggi, finale a catena (41/15). Frizione multidisco in bagno d’olio e comando meccanico. Cambio sei marce.
Ciclistica: telaio monotrave superiore in acciaio; sospensione anteriore, forcella teleidraulica da 41 mm, escursione ruota 125 mm; sospensione posteriore, forcellone con monoammortizzatore regolabile nel precarico, escursione ruota 128 mm. Cerchi: anteriore 17M/C x MT3.5”, posteriore 17M/C x MT5.5”. Pneumatici: anteriore 120/70-ZR17, posteriore 160/55-ZR17. Freni: anteriore a doppio disco in acciaio da 296 mm e pinze a 2 pistoncini, posteriore a disco singolo in acciaio da 240 mm e pinza a singolo pistoncino.
Dimensioni (mm) e peso: lunghezza 2.100, larghezza 765, altezza sella 785 (±15 mm), interasse 1.480. Peso a secco 191 kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 57 kW (96,5 CV) a 10.500 giri, coppia 58 Nm (5,91 kgm) a 8.000 giri.
Motore: 4 cilindri in linea trasversali 4 tempi, raffreddamento a liquido; alesaggio per corsa 65x42,5 mm; cilindrata 599,9 cc; rapporto di compressione 12:1. Distribuzione bialbero a camme in testa con comando a catena e 4 valvole per cilindro. Alimentazione a carburatori, diametro 36 mm. Capacità serbatoio carburante 17 litri (di cui 3,3 di riserva). Lubrificazione a carter umido.
Trasmissione: primaria ad ingranaggi, finale a catena (42/15). Frizione multidisco in bagno d’olio e comando meccanico. Cambio sei marce.
Ciclistica: telaio monotrave superiore in acciaio; sospensione anteriore, forcella rovesciata da 41 mm, escursione ruota 125 mm; sospensione posteriore, forcellone con monoammortizzatore regolabile nel precarico, escursione ruota 128 mm. Cerchi: anteriore 17M/C x MT3.5”, posteriore 17M/C x MT5.5”. Pneumatici: anteriore 120/70-ZR17, posteriore 180/55-ZR17. Freni: anteriore a doppio disco flottante in acciaio da 296 mm e pinze a 2 pistoncini, posteriore a disco singolo in acciaio da 220 mm e pinza a singolo pistoncino.
Dimensioni (mm) e peso: lunghezza 2.100, larghezza 710, altezza sella 790, interasse 1.420. Peso a secco 178 kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 71 kW (96,5 CV) a 12.000 giri, coppia 63 Nm (6,42 kgm) a 9.500 giri.
Honda CBF-N 600
Motore: 4 cilindri in linea trasversali 4 tempi, raffreddamento a liquido; alesaggio per corsa 65x42,5 mm; cilindrata 599,9 cc; rapporto di compressione 11,6:1. Distribuzione bialbero a camme in testa con comando a catena e 4 valvole per cilindro. Alimentazione a carburatori, diametro 34 mm. Capacità serbatoio carburante 19 litri (di cui 3 di riserva). Lubrificazione a carter umido.
Trasmissione: primaria ad ingranaggi, finale a catena (41/15). Frizione multidisco in bagno d’olio e comando meccanico. Cambio sei marce.
Ciclistica: telaio monotrave superiore in acciaio; sospensione anteriore, forcella teleidraulica da 41 mm, escursione ruota 125 mm; sospensione posteriore, forcellone con monoammortizzatore regolabile nel precarico, escursione ruota 128 mm. Cerchi: anteriore 17M/C x MT3.5”, posteriore 17M/C x MT5.5”. Pneumatici: anteriore 120/70-ZR17, posteriore 160/55-ZR17. Freni: anteriore a doppio disco in acciaio da 296 mm e pinze a 2 pistoncini, posteriore a disco singolo in acciaio da 240 mm e pinza a singolo pistoncino.
Dimensioni (mm) e peso: lunghezza 2.100, larghezza 765, altezza sella 785 (±15 mm), interasse 1.480. Peso a secco 191 kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 57 kW (96,5 CV) a 10.500 giri, coppia 58 Nm (5,91 kgm) a 8.000 giri.
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