Moto & Scooter
Honda CBR 600 e 1000 kittate Rumi
Supersport e superbike giapponesi nell'interpretazione di uno dei guru del motociclismo italiano. Non fatevi ingannare dalle somiglianze: mentre la prima, protagonista di un trofeo dedicato, è facile e divertente, l'altra è elettrizzante ma è da mettere i

di Fabio Cormio, foto Massimo / ag. Treeffe
Dopo aver testato tutte le supersport in configurazione stradale, e aver assaggiato direttamente in gara la Kawasaki Ninja RR, non siamo riusciti a resistere alla tentazione di constatare come vada la CBR600 RR in configurazione “solo pista”. Quindi abbiamo alzato la cornetta e chiamato la Googhy, ossia l’azienda di Oscar Rumi, veterano dl mondo delle competizioni motociclistiche, che organizza il trofeo monomarca e realizza il kit apposito per portare tra i cordoli la media di Tokyo.
Ad aspettarci, nei paddock del tracciato parmense, c’era infatti anche una CBR1000 RR: non una qualsiasi, ma quella preparata per le competizioni Open da Rumi e dai suoi collaboratori, la belva con la quale Alessandro Traversaro ha stabilito, proprio la settimana prima, il record assoluto su quest’autodromo (scendendo sotto il minuto e nove secondi!).
Arrivati ai box di Rumi, cominciamo a renderci conto di alcune cose, già molto prima di salire sulle moto. Intanto sono evidenti la serietà e la grande umiltà di queste persone. Chi scrive è certamente un appassionato, ma non un pilota professionista, eppure come tale è stato trattato: per intenderci, io sono piombato lì in una giornata utile al team per effettuare test, c’erano i meccanici, c’era il già citato Traversaro, ed è salito in moto anche Paolo Blora, uno che da anni corre nientemeno che nel Mondiale Superbike come portacolori della Polizia di Stato.
Ma nonostante l’indubbia inferiorità tecnica ed atletica rispetto ai professionisti con cui Rumi è abituato a trattare, mi sono state lasciate entrambe le motociclette per molto più del tempo necessario al servizio fotografico, e i meccanici erano effettivamente a mia completa disposizione per interventi vari o semplici spiegazioni. Il tutto sotto l’attenta (ma taciturna) supervisione di Rumi stesso. Davvero una grande sensazione.
La CBR600 RR è in assoluto una delle migliori basi di partenza per la realizzazione di una moto da corsa, come testimoniano i tre titoli consecutivi nel Mondiale Supersport. C’è da dire, comunque, che in questo trofeo gli interventi possibili sulla giapponese sono limitati e uguali per tutti: questo, ovviamente, in modo da non rendere troppo onerosa la partecipazione al trofeo da parte dei privati. Chi vuole partecipare al monomarca Rumi, infatti, paga una quota d’iscrizione non troppo elevata: 2.500 euro, più le iscrizioni alle singole gare, che sono cinque.
Con questa spesa si porta a casa il kit, tramite il quale cambia lo scarico completo, gli pneumatici, e monta carena, codone e pedane regolabili. Il kit include anche molle, pompanti e olio di miglior qualità per la forcella, ed un ammortizzatore White Power Andreani in sostituzione di quello standard.
Il regolamento prevede poche modifiche oltre a ciò che è fornito nel kit, sempre nell’ottica del contenimento delle spese.
Quanto al motore, si può modificare il rapporto di compressione abbassando le teste con guarnizioni più sottili, ma non si può allargare, stringere o lucidare nulla. Si può anche montare la centralina elettronica Power Commander, che ottimizza la carburazione ai diversi regimi.
Intoccabili dischi e pinze: l’impianto frenante può essere modificato solo nei tubi e nelle pastiglie.
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La voglia di salire sulla CBR 600 è tanta. La Ninja con cui avevo corso a Misano mi aveva lasciato un’impressione eccezionale, e non può che costituire un mio punto di riferimento imprescindibile, accanto (è ovvio) alla CBR di serie, che ho provato l’anno scorso, e le altre Supersport stradali (giapponesi e non).
Geometrie, quote, anche lo stesso raggio di sterzo: se non fosse per gli accorgimenti estetici, la sella sottile e la mancanza di specchi e targa, la RR di Rumi sarebbe indistinguibile da quella di serie. La posizione di guida, del resto, è già piuttosto estrema sul mezzo stradale: qui c’è in più la possibilità di regolare le pedane.
Le differenze, tuttavia, latitano solo fin quando il motore resta spento, e durante il paio di giri che facciamo al trotto per scaldare le Michelin Pilot Road (buone coperture, ma non certo specifiche per le competizioni). Nonappena cominciamo a spalancare il gas e a piegare davvero, ecco che emerge il carattere agonistico della CBR: se la moto di serie , almeno fino alla versione 2004 (ricordiamo che è stata recentemente presentata la 2005, e noi l’abbiamo già provata), peccava di scarsa reattività fino ai 10.000 giri, la stessa Honda equipaggiata col kit Rumi ha un carattere ancora più racing, cioè è davvero morta fino a 8-9.000, e per tenere davvero in tiro il motore bisogna farlo girare a 11.000. Poi però è una vera festa.
Da qui, fino ai 15.000 giri circa del limitatore (che non può essere spostato più in alto rispetto alla versione di serie) il motore sbatte a terra i cavalli con cattiveria, e bisogna caricare bene i semimanubri per non incorrere in impennate folcloristiche quanto inutili.
La velocità in ingresso di curva resta una costante della CBR, che in questa versione diventa però ancora più precisa. I tratti veloci sulla pista di Varano sono pochi e molto brevi, ma sufficienti per constatare che possono bastare interventi mirati e non troppo costosi per ottenere dalle sospensioni miglioramenti insperati, traducibili in maggior stabilità sul veloce: la moto non ondeggia in percorrenza di curva a gas spalancato e accetta brusche accelerate in uscita quando si è ancora piegati. Il risultato è la possibilità di passare sotto la linea del traguardo a oltre 240 all'ora indicati. Davvero niente male per una 600.
I limiti di questa moto, che complessivamente ci ha molto soddisfatti, stanno dunque in un'erogazione molto appuntita, ma anche e soprattutto nel comportamento poco rassicurante in staccata: purtroppo non c'è frizione APTC, e la CBR in fondo al rettilineo scoda poco ma saltella tantissimo. Per evitare l'antipatico fenomeno si deve imparare a dosare la frizione e a dare i giusti colpetti di gas in scalata. Più facile a dirsi che a farsi.
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Arriva il momento di provare la 1000 Open. Una moto di cui fa soggezione tutto: il rombo dello scarico sottosella, le gomme slick montate sui cerchi da 16,5 pollici. E le poche parole di Rumi, alla fatidica domanda: “quanto pesa e quanti cavalli ha?”. Oscar ha pronta una risposta da manuale: “se vuoi dico numeri a caso, come fanno tutti. Realisticamente siamo sui 160 chili per 180 cavalli”. Insomma, roba che il rettilineo di Monza non basta.
Deglutisco rumorosamente, impaurito all’idea di dover gestire tutta quella potenza in un circuito così tortuoso, ma cerco di consolarmi, pensando che il peso è veramente ridotto. Vorrei tanto il manico e l’esperienza del buon Traversaro, il quale peraltro si prodiga in consigli amichevolissimi e mi tratta assolutamente da pari grado.
Pur avendo il privilegio di provare tante moto, anche molto performanti, credo che non sarà facile dimenticare l'emozione di questo test.
L’amichevole CBR1000 di serie va dimenticata subito: alla millona di Rumi non si può chiedere immediatamente confidenza. Già nei paddock, voltarla per dirigerla verso il cancello d’ingresso non è così semplice. E no, perché il raggio di sterzo è amplissimo: questa è una moto che gira solo quando piega. Come di consueto ci imponiamo di fare i primi due giri “a passeggio”. E facciamo la prima idiozia, partendo dal concetto che le slick tengano molto più delle Pilot Road montate sulla 600: naturalmente è vero, ma solo quando sono ben calde. Un paio di giri al trotto non sono sufficienti a scaldarle, infatti al terzo sono protagonista involontario di due intraversate da brivido. Decido di resettare tutto quello che credo di sapere e mi faccio guidare da quello che le risposte della moto e il buon senso mi suggeriscono.
Ovviamente non avviene il miracolo, e il senso d’insicurezza su una moto da corsa che richiede apprendistato permane, ma è meglio così piuttosto che il delirio di onnipotenza al quale una belva del genere potrebbe indurre.
Il motore in effetti è impressionante: è presente già a 5.000 giri, il cupo mugugno diventa un urlo da samurai dopo gli 11.000, e le stesse R1 e ZX-10 cui prima (in sella alla 600) dovevamo lasciare strada ora ci sono da ostacolo in accelerazione, ma ce ne liberiamo presto. Il peso veramente contenuto e i cerchi da 16,5” rendono l'ingresso in curva rapidissimo, ma -mai come in questo caso- se si vuole percorrere la curva a gas chiuso (come la regola insegna)si deve entrare forte, altrimenti la moto, così alta dietro, tende a "cadere dentro".
La frenata è potentissima, e il sistema antisaltellamento facilita le cose, tanto che rispetto alla 600 si devono cambiare i riferimenti e si può staccare molto più tardi.
Tutto considerato, comunque, la CBR1000 di Rumi (almeno questa Open, non la Superstock che parteciperà al Moto Estate 2005) resta una moto per piloti professionisti, necessita di apprendistato e per poterla gestire al meglio delle proprie possibilità è fondamentale ritagliarsi una posizione di guida corretta regolando pedane e manubrio: io non ho avuto il tempo di farlo, e ho fatto fatica -a prescindere ddalle prestazioni impressionanti di cui il mezzo è capace - a "inserirmi" correttamente nella motocicletta.
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