Moto & Scooter
MV Agusta F4 1000 Mamba
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Ha il nome di un serpente velenosissimo, estremamente aggressivo e gli è coerente. Costruita a mano con pezzi speciali in fibra di carbonio, magnesio e carboceramica, pesa 20 kg in meno dell’originale e supera i 300 km/h
di Alan Cathcart, foto Kyoichi Nakamura
Uno dei problemi che più spesso affliggono i geni della creatività è rendersi conto di quando è ora di fermarsi. Coloro che sono capaci di stabilire i nuovi limiti coi quali altri, nel loro stesso settore di appartenenza, saranno chiamati a confrontarsi, non sono mai completamente soddisfatti della loro opera, in quanto sempre spinti in avanti dalla loro stessa genialità, alla perenne ricerca della perfezione.
Uno dei problemi che più spesso affliggono i geni della creatività è rendersi conto di quando è ora di fermarsi. Coloro che sono capaci di stabilire i nuovi limiti coi quali altri, nel loro stesso settore di appartenenza, saranno chiamati a confrontarsi, non sono mai completamente soddisfatti della loro opera, in quanto sempre spinti in avanti dalla loro stessa genialità, alla perenne ricerca della perfezione.
Massimo Tamburini, il mago italiano del design motociclistico, è uno di questi, ma creando la MV F4 1000 è stato costretto a tenere conto dei confini impostigli dal Presidente della MV, Claudio Castiglioni e a trattenersi quindi dal modificare l’esistente F4 750 oltre all’inserimento del motore di maggior cilindrata e alla sostituzione della forcella Showa con una Marzocchi.
“Ci è sempre sembrato opportuno che il disegno originale della MV F4 750 rimanesse essenzialmente immutato nella versione mille – ribadisce Claudio Castiglioni – perché siamo convinti che rappresenti un’opera d’arte senza tempo, tale da essere desiderabile come il giorno del suo lancio anche dieci anni dopo, esattamente come è accaduto per l’altra moto che Tamburini ha creato per me: la Ducati 916. Quando hai a disposizione un simile capolavoro, devi per forza capire che è essenziale procedere al suo sviluppo, alla sua evoluzione, non sprecarlo nel tentativo, inutile, di fare ancora qualcosa di meglio”.
Andrea (a sinistra) e Massimo Tamburini
D’accordo. Ma adesso che la produzione della F4 1000 è avviata e procede bene, è tempo per Tamburini di aggiungere al modello standard – si può usare questo termine per una MV? – quelle raffinatezze extra che finora era stato obbligato a sacrificare. Così all’Intermot 2004 nello stand MV ha debuttato la F4 1000 Mamba, edizione speciale limitata a 300 esemplari, concepita e messa a punto congiuntamente da Massimo Tamburini e da suo figlio Andrea, anch’egli un designer di talento e responsabile della creazione degli accessori speciali per la MV Agusta.
Molti di questi, in fibra di carbonio e in magnesio, sono inevitabilmente finiti sulla Mamba, che oltretutto propone diverse migliorie tecniche rispetto alla F4 1000. Il costo della Mamba in versione standard è orientativamente di 36.000 Euro, ma può salire in relazione alle specifiche richieste del cliente.
Venti chili in meno
Ho avuto modo di esaminare attentamente e di provare la MV F4 1000 Mamba sul circuito di Misano sei settimane prima del suo debutto all’Intermot. E subito una prima domanda, tanto per cominciare: perché “Mamba”, Massimo?
“È un nome che ta tempo avevo nel cassetto per una supersportiva estrema – spiega il Maestro – Mamba è il serpente più velenoso che esista sulla Terra e il più rapido a colpire la preda; se ne incontri uno, è meglio stargli molto alla larga”.
Osservando i due prototipi di MV Mamba, parcheggiati davanti ai box del Santamonica, il cuore batte più forte e le labbra si asciugano per un misto di ammirazione e di attesa. Perché questa, con la carrozzeria completamente in fibra di carbonio, analogamente al collettore di alimentazione, all’air-box, al paracatena, ai supporti del faro e a tanti altri componenti, è una moto ancor più desiderabile della già affascinante F4 di serie. Anche il faro, di produzione francese, ha il corpo in fibra di carbonio e la lente in Lexan, mentre le ruote in lega leggera originali sono state sostituite da cerchi Marchesini in magnesio forgiato, con un risparmio di 3,47 kg e un sensibile vantaggio in termini di masse non sospese.
Un consistente risparmio di peso è stato conseguito anche montando forcellone monobraccio, scatola del cambio, mozzo posteriore e piastre del telaio in magnesio anziché in alluminio. Il telaio a traliccio è stato alleggerito di 1,27 kg riducendo di mezzo millimetro (da 1,5 a 1 mm) lo spessore dei tubi in cromomolibdeno e la batteria più piccola ha permesso di risparmiare un altro chilo. Le pinze originali Nissin a sei pistoncini sono state sostituite con altre monoblocco in alluminio ricavate dal pieno.
“È un nome che ta tempo avevo nel cassetto per una supersportiva estrema – spiega il Maestro – Mamba è il serpente più velenoso che esista sulla Terra e il più rapido a colpire la preda; se ne incontri uno, è meglio stargli molto alla larga”.
Osservando i due prototipi di MV Mamba, parcheggiati davanti ai box del Santamonica, il cuore batte più forte e le labbra si asciugano per un misto di ammirazione e di attesa. Perché questa, con la carrozzeria completamente in fibra di carbonio, analogamente al collettore di alimentazione, all’air-box, al paracatena, ai supporti del faro e a tanti altri componenti, è una moto ancor più desiderabile della già affascinante F4 di serie. Anche il faro, di produzione francese, ha il corpo in fibra di carbonio e la lente in Lexan, mentre le ruote in lega leggera originali sono state sostituite da cerchi Marchesini in magnesio forgiato, con un risparmio di 3,47 kg e un sensibile vantaggio in termini di masse non sospese.
Un consistente risparmio di peso è stato conseguito anche montando forcellone monobraccio, scatola del cambio, mozzo posteriore e piastre del telaio in magnesio anziché in alluminio. Il telaio a traliccio è stato alleggerito di 1,27 kg riducendo di mezzo millimetro (da 1,5 a 1 mm) lo spessore dei tubi in cromomolibdeno e la batteria più piccola ha permesso di risparmiare un altro chilo. Le pinze originali Nissin a sei pistoncini sono state sostituite con altre monoblocco in alluminio ricavate dal pieno.
Freni in carboceramica
Per la F4 1000 standard è dichiarato un peso a secco di 192 kg, non una mostruosità, ma certamente più elevato, almeno sulla carta, dei 168 kg della Suuki GSX-R 1000, dei 170 kg della Kawasaki ZX-10R, dei 172 kg della Yamaha R1 e dei 179 kg della Honda CBR1000RR (anche se la MV, a differenza delle concorrenti, mette almeno l’acido nella batteria e il liquido idraulico nell’impianto frenante quando pesa le sue moto...). La MV Mamba pesa 20 kg in meno nella versione normalmente in vendita, scendendo a 172 kg con tutti i liquidi ad esclusione del carburante.
Tamburini però si sbilancia, e annuncia che il prossimo passo sarà un calo di altri 10 kg, con l’adozione di un impianto di scarico completamente in titanio (- 4,68 kg) – realizzato a mano in Giappone da un artigiano scoperto da Maekawa-san, il più stretto collaboratore della MV in Asia ed ex capo del reparto corse Yamaha – di ruote in fibra di carbonio (- 2,5 kg) e di dischi dei freni in carboceramica (- 1,8 kg).
I dischi in carboceramica derivano da tecnologia militare russa e sono montati anteriormente su uno dei due prototipi a mia disposizione. Sono costruiti in Slovenia da Mitzlav Gornik, meglio conosciuto come l’uomo che più di dieci anni fa ha introdotto la fibra di carbonio sulle moto di produzione, quando Tamburini l’adottò per la Ducati 888 Desmoquattro.
È probabile che la stessa cosa possa ripetersi oggi che i due tecnici stanno lavorando assieme sui dischi ultraleggeri, anche se Tamburini frena gli entusiasmi: “Montati sulle ruote in magnesio, o meglio ancora in fibra di carbonio, i dischi in carboceramica consentono un significativo alleggerimento delle masse non sospese, con conseguente miglior efficienza delle sospensioni e riduzione dell’effetto giroscopico, a tutto vantaggio di un più agevole e rapido inserimento in curva. Ma non mancano i problemi: il materiale è talmente duro, pur essendo leggerissimo, che può essere lavorato solo con utensili al diamante. La difficoltà consiste nell’ottenere una superficie del disco sufficientemente piana da evitare le vibrazioni che altrimenti si propagherebbero alla leva del freno, e una deformazione superiore ad appena due centesimi di millimetro è già causa di vibrazioni. Per ora il metodo costruttivo di Zornik non consente di rientrare in modo ripetitivo entro questa tolleranza, ma è testardo e ce la farà. A quel punto avremo raggiunto quello che è oggi il futuro dei sistemi frenanti per le motociclette”.
I dischi del freno anteriore in carboceramica
Tamburini però si sbilancia, e annuncia che il prossimo passo sarà un calo di altri 10 kg, con l’adozione di un impianto di scarico completamente in titanio (- 4,68 kg) – realizzato a mano in Giappone da un artigiano scoperto da Maekawa-san, il più stretto collaboratore della MV in Asia ed ex capo del reparto corse Yamaha – di ruote in fibra di carbonio (- 2,5 kg) e di dischi dei freni in carboceramica (- 1,8 kg).
I dischi in carboceramica derivano da tecnologia militare russa e sono montati anteriormente su uno dei due prototipi a mia disposizione. Sono costruiti in Slovenia da Mitzlav Gornik, meglio conosciuto come l’uomo che più di dieci anni fa ha introdotto la fibra di carbonio sulle moto di produzione, quando Tamburini l’adottò per la Ducati 888 Desmoquattro.
È probabile che la stessa cosa possa ripetersi oggi che i due tecnici stanno lavorando assieme sui dischi ultraleggeri, anche se Tamburini frena gli entusiasmi: “Montati sulle ruote in magnesio, o meglio ancora in fibra di carbonio, i dischi in carboceramica consentono un significativo alleggerimento delle masse non sospese, con conseguente miglior efficienza delle sospensioni e riduzione dell’effetto giroscopico, a tutto vantaggio di un più agevole e rapido inserimento in curva. Ma non mancano i problemi: il materiale è talmente duro, pur essendo leggerissimo, che può essere lavorato solo con utensili al diamante. La difficoltà consiste nell’ottenere una superficie del disco sufficientemente piana da evitare le vibrazioni che altrimenti si propagherebbero alla leva del freno, e una deformazione superiore ad appena due centesimi di millimetro è già causa di vibrazioni. Per ora il metodo costruttivo di Zornik non consente di rientrare in modo ripetitivo entro questa tolleranza, ma è testardo e ce la farà. A quel punto avremo raggiunto quello che è oggi il futuro dei sistemi frenanti per le motociclette”.
I dischi del freno anteriore in carboceramica
Sapore piccante
Pochi metri in accelerazione lungo la pit-lane di Misano per immettermi sul circuito, e già avverto un sapore molto più piccante di quello diffuso dalla F4 standard, che certamente è tutt’altro che pigra, ma che non spinge come fa la Mamba in virtù della sua dieta. Ho guidato da poche settimane la Honda CBR1000RR Ten Kate Superbike di Chris Vermeulen, e istintivamente mi viene da confrontarla con la Mamba. Certo il motore standard da 166 CV della MV non è altrettanto potente, ma la sensazione che la Mamba dà è di maggior compattezza d’insieme, di notevole leggerezza e di una guida più aggressiva. La sensazione si manifesta soprattutto nel passaggio repentino da una piega a quella opposta nelle chicane di Misano; la Mamba volta così rapidamente e facilmente che ti sembra di essere a bordo di una 600 Supersport invece che su una 1000 Superbike, almeno fino a quando ti accorgi del suo appetito per gli alti regimi e ti spari fuori di una curva con una violenza che una media cilindrata nemmeno può immaginare.
Fin dall’inizio i dischi in carboceramica lavorano proprio bene – non quindi come quelli in carbonio che richiedono di entrare correttamente in temperatura per operare al meglio – e non accusano cali di efficienza anche dopo diversi giri “tirati” con temperatura dell’aria di oltre 30°. Ma il vantaggio maggiore della combinazione ultraleggera ruote-dischi si manifesta senz’altro nei repentini cambi di direzione; dopo aver constatato personalmente che il passaggio dai dischi convenzionali a quelli a margherita fa scendere i tempi sul giro non di pochi decimi, ma anche di secondi sulle moto che partecipano al Mondiale Supersport, mi ha dato grande soddisfazione trovare lo stesso progresso coi dischi in carboceramica. Se lavorano altrettanto bene sul bagnato – e Tamburini lo afferma con sicurezza – allora posso dichiararmi un loro sostenitore, anche perché i dischi da me provati non accusavano vibrazioni di sorta.
Paragonata alla F4 750, la 1000 non denota solo un sostanziale incremento di potenza, ma soprattutto un aumento del 50% della coppia. La cosa che più impressiona è il modo in cui i 166 CV di potenza della Mamba vengono erogati, anche se molti clienti preferiranno optare per i 176 CV della versione con cornetti di aspirazione a lunghezza variabile. Questa raffinatezza tecnica sarà disponibile solo nel motore versione “Tamburini”, che sarà montato sulla Mamba F4 Corsa, in vendita esclusivamente in configurazione da pista.
Fin dall’inizio i dischi in carboceramica lavorano proprio bene – non quindi come quelli in carbonio che richiedono di entrare correttamente in temperatura per operare al meglio – e non accusano cali di efficienza anche dopo diversi giri “tirati” con temperatura dell’aria di oltre 30°. Ma il vantaggio maggiore della combinazione ultraleggera ruote-dischi si manifesta senz’altro nei repentini cambi di direzione; dopo aver constatato personalmente che il passaggio dai dischi convenzionali a quelli a margherita fa scendere i tempi sul giro non di pochi decimi, ma anche di secondi sulle moto che partecipano al Mondiale Supersport, mi ha dato grande soddisfazione trovare lo stesso progresso coi dischi in carboceramica. Se lavorano altrettanto bene sul bagnato – e Tamburini lo afferma con sicurezza – allora posso dichiararmi un loro sostenitore, anche perché i dischi da me provati non accusavano vibrazioni di sorta.
Paragonata alla F4 750, la 1000 non denota solo un sostanziale incremento di potenza, ma soprattutto un aumento del 50% della coppia. La cosa che più impressiona è il modo in cui i 166 CV di potenza della Mamba vengono erogati, anche se molti clienti preferiranno optare per i 176 CV della versione con cornetti di aspirazione a lunghezza variabile. Questa raffinatezza tecnica sarà disponibile solo nel motore versione “Tamburini”, che sarà montato sulla Mamba F4 Corsa, in vendita esclusivamente in configurazione da pista.
Oltre 300 km/h a Nardò
Ma anche in edizione standard, l’ago del tachimetro della Mamba sale con progressione impressionante e tra i 9000 e i 10000 giri si avverte un’ulteriore spinta in avanti che proietta il contagiri verso i 13000 giri, soglia di intervento del limitatore. La velocità massima è coerente alla progressione del motore: il collaudatore della MV, Fabrizio Latini, ha ottenuto e omologato a Nardò 301 km/h!
Mi chiedo come mai su moto di questo genere non sia ancora adottato normalmente il cambio servoassistito elettronicamente che ti permette di cambiare evitando di operare sulla frizione. Si tratta di un sistema collaudato e molto efficiente che mi aspetto, prima o poi, di trovare almeno come optional sulla Mamba.
L’unica cosa che non mi è andata a genio sulla prima delle due Mamba provate, è stato il comportamento a gas chiuso, con inattesa spinta alla prima riapertura, un difetto che avevo addossato a un problema di mappatura della centralina, causato dallo scarico più aperto del normale. “Il problema è un altro – spiega Tamburini – chiudendo il gas, due valvole di scarico rimangono parzialmente aperte per generare in frenata lo stesso effetto di una frizione antisaltellamento; al momento della riapertura dell’acceleratore si ha questa reazione piuttosto violenta. Abbiamo provato a rimediare con una differente mappatura che puoi provare su quest’altra moto. Vai e riferisci...”.
In effetti sulla seconda Mamba il problema si manifesta in maniera molto meno sensibile, e la rimappatura della centralina produce sorprendenti e positivi effetti anche sull’erogazione, che appare più corposa ai regimi intermedi, fra 7000 e 10000 giri.
Sul secondo prototipo ho anche modo di provare un differente impianto frenante, con pinze radiali Nissin a sei pistoncini e dischi d’acciaio a margherita di 310 mm di diametro. Inizialmente carente di feeling fin quando i dischi sono entrati in temperatura, questo impianto mi è sembrato molto potente, ma non superiore a quello coi dischi in carboceramica, che si sono dimostrati oltretutto vantaggiosi in termini di riduzione dell’effetto giroscopico. La mia impressione è che l’ideale siano le pinze radiali in unione ai dischi in carboceramica, magari con le ruote in carbonio.
Una nota di plauso anche alle sospensioni: la forcella Marzocchi, unitamente alla gomma Pirelli Diablo Corsa, comunica al pilota tanto feeling che sembra di avere il perno della ruota in mano; quanto all’ammortizzatore posteriore, un Sachs messo a punto dal reparto esperienze Sachs in Germania, lo stesso che cura le sospensioni della Ferrari F1, è suo principalmente il merito del comportamento equilibratissimo della moto, specialmente in fase di staccata-dura, quando evita il sollevamento della ruota posteriore.
Mi chiedo come mai su moto di questo genere non sia ancora adottato normalmente il cambio servoassistito elettronicamente che ti permette di cambiare evitando di operare sulla frizione. Si tratta di un sistema collaudato e molto efficiente che mi aspetto, prima o poi, di trovare almeno come optional sulla Mamba.
L’unica cosa che non mi è andata a genio sulla prima delle due Mamba provate, è stato il comportamento a gas chiuso, con inattesa spinta alla prima riapertura, un difetto che avevo addossato a un problema di mappatura della centralina, causato dallo scarico più aperto del normale. “Il problema è un altro – spiega Tamburini – chiudendo il gas, due valvole di scarico rimangono parzialmente aperte per generare in frenata lo stesso effetto di una frizione antisaltellamento; al momento della riapertura dell’acceleratore si ha questa reazione piuttosto violenta. Abbiamo provato a rimediare con una differente mappatura che puoi provare su quest’altra moto. Vai e riferisci...”.
In effetti sulla seconda Mamba il problema si manifesta in maniera molto meno sensibile, e la rimappatura della centralina produce sorprendenti e positivi effetti anche sull’erogazione, che appare più corposa ai regimi intermedi, fra 7000 e 10000 giri.
Sul secondo prototipo ho anche modo di provare un differente impianto frenante, con pinze radiali Nissin a sei pistoncini e dischi d’acciaio a margherita di 310 mm di diametro. Inizialmente carente di feeling fin quando i dischi sono entrati in temperatura, questo impianto mi è sembrato molto potente, ma non superiore a quello coi dischi in carboceramica, che si sono dimostrati oltretutto vantaggiosi in termini di riduzione dell’effetto giroscopico. La mia impressione è che l’ideale siano le pinze radiali in unione ai dischi in carboceramica, magari con le ruote in carbonio.
Una nota di plauso anche alle sospensioni: la forcella Marzocchi, unitamente alla gomma Pirelli Diablo Corsa, comunica al pilota tanto feeling che sembra di avere il perno della ruota in mano; quanto all’ammortizzatore posteriore, un Sachs messo a punto dal reparto esperienze Sachs in Germania, lo stesso che cura le sospensioni della Ferrari F1, è suo principalmente il merito del comportamento equilibratissimo della moto, specialmente in fase di staccata-dura, quando evita il sollevamento della ruota posteriore.
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