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Il ritorno del Mammuth

il 26/07/2002 in Moto & Scooter

Trent'anni fa la moto costruita da Friedel Munch era la più potente, veloce e pesante moto del mondo. Oggi, in versione moderna, vanta 261 CV, ha il turbo e costa 86.000 Euro

Il ritorno del Mammuth
La Munch Mammuth 1200TTS del 1966

di Alan Cathcart, foto Kyoichi Nakamura

"Trent'anni fa avevo un mazzo di carte da gioco, una delle quali rappresentava la Munch Mammuth 1200 TTS ed era un asso, anzi era l'asso pigliatutto".
Chi parla è Thomas Petsch, un industriale tedesco quarantaduenne di successo venuto su dal nulla, dopo la caduta del muro di Berlino e del sistema comunista, costruendo la sua fortuna dalla privatizzazione delle fabbriche di macchine utensili prima appartenenti allo Stato polacco.

"Quella carta vincente mi impressionò molto, da ragazzino - continua Petsch - così chiamai Munch la mia bicicletta e facevo finta che fosse davvero una Mammuth. Quando fui più grande e cominciai a guidare le moto, mi ripromisi che, se avessi fatto fortuna, avrei comprato una vera Mammuth".



"Una sera del 1997, tornando in aereo dalla Polonia a Francoforte, mi ritrovai seduto di fianco ad un signore che si rivelò appassionato di moto. Cominciammo a parlare della nostra passione e scoprii che era amico di Friedel Munch, anzi, mi assicurò che avrebbe fatto in modo che potessi incontrarlo".
"Conoscere Munch fu per me un'esperienza indimenticabile: era in condizioni fisiche assai precarie, tuttavia parlammo della sua vita, delle sue esperienze, delle iniziative avviate nonostante una perenne mancanza di denaro e del suo sogno di far rivivere il suo marchio con una nuova motocicletta. Prima di lasciarlo gli promisi che avrei fatto di tutto perché il sogno si realizzasse".



Petsch è stato di parola. Il prototipo della nuova Munch Mammuth è stato presentato all'Intermot 2000 e non con un motore automobilistico, come sulla moto di trent'anni prima (la Mammuth originale montava infatti il quattro cilindri NSU della TTS 1200) bensì con un inedito quattro cilindri 2000 bialbero a 16 valvole sviluppato interamente in proprio.
Perché un 2000? "Perché se vuoi chiamare una moto Mammuth - risponde Petsch - deve essere davvero un Mammuth, e un 2000 è più Mammuth di un 1200 o un 1600...".

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Prima di parlare della nuova Mammuth, spieghiamo un po' come era fatta quella del 1966. Era una moto enorme, assolutamente unica in quanto realizzata per battere tutti i record vigenti in quel momento in campo motociclistico: dimensioni, potenza, velocità, peso. Una fra le più emblematiche sportive del momento: la Triumph Bonneville 650 bicilindrica, pesava 165 kg, la potenza era di 45 CV e la velocità non eccedeva i 170 km/h effettivi. La Mammuth TTS 1200 aveva una cilindrata di 1180 cc, motore a 4 cilindri da 90 CV, velocità di 210 km/h e peso di ben 260 Kg (e forse qualcosa in più...).

Anche la Mammuth 2000 è una moto da record: innanzitutto la potenza dichiarata, 261 CV a 5650 giri, misurata all'uscita del cambio, con una coppia massima di non meno di 380 Nm erogata a soli 3500 giri. Spaventoso! E il peso non è da meno: 354 kg, una massa che le sospensioni Ohlins, progettate specificamente per questa moto (una forcella upside down con steli di 43 mm e due ammortizzatori posti orizzontalmente sotto il motore ed azionati da un forcellone in alluminio tramite biellismi di rinvio) riescono comunque a governare egregiamente, anche con l'aiuto di freni Spiegler anteriori da 320 mm con pinze a otto pistoncini e quattro pastiglie (il posteriore ha un diametro di 280 mm e pinza a quattro pistoncini) e di pneumatici Bridgestone di 17" e di larga sezione: il posteriore è un 200/50ZR 17.



La Mammuth 2000 ha già ottanta prenotazioni, nonostante il costo esorbitante di 86.000 Euro, che comprende però le spese di spedizione per via aerea in ogni parte del mondo. Thomas Petsch ha stabilito di produrne non più di 250 ed ha garantito la disponibilità dei ricambi per dieci anni e l'accesso ad ogni cliente ai disegni originali, per eventuali restauri futuri.

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Per realizzare il suo motore di 1998 cc raffreddato a liquido, Petsch si è servito della testata Cosworth bialbero a 16 valvole della Opel Calibra 2000 Coupé Turbo, mentre tutto il resto è stato progettato espressamente in casa.
Il motore ha alesaggio e corsa di 86x86 mm, bancata dei cilindri in alluminio, bielle Hoeckle e pistoni forgiati Mahle. Il rapporto di compressione è 9:1, assai contenuto in presenza della sovralimentazione.



La distribuzione è comandata da cinghia dentata sulla destra e la circolazione del liquido di raffreddamento è assicurata da due pompe: una elettrica ed una meccanica, che garantiscono anche l'efficienza dell'intercooler montato sul compressore Schwitzer azionato dai gas di scarico del motore, che fornisce la pressione massima di 0,9 bar. Una centralina Bosch Motronic gestisce l'opera del compressore e il sistema di alimentazione ad iniezione elettronica, in uno col sistema di scarico dotato di serie di catalizzatore.



I 261 CV erogati dal motore si scaricano sulla ruota motrice attraverso una frizione a 13 dischi in bagno d'olio e un cambio a sei velocità, un numero di rapporti che appare eccessivo in relazione alla coppia disponibile.
"E' colpa mia! - spiega Petsch - Ho dato per scontato che una moto moderna debba avere un cambio a sei marce, così non mi sono posto il problema. Quando ci siamo accorti che sarebbero stati sufficienti tre o quattro rapporti, era ormai tardi per tornare indietro".

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Dopo aver provato la Mammuth, ho pensato che la sera prima ero arrivato dall'aeroporto di Wurzburg allo stabilimento della Munch guidando un'auto a noleggio con motore 2000 turbo, quindi sostanzialmente identico a quello della Mammuth. Solo che questa moto ha almeno 45 CV in più dell'auto, pesa meno della metà e scarica a terra la potenza su una sola ruota motrice.
Come su un'automobile turbo, il problema con la Munch è controllare la formidabile curva di coppia e dosare l'acceleratore in modo da riuscire a parzializzare l'erogazione e ridurre l'effetto del tipico ritardo di risposta del turbocompressore.



La squisita modulabilità della frizione permette di partire da fermo anche a soli 1000 giri e da 1200 giri è possibile spalancare il gas senza avvertire strappi alla trasmissione, avvertendo un costante e controllabilissimo incremento della potenza disponibile fino al regime di circa 3000 giri, dopodiché l'effetto della sovralimentazione si manifesta pienamente con una spinta irresistibile ed entusiasmante, finché l'esigenza di cambiare marcia fa sì che l'esperienza si rinnovi.
Proprio come su un'auto turbo, il modo migliore di guidare la Mammuth è rendersi conto che ci sono almeno due marce di troppo nel cambio e, di conseguenza, non spingersi inutilmente verso gli alti regimi ad ogni cambiata, ma sfruttare il picco di coppia che si raggiunge attorno ai 4500 giri e godere appieno della formidabile energia che questo motore sa sprigionare e che ti proietta in avanti ad una velocità che sembra quella del suono.



Grazie all'intelligente mappatura della centralina, l'erogazione della potenza è ben gestibile, anche se è inevitabile percepire dalla trasmissione l'attimo in cui il turbo entra a regime. L'accelerazione, anche se certamente impressionante, non è mai esplosiva, probabilmente a causa del gran peso in gioco; la frenata è potente e assai ben modulabile, ma la cosa più sorprendente e apprezzabile è l'inattesa maneggevolezza della moto, che accetta con relativa facilità i cambiamenti di direzione e le correzioni di traiettoria.
La velocità è autolimitata a 250 km/h, in accordo con quanto praticato in Germania dalle industrie automobilistiche, ma lavorando sulla centralina i 275 all'ora sono tranquillamente a portata di mano.

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La Munch Mammuth 1200TTS del 1966

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