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Honda VTR1000F Firestorm

il 07/11/2001 in Moto & Scooter

Bella, veloce e poco impegnativa, la mancata “anti-Ducati” di casa Honda si rivela adattabile e divertente. Prezzo interessante, ma consuma un po'

Honda VTR1000F Firestorm


di Alberto Dell'Orto
, foto AD, A. Piredda e DM




Quando le furono tolti i veli, nel 1996, la VTR1000F Firestorm, meglio nota semplicemente come VTR tra gli appassionati, fece impressione. Per la prima volta mamma Honda si impegnava nella realizzazione di una sportiva bicilindrica di grossa cilindrata, con alcune scelte tecniche che suonavano come un omaggio alla Ducati e tuttavia una lucidità progettuale e realizzativa tutta nipponica.





Ma, si sa, l’ufficio marketing della Casa di Tokyo non ha mai visto di buon occhio le proposte estreme, soprattutto per considerazioni che riguardano l’ampiezza del mercato di riferimento, per cui la nuova nata appariva sì svelta e filante, ma non poteva competere con l’italiana in termini di prestazioni assolute e in efficacia al limite. Aveva però dalla sua una serie di doti che la resero più adatta delle bolognesi ad accontentare l’utente sportivo ma non assatanato, e in più offriva una certa versatilità sottolineata dalla sistemazione non infame riservata al passeggero: alla prova dei fatti la sua avversaria più diretta appariva la 900 SS.




Una sport-tourer molto sport, insomma, che infatti è stata oggetto di alcune piccole modifiche, come il montaggio di semimanubri leggermente rialzati e di un serbatoio più capiente, per esaltarne le doti di fruibilità e ampliarne il “raggio d’azione”, senza snaturarne il concetto di base: una motocicletta agile e veloce, di elevate prestazioni e di comfort apprezzabile.

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La VTR appare filante ed essenziale, ma non scarna: la mezza carena si sposa bene con serbatoio e codone dalle forme semplici, destinate a non invecchiare troppo velocemente. Il frontale è grintoso ma non estremo, e in fondo è il miglior biglietto da visita per la personalità di questa moto, dotata di una porzione di sella per il passeggero sufficientemente ampia ma celata da una “palpebra” che la rende monoposto.




Il ponte di comando prevede una strumentazione completa (due classici strumenti analogici e un display digitale con le imformazioni accessorie) e il blocchetto di accensione con trasponder per io riconoscimento elettronico della chiave. Intorno, una spartanità “giusta”: c’è tutto e solo quello che serve, e fatto bene. Un esempio? All’interno della carenatura si possono notare i cablaggi che raggiungono gli indicatori di direzione, ma si nota anche la cura della realizzazione e l’ordine della disposizione. Anche la palpebra coprisella è molto semplice, ma differentemente da altre concorrenti si sfila in pochi secondi senza tecniche particolari.




Le superfici a vista sono decisamente curate, come da tradizione Honda: buona la verniciatura (un po’ sottile, però), risaltano le finiture superficiali dei particolari in lega leggera (semilucido e grezzo per il telaio, satinato per piastre forcella e gli altri particolari)e la pulizia di disegno e realizzazioni dei comandi, tanto al manubrio quanto a pedale. Il serbatoio, decisamente piccolo nelle prime versioni, è stato maggiorato e ora contiene circa 19 litri.

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Apparentemente tradizionale, la VTR offre invece una serie di particolarità tecniche non comuni, che comunque rientrano in quella scelta di pragmatica efficienza che caratterizza un po’ tutti i prodotti Honda. Il motore bicilindrico a V appare, almeno di base, ispirato al modello vincente, cioè il motore Ducati 996. Infatti numero cilindri, disposizione e misure di alesaggio e corsa sono uguali.




Ma le somiglianze finiscono qui, perché, oltre al comando distribuzione a catena, il motore presenta (unico nella categoria) i cilindri ricavati di pezzo nel semicarter superiore (rigidità maggiore), che dunque è accoppiato dal suo “compagno” inferiore da un piano di unione orizzontale. Molto particolare anche la scelta di utilizzare una coppia di carburatori invece dell’iniezione: il motivo di fondo è certamente legato ai costi, ma alla Honda (e alla Keihin) va il merito di aver fatto funzionare a dovere un carburatore con un diffusore da ben 48 mm, compito per nulla facile (e infatti nessun’altro l’ha fatto). Forse, però, questa scelta è, insieme al rapporto di compressione relativamente basso, responsabile dei consumi di carburante non proprio da record.




Interessante anche il telaio, dotato di schema a metà strada tra il doppio trave e il traliccio, che abbraccia il motore e lo utilizza come elemento stressato: il forcellone, infatti, ruota su un fulcro fissato sul retro del carter del propulsore (soluzione denominata Pivotless).

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La VTR accoglie bene il pilota, che trova una posizione di guida raccolta e sportiva ma assolutamente naturale, senza costrizioni e con misure azzeccate per utenti di altezze anche molto diverse. Ovviamente i polsi risultano caricati, ma i nuovi semimanubri, più alti di 2 cm, permettono una postura leggermente più confortevole della precedente, anche perché il peso del corpo è equamente distribuito su braccia e gambe. La protezione aerodinamica è apprezzabile ma non eccezionale: vista l’impostazione generale della moto era lecito aspettarsi un trasparente più protettivo, utile nei trasferimenti autostradali.




Il passeggero non è ospitato con la stessa attenzione del pilota (la sella non è particolarmente ampia, e manca una maniglia a cui appigliarsi), ma se non altro l’imbottitura è confortevole, il dislivello della sella è contenuto e le pedane non sono eccessivamente alte. Insomma, non si sta come un papa, ma tra le sportive è una delle più ospitali. I comandi sono morbidi e intuitivi come da tradizione, anche se i blocchetti elettrici, sufficientemente funzionali, risentono di un look un decisamente datato. Gli specchietti non vibrano e sono stabili, ma la forma “a goccia” è un limite notevole all’ampiezza della visuale.




Il cavalletto laterale fa onestamente il suo lavoro, ma in considerazione dell’impiego all-around della moto ci sarebbe piaciuto trovare anche il centrale. Apprezzabile, infine, l’efficacia del sistema di estrazione dell’aria calda dei radiatori: anche in caso di caldo intenso il flusso non arriva mai a disturbare davvero il conducente.

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La VTR dà subito molta confidenza: il motore “burroso” e mai brusco, l’avantreno “svelto” e un comportamento generale improntato alla sfruttabilità ne fanno un’ottima compagna di svago, in grado di offrire medie elevate sul misto con un impegno psicofisico tutto sommato contenuto. Il propulsore, oltre che dotato a livello di potenza (un centinaio di CV alla ruota), offre una trattabilità di eccellente livello e una progressione di potenza lineare e sfruttabile, unite a un basso tasso di vibrazioni e, per la verità, a consumi sensibili.





Comunque, niente “botte di coppia” brutali ai bassi, niente reazioni impegnative, ma solo una gran “polpa” da gustare a qualsiasi apertura del gas, il cui collegamento con la potenza erogata è esemplare. Volete stupire gli amici del bar con un’impennata, magari in seconda, che “fa più fico”? Probabilmente non siete il target che ha in mente la Honda (e sicuramente un vigile non vi applaudirà), ma la moto non fa una piega, e vi accontenta senza chiedervi di essere un pilota.




Le sospensioni, tarate sul morbido, non offrono il massimo in termini di prestazioni sul veloce, ma la reattività dell’avantreno e la comunicabilità della ciclistica vi permettono in tutta naturalezza (e sicurezza) numeri con fanno invidia a più di una supersportiva. Certo, quando le cose si fanno davvero serie (come in pista), la VTR vi avverte a ogni curva e a ogni staccata che non è nata per le corse, ma senza scherzi, senza fregarvi mai. E scusate se è poco…

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Motore: a 4 tempi, 2 cilindri in a V longitudinale di 90°, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 98 x 66 mm, cilindrata 996 cc, rapporto di compressione 9,4:1; distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro, comando a catena; lubrificazione a carter umido. Alimentazione: 2 carburatori Keihin CV da 48 mm; capacita’ serbatoio 19 litri. Accensione elettronica. Avviamento elettrico.


Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione multidisco in bagno d’olio con comando a cavo; cambio in cascata a sei rapporti; finale a catena.


Ciclistica: telaio a doppio trave sdoppiato in lega leggera, inclinazione asse di sterzo n.d., avancorsa n.d.. Sospensione anteriore: forcella telescopica regolabile, steli da 41 mm, escursione 109 mm; sospensione posteriore: forcellone in lega leggera con monoammortizzatore regolabile, escursione 124 mm. Ruote: anteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 120/70-17”; posteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 180/55-17”. Freni: anteriore a doppio disco di Ø 296 mm, pinze flottanti a 4 pistoncini contrapposti; posteriore a disco di Ø 220 mm, pinza flottante a 1 pistoncino.


Dimensioni e peso: interasse 1430 mm, lunghezza 2050 mm, larghezza 710 mm, altezza sella 810 mm. Peso a secco 193 kg.


Prestazioni: potenza 110 CV (81 kW) a 9000 giri, coppia 9,8 kgm (97 Nm) a 7000 giri.


Omologazione Euro-1: si’

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